Pianificazione partecipata
Etichette:
Enti locali e pubblica amministrazione
Tratto dal sito del Prof. Alessandro Giangrande, del Dipartimento di Studi Urbani di Roma.
__________________________________________________
Nelle amministrazioni pubbliche i processi di tipo inclusivo sono sempre più frequenti. Capita che un Sindaco o un Assessore, trovandosi di fronte a una questione complessa, decida di convocare i soggetti interessati, riunire i diversi partner, coinvolgere associazioni o anche singoli cittadini.
In questi casi il processo che viene messo in atto può essere definito inclusivo, perché esso cerca, appunto, di includere un certo numero, più o meno ampio, di soggetti interessati a quel problema e di farli partecipare alle scelte. Per riferirsi a questi processi si usano di solito termini come partecipazione, concertazione, consultazione, negoziazione, partenariato, accordi, intese. L’immagine a cui si ricorre più di frequente è quella di diversi attori che vengono messi a discutere attorno a un tavolo.
La scelta di aprire un tavolo è talvolta compiuta volontariamente (e informalmente) da un amministratore pubblico che ritiene utile allargare la platea dei decisori e responsabilizzarli. Talvolta è incoraggiata (o addirittura prescritta) dalla legge.
Sono ormai circa quindici anni che le leggi prevedono forme di decisione inclusiva, come le conferenze di servizi, gli accordi di programma o i diversi istituti che passano sotto il nome di programmazione negoziata. Il coinvolgimento delle associazioni e dei cittadini è esplicitamente previsto in programmi di riqualificazione urbana come i contratti di quartiere.
L’Unione Europea ha dato un fortissimo impulso in questa direzione. E’ difficile trovare un programma comunitario in cui non compaiano, con grande rilievo, espressioni come partenariato, coinvolgimento dei cittadini, partecipazione.
____________________________________________________
In questi casi il processo che viene messo in atto può essere definito inclusivo, perché esso cerca, appunto, di includere un certo numero, più o meno ampio, di soggetti interessati a quel problema e di farli partecipare alle scelte. Per riferirsi a questi processi si usano di solito termini come partecipazione, concertazione, consultazione, negoziazione, partenariato, accordi, intese. L’immagine a cui si ricorre più di frequente è quella di diversi attori che vengono messi a discutere attorno a un tavolo.
La scelta di aprire un tavolo è talvolta compiuta volontariamente (e informalmente) da un amministratore pubblico che ritiene utile allargare la platea dei decisori e responsabilizzarli. Talvolta è incoraggiata (o addirittura prescritta) dalla legge.
Sono ormai circa quindici anni che le leggi prevedono forme di decisione inclusiva, come le conferenze di servizi, gli accordi di programma o i diversi istituti che passano sotto il nome di programmazione negoziata. Il coinvolgimento delle associazioni e dei cittadini è esplicitamente previsto in programmi di riqualificazione urbana come i contratti di quartiere.
L’Unione Europea ha dato un fortissimo impulso in questa direzione. E’ difficile trovare un programma comunitario in cui non compaiano, con grande rilievo, espressioni come partenariato, coinvolgimento dei cittadini, partecipazione.
____________________________________________________
Che i processi inclusivi siano scelti di propria iniziativa dagli amministratori o siano imposti (o incoraggiati) da leggi nazionali ed europee, il problema è quello di farli funzionare. E non è affatto facile. Si possono mettere attorno a un tavolo troppi attori, creando confusione, incomprensioni e difficoltà di coordinamento. Ma si può anche cadere nell’errore opposto, ossia quello di coinvolgerne troppo pochi, col risultato che gli esclusi si risentiranno e boicotteranno i risultati della partecipazione.
Un processo inclusivo può attenuare i conflitti, ma può anche esasperarli, può moltiplicare i veti o dare adito a ricatti. Può produrre decisioni sagge che riescono a comporre i diversi punti di vista dei partecipanti in una visione condivisa dell’interesse generale, ma può anche generare pessimi compromessi che reggeranno lo spazio di un mattino. Può anche portare ad accordi spartitori in cui i partecipanti si “dividono il bottino” senza tenere in alcun conto gli interessi della collettività.
Gli amministratori pubblici non hanno sempre le competenze necessarie per affrontarle: spesso si sentono buttati allo sbaraglio e sono costretti a districarsi come possono di fronte a processi complessi che faticano a padroneggiare.
Questa "ritrosia" colpisce soprattutto gli amministratori pubblici che, purtroppo, non dispongono delle competenze di tipo comunicativo, relazionale, organizzativo, gestionale e strategiche necessarie per la realizzazione di una politica multiattore.
Nessun commento:
Posta un commento