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sabato 6 dicembre 2008

Un Paese in ginocchio

«Metà delle famiglie a rischio default». Insolvenze e impossibilità a far fronte a debiti e mutui: il Censis «fotografa» un Paese in ginocchio. Articolo tratto dal sito del Corriere della Sera.


La crisi finanziaria mette «potenzialmente in pericolo» una famiglia italiana su due: sono quasi 12 milioni, il 48,8% del totale, le famiglie che «denunciano un concreto rischio di default». È quanto emerge dal 42esimo Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese, che evidenzia anche come sette italiani su dieci pensi che «il terremoto nei mercati possa ripercuotersi direttamente sulla propria vita». A determinare il rischio concorrono «investimenti in prodotti rischiosi», mutui, credito al consumo e assenza di risparmio accumulato.


Investimenti e mutui - Tra le famiglie «potenzialmente in pericolo, che denunciano un concreto rischio di default», il Censis indica prima di tutto i 2,8 milioni di famiglie (pari all'11,8% del totale) che hanno investimenti in prodotti rischiosi, come azioni o quote di Fondi comuni: di queste, 1,7 milioni (circa il 7,1% delle famiglie italiane) vi hanno collocato più della metà dei propri risparmi. Ci sono poi i quasi 2 milioni di famiglie (l'8,2% del totale) impegnate nel pagamento del mutuo dell'abitazione in cui vivono: di queste, sono quasi 250 mila (l'1%) quelle che dichiarano di non riuscire a rispettare le scadenze di pagamento o che hanno avuto molte difficoltà nel pagare le rate. Vanno poi aggiunti i 3,1 milioni di famiglie (il 12,8%) che risultano indebitate per l'acquisto di beni al consumo: di queste, 971 mila (il 4% del totale) hanno un debito superiore al 30% del reddito annuo famigliare. Infine 3 milioni e 873 mila famiglie (il 16% del totale) non posseggono un risparmio accumulato in alcuna forma e «potrebbero trovarsi - afferma il Censis - nella condizione di non saper fronteggiare eventuali spese impreviste o forti rincari di beni di primaria necessità».


Timori per il futuro - Il Censis evidenzia anche la preoccupazione delle famiglie di fronte alla crisi: interpellati ad ottobre 2008, il 71,7% degli italiani pensa che il terremoto in corso possa avere delle ripercussioni dirette sulla propria vita, mentre solo il 28,3% dichiara di poterne uscire indenne: «una sensazione che colpisce trasversalmente» giovani e anziani, uomini e donne, al nord come al sud, secondo il Censis, «ma che risulta più profondamente avvertita da quei segmenti già duramente messi alla prova in questi ultimi anni come le famiglie a basso reddito e con figli» (è preoccupato l'81,3% delle famiglie con livello economico basso, contro il 66,2% delle famiglie con livello medio).


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lunedì 1 dicembre 2008

Franciacorta, terra di cave?

Di seguito riportiamo il testo di una mail inviataci dal Consigliere Comunale di Rovato, sig. Angelo Bergomi.


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Portiamo a conoscenza di un'iniziativa del Comitato Anticava di Rovato e del Gruppo Tutela Ambiente che si terrà a Rovato venerdì 5/12/2008 alle ore 20.30. Si parlerà di cave e discariche, in particolare della cava Bonfadina della cava Macogna.

Ci sarà l'occasione di capire dai relatori anche a che punto siamo con la proposta del vincolo ambientale sulla Franciacorta. Soprattutto questo ultimo tema credo possa essere di vostro interesse. Chiediamo la cortesia di dare notizia anche sul vostro portale. In allegato il comunicato stampa e il volantino della manifestazione. Ovviamente se qualcuno del vostro gruppo potesse essere presente sarebbe presenza gradita.

Grazie. Angelo Bergomi. Consigliere comunale di Rovato, con delega alle attività estrattive.




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giovedì 30 ottobre 2008

Tra il dire e il fare ....

Di seguito riportiamo il testo della lettera - protocollata nei giorni scorsi presso il Comune di Passirano - indirizzata al Segretario Comunale e al Difensore Civico, e trasmessa per conoscenza a Sindaco, Assessori, Consiglieri Comunali, componenti dell'Osservatorio Ambiente e Territorio, Estensori degli strumenti di Piano, e Ufficio Tecnico.





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“…la Legge della Regione Lombardia 12/2005 ha incardinato tutto il processo di costruzione del Piano di Governo del Territorio sulla partecipazione, prevedendo la possibile integrazione dei contenuti da parte dei privati, la partecipazione diffusa dei cittadini e delle associazioni, la pubblicità e la trasparenza delle attività che conducono alla formazione degli strumenti di piano”. Così recita la proposizione 2.3 della sintesi non tecnica del PGT che alcuni componenti del nostro Comitato hanno visionato la scorsa settimana presso l'Ufficio Tecnico. Negli eleborati di VAS l'estensore dichiara e ripete più volte che il documento "è stato depositato e reso pubblico anche tramite web".



Con la presente intendiamo segnalarVi che, contrariamente a quanto affermato, il documento di VAS non è mai stato pubblicato sul sito internet del Comune. Ne consegue che, secondo la nostra interpretazione, l'obiettivo di trasparenza e pubblicità delle attività di formazione del Piano, previste dalla Legge Regionale 12/2005, non può dirsi garantito. Tanto più se si considerano le oggettive difficoltà di accesso agli atti, che per essere (solo parzialmente) visionati, hanno costretto i (pochi fortunati) cittadini a recarsi presso l'Ufficio Tecnico in giornate ed orari prestabiliti, e comunque non di sabato. Nel ricordare, inoltre, che durante gli incontri pubblici di presentazione della Tavola Strategica e del Documento di Piano l'Amministrazione comunale aveva assicurato la massima diffusione dei documenti del PGT, facciamo presente che i cittadini non hanno nemmeno potuto acquisire dall'Amministrazione copia digitale, ancorché parziale, degli elaborati cartacei.



Tutto ciò premesso, chiediamo il Vostro intervento affinché:
1)venga messa a disposizione dei cittadini attraverso la pubblicazione su web, o tramite supporti digitali liberamente consultabili a domicilio, la documentazione relativa alla formazione degli strumenti di Piano;
2)la seduta del Consiglio Comunale, che dovrà eventualmente adottare il PGT, sia prevista almeno 30 giorni dopo la data di pubblicazione sul sito internet dei documenti citati.


Ringraziando per l'attenzione che vorrete riservare alla presente, porgiamo cordiali saluti.





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martedì 28 ottobre 2008

L'elemosina e il diritto

Di seguito riportiamo il testo del volantino che stiamo distribuendo ai cittadini in questi giorni.



Ancora una volta si sta ripetendo quel che è già successo con il Piano Paesistico. L’argomento resta sempre lo stesso: la mancanza di pubblicità, di trasparenza e la scarsa partecipazione dei cittadini di Passirano, mai seriamente coinvolti nella gestione del territorio in cui vivono. E questo sta accadendo nonostante il Piano di Governo del Territorio di Passirano (per capirci, è l’ex Piano Regolatore Generale) confermi che “…la Legge della Regione Lombardia 12/2005 ha incardinato tutto il processo di costruzione del Piano di Governo del Territorio sulla partecipazione, prevedendo la possibile integrazione dei contenuti da parte dei privati, la partecipazione diffusa dei cittadini e delle associazioni, la pubblicità e la trasparenza delle attività che conducono alla formazione degli strumenti di piano”. In coerenza con le disposizioni di quella Legge Regionale, il documento della Valutazione Ambientale Strategica (VAS) di Passirano (che deve verificare la compatibilità e la sostenibilità ambientale del nostro territorio con lo sviluppo previsto negli anni a venire), non poteva far altro che regolamentare e garantire ai cittadini “specifici momenti di partecipazione”.

Ma quali sono le modalità previste dall’Amministrazione Comunale di Passirano per conseguire l’obiettivo di pubblicità e trasparenza degli atti del PGT? La risposta è scritta nel documento della VAS, ed è molto chiara: sul sito internet del Comune verranno pubblicate tutte le fasi di analisi della situazione ambientale di Passirano.


Ma al di là delle belle parole e delle nobili dichiarazioni d’intenti, in realtà nessun cittadino di Passirano sa come si siano svolte, chi abbia partecipato e quali siano i risultati delle conferenze sul nostro ambiente. E questo perché, inspiegabilmente, i documenti della VAS non sono mai stati pubblicati sul sito internet del Comune di Passirano!


Detto questo, bisogna rilevare che i nostri Amministratori, oltre a non mantenere le promesse di pubblicità e trasparenza degli atti, non hanno organizzato un solo incontro pubblico per illustrare lo stato dell’ambiente in cui viviamo. In altri termini, i politici locali ritengono che i cittadini di Passirano non siano interessati a conoscere i dati che riguardano qualità dell’acqua, rete idrica, consumo di suolo, livello di inquinamento, situazione delle discariche, gestione dei rifiuti, situazione della rete fognaria, dinamica demografica, densità abitativa, problemi del traffico, qualità della vita, salute dei cittadini.

Ritenendo che questo modo di gestire la “cosa pubblica” sia piuttosto deprecabile, abbiamo interessato il Segretario Comunale e il Difensore Civico di Passirano, perché verifichino – prima che il PGT vada in Consiglio Comunale - se siano state effettivamente rispettate e garantite le norme sulla trasparenza e sulla pubblicità degli atti di formazione del Piano di Governo del Territorio.

A questo punto una breve parentesi per far notare che neppure l’Osservatorio Ambiente e Territorio di Passirano è stato coinvolto nella stesura della VAS e del PGT. Che dire? Siamo sicuramente di fronte ad uno stravagante caso di paradosso democratico (o di democrazia paradossale?). Perchè prima d’ora non era mai successo che un Osservatorio sull’Ambiente e il Territorio non si fosse occupato di … ambiente e territorio!

Una situazione incomprensibile, ma fino a un certo punto. Perché l’esclusione dal PGT dell’Osservatorio Territorio e Ambiente in realtà nasconde un preciso messaggio politico da parte di questa Amministrazione: la gestione del territorio, patrimonio di tutti, deve continuare a rimanere nelle mani di pochi “addetti ai lavori”.

Ma chi sono gli “addetti ai lavori”? Ovviamente sono le figure dotate di sensibilità paesistica, che fecero improvvisamente la loro comparsa qualche mese fa, nel momento in cui si iniziò a parlare di Piano Paesistico. Nessuno sa bene chi siano, dove vivano, chi frequentino, ma quelle stesse figure, oltre che paesisticamente sensibili, probabilmente sono dei veri fenomeni anche in materia ambientale ed urbanistica. Questo spiegherebbe perché, senza mai interpellare i cittadini, il ristretto club degli addetti ai lavori sta lavorando da mesi in splendida solitudine per decidere il futuro del nostro territorio.


Concludiamo augurandoci che questa Amministrazione, prima che venga adottato in Consiglio Comunale, voglia finalmente illustrare alla popolazione il proprio progetto di PGT, e si decida a rendere pubblici tutti gli elaborati che lo compongono. Un atto dovuto, come abbiamo visto, ma che adesso si rende ancor più necessario, perché il cittadino di Passirano é davvero stanco di continuare ad elemosinare quel che gli spetta di diritto.
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venerdì 1 agosto 2008

Passirano: c'è bisogno di un PGT moderno, costruito "su misura"

Prima delle ferie, proponiamo un ultimo post che riporta il testo del documento inviato, a giugno 2008, dal Comitato di Monterotondo all'Ufficio Tecnico di Passirano, e per conoscenza a tutti i Consiglieri Comunali.
Il documento è stato predisposto a seguito dell'avvio della procedura di consultazione delle parti sociali ed economiche, così come previsto dalla normativa che regolamenta la stesura dei Piani di Governo del Territorio (PGT) comunali.




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1 – La “follia cementizia”

In Italia stiamo assistendo al più lungo ed espansivo ciclo edilizio dal dopoguerra ad oggi. I grandi problemi legati a questa follia cementizia (inquinamento, compromissione ambientale, distruzione del paesaggio, perdita di qualità della vita) non possono continuare ad essere sottovalutati, o peggio ignorati, da chi è istituzionalmente chiamato a tutelare e difendere il bene comune. Per cercare di convincere anche i più scettici che queste affermazioni non derivano da stravaganti ideologie, ma sono semplicemente vere ed ampiamente condivise, questo nostro documento sul Piano di Governo del Territorio di Passirano sarà arricchito da numerosi contributi, provenienti da diverse fonti.



2 – Un territorio sempre più compromesso
Stralcio dell'intervento del dr. Erbani in occasione del V° Premio Cederna della Provincia di Roma, tenutosi a Roma il 30 maggio 2007.
Perché si costruisce tanto, e per chi? Il meccanismo che regola questa trasformazione devastante è di diversa natura.
- Culturale: l'Italia è un paese in cui la consapevolezza della qualità del proprio patrimonio non è adeguata all'entità e alle valenze dello stesso.
- Economica: in Italia la rendita pesa moltissimo, e la rendita fondiaria e immobiliare, in particolare, assorbono tante risorse che altrimenti sarebbero destinate a un più corretto sviluppo;
- Politica: una buona parte della politica non intende né progettare né regolare l'assetto di un territorio, è come inibita dalla forza che esprimono il mondo dell'edilizia e della rendita e si adegua ai suoi desideri, convinta che nel possesso di un suolo sia in qualche modo iscritta la possibilità di una sua trasformazione in senso cementizio e che questa possibilità vada al massimo contrattata, mitigata, ma non condizionata dalla tutela di interessi generali.


Articolo di Repubblica del 20 giugno 2007
I numeri sono impressionanti. Nell´ultimo decennio sono stati costruiti in Italia oltre 3 milioni 231 mila appartamenti. 331 mila nel solo 2006, 30 mila dei quali abusivi. [...] Un paesaggio che sta per essere stravolto da un’occupazione di suoli senza paragoni nella storia. Il patrimonio di bellezza, fatto di natura e arte, di genio urbanistico e architettonico, rischia di rimanere isolato in un mare di case, stabilimenti industriali, infrastrutture senza nessun criterio basati su un´idea vecchia e sbagliata di sviluppo. Secondo Lorenzo Bellicini, direttore del Cresme (autorevole centro studi sull´edilizia), ogni italiano ha sulle spalle un carico di 53 metri cubi di cemento.

Articolo del Giornale di Brescia del 19 marzo 2008
I dati del Politecnico di Milano classificano la terra bresciana come la più urbanizzata in Lombardia. […] Brescia che annualmente consuma 37 ettari di suolo, è la provincia più “sciupasuoli” della Lombardia. Un primato che Brescia si è conquistata mangiandosi, ogni anno, dal 1999 al 2004, un'estensione di terreno pari a 1.858 campi di calcio.



3 – La “questione” paesaggio
La necessità che il nuovo PGT abbia come obiettivo prioritario l’attenta e costante tutela del paesaggio è fin troppo evidente. Come dimenticare, infatti, il forte messaggio politico che centinaia di cittadini hanno indirizzato a questa Amministrazione in occasione del Piano Paesistico Comunale? Ad abundantiam, ma proprio per voler ribadire i concetti che abbiamo sostenuto nei mesi scorsi, riportiamo alcuni articoli di quotidiani che pure non appartengono a pericolose e rivoluzionarie aree massimaliste, non sono schierati con il partito del no (ammesso che un partito del genere sia mai esistito), e non risultano iscritti nel registro dell’ambientalismo militante duro e puro.

Articolo de Il Sole 24Ore del 24 novembre 2007
L'urbanista Pier Luigi Cervellati in un'intervista rilasciata in questi giorni ha dichiarato che “urbanisti e architetti non hanno mai perso la battaglia culturale sul paesaggio, perché non l'hanno mai combattuta veramente. Noi architetti e urbanisti, siamo tutti responsabili non solo dello scempio del paesaggio agrario italiano, ma anche di quanto avviene nei centri storici.”

Articolo di Repubblica del 28 gennaio 2008
A chi appartiene il paesaggio? Chi è il legittimo "proprietario" del territorio, cioè di quel patrimonio costituito nel tempo dalla natura e dalla storia? Le popolazioni che lo abitano oppure l´intera nazione? Di fronte allo scempio del Belpaese, consumato dalla distruzione dell´ambiente, dalla cementificazione selvaggia, dagli abusi edilizi, dall´inquinamento dell´aria e dell´acqua, la tutela del paesaggio assume un valore culturale determinante per la difesa della nostra identità collettiva.

Articolo del Giornale di Brescia del 12 febbario 2008
Il paesaggio non è un bene rinnovabile, e non sempre viene gestito in modo adeguato. Non siamo all'interessamento del Wwf - per la serie, salviamo le specie in estinzione - ma ad un livello alto d'attenzione, quello sì. L'«animale» che va scomparendo - e non occorre imbracciare la bandiera dell'ambientalismo militante per denunciarlo - è il territorio, la nostra terra bresciana.

Articolo del Corriere della Sera del 6 giugno 2008
Prima di tutto ci deve essere il rispetto della «preesistenza ambientale», espressione tecnicamente assai dotta per definire un'architettura in armonia con il paesaggio, soprattutto con quello italiano, un patrimonio unico, di fatto il nostro vero petrolio, la nostra più grande ricchezza. Per buona parte del dopoguerra abbiamo costruito in modo irrazionale, consumando il territorio come se fosse un bene riproducibile, come se fossimo capaci di ricrearlo a nostro piacimento.


4 – Governare un territorio non significa svenderlo
Il vorticoso sviluppo edilizio che ha stravolto in questi ultimi decenni il paesaggio della Franciacorta ha portato nei nostri Comuni un aumento medio degli abitanti del 44%. La notizia, già di per sé preoccupante, diventa quasi incredibile se si considera che, nello stesso periodo temporale, l’incremento del consumo di suolo ha raggiunto il 1.000%.

Questi numeri non sono frutto dell’immaginazione di qualche ambientalista dell’ultima ora, ma sono il risultato di uno studio che la Fondazione Cogeme ha commissionato al prof. Tira dell’Università di Brescia. Una prima considerazione su queste cifre: l’incremento del numero degli abitanti (+44%) non è certo generato dallo sviluppo demografico endogeno. Seconda considerazione: l’utilizzo di suolo (+1.000%), a sua volta, ha avuto uno sviluppo talmente imponente che non è neppur lontanamente correlato all’andamento dei residenti, di per sé già elevatissimo.

Ma come si è determinata questa situazione? Dobbiamo dire grazie all’interessamento di chi ha caparbiamente insistito con Piani Regolatori Generali (regolatori, o regalatori?) che hanno portato Passirano ad occupare le prime posizioni nella “speciale” classifica dei Comuni che hanno consumato più suolo. Insieme a Rodengo Saiano e a Ospitaletto, tanto per fare due esempi. Da notare, oltre tutto, che questa bulimia edilizia non ha portato alcun vantaggio in termini di prezzi: le praterie gentilmente concesse dai PRG alla speculazione edilizia, infatti, non solo non sono riuscite a calmierarli, ma addirittura hanno sortito l’effetto contrario.

Il paradosso “più aree nei PRG, uguale prezzi più elevati” aiuta però a focalizzare un primo importante aspetto: qualcuno tenta ostinatamente di darla a bere, ma è ormai evidente che i PGT non possono funzionare come stabiliz­zatori dei prezzi del settore immobiliare.

Articolo di BresciaOggi del 12 giugno 2008
Il convegno sul contenimento urbano […] conclusosi venerdì pomeriggio a Provaglio in Franciacorta, ha rilevato una situazione che impone una gestione rigorosa dell’uso del suolo. Nel dopoguerra il fenomeno ha accompagnato la crescita demografica con colate di cemento senza regole per rispondere a un solo bisogno. Negli ultimi anni, la pressione demografica è svanita, ma la cementificazione, spinta dal mercato, ha avuto una fortissima accelerazione.

E allora attenzione a chi, nonostante la generale riduzione della pressione demografica, nel PGT continua a predicare “… potenziamenti dello stock edilizio esistente” (cfr. pag 8 del Documento di Piano di Passirano). Prendiamo atto che i nostri Amministratori comunali ci stanno dicendo l’esatto contrario di quel che sostengono i ricercatori del progetto europeo “Gestione urbanistica delle dinamiche urbane” (cfr. il convegno sul Contenimento Urbano tenutosi a Brescia a maggio 2008). Tuttavia, questa diversa visione sull’evoluzione demografica non può che far sorgere qualche perplessità… Perplessità che, in attesa di essere smentite, consigliano una ferma opposizione a tutte le richieste di nuove edificazioni non veramente rivenienti da reali esigenze di natura endogena. Esigenze che dovranno essere supportate e confermate da informazioni di tipo demografico che non si limitino soltanto ad illustrare la crescita di popolazione negli anni scorsi - come fa il Documento di Piano del PGT di Passirano (cfr. pagina 19 e seguenti) - ma che offrano indicazioni sul prevedibile sviluppo della pololazione a 10, 20 e 30 anni.

Ma a proposito, di quanto è cresciuta la popolazione di Passirano dal 1971 al 10.2007? Il Documento di Piano, probabilmente per pudore, cita i dati al fino al 2006, e non li esprime in percentuale. In ogni caso gli abitanti sono passati da 4.412 a 6.907 (fonte Istat), il che significa un incremento di quasi il 60%. Una crescita enorme e abnorme, che certamente non potrà più essere replicata in anni futuri. Questa non è un’affermazione gratuita, ma è quanto afferma l’Istat nella “Previsione della Popolazione per la Lombardia”, che prevede una riduzione di quasi il 25% della popolazione tra 0 e 50 anni nel periodo compreso tra il 2009 e il 2039.

Una breve digressione sulla situazione di Monterotondo (che, per inciso, ha avuto un incremento di abitanti del 50% negli ultimi 20 anni). Visto il particolare contesto, siamo convinti che a Monterotondo ci sia ancor meno bisogno di nuove aree di espansione. Anche perché nella zona del Bettolino, sia pure sul territorio del Comune di Cortefranca, sorgeranno a breve una quarantina di nuovi appartamenti, che porteranno un centinaio di nuovi abitanti a gravitare sul nostro paese.

Tornando a valutazioni di carattere più generale, quel che si deve evitare è che Passirano si traformi in Rodengo Saiano 2, comune che invece punta apertamente a raggiungere i 15.000 abitanti. I nostri amministratori devono sapere che questo tipo di incremento demografico fine a se stesso - che si cerca ancora di contrabbandare quale lusinghiero risultato prodotto da lungimiranti politiche di crescita e di sviluppo economico - non appartiene alla nostra cultura. Perchè i cittadini di Passirano si augurano di vivere in un ambiente a misura d’uomo. Ecco un’altra ragione per la quale non possiamo permet­terci di ripetere gli errori già commessi con i vecchi PRG: il rischio che si corre è di trasformare definitiva­mente il nostro paese in un’anonima periferia, in un non luogo, in un paese-dormitorio.

Altra questione. L’Italia, insieme ai tutti i paesi del mondo occidentale, sta attraversando una delle più gravi crisi del settore immobiliare degli ultimi decenni. Probabilmente una crisi di natura strutturale, che sta colpendo anche a casa nostra: lo testimoniano concretamente le centinaia di immobili invenduti a Rodengo Saiano, Ospitaletto, Travagliato, Rovato, ecc. e, natural­mente, a Passirano. In attesa di vedere se, e come, potrà risolversi questa crisi, tutti - e qui ci vogliamo rivolgere in particolare a tecnici, costruttori e immobiliaristi – dobbiamo ammettere che a Passirano, in questi anni, si è costruito troppo, male e molto, molto di più rispetto alle reali esigenze abitative. Difficile negare questa affermazione, e altrettanto difficile negare che quando si favorisce la speculazione, non si possono tutelare gli interessi di carattere generale.

A proposito di bene comune e interessi generali, pare di poter dire che, nonostante la valanga di oneri di urbanizzazione introitati in questi anni, lo standard generale di vita dei cittadini di Passirano non sia migliorato.

Forse perché:
a)centinaia di migliaia di euro sono stati spesi per il faraonico centro sportivo, con annessi sterminati parcheggi (perennemente deserti), appartamento del custode (desolatamente vuoto), tribune con tettoia visibile da chilometri di distanza, che mediamente ripara non più di 10-20 disincantati spettatori delle partite di calcio;

b)centinaia di migliaia di euro sono finiti in un monumentale palazzetto dello sport, sovradimensionato rispetto alle esigenze delle attività sportive che vi si svolgono, ma che, tanto per gradire, ha costi di gestione elevatissimi;

c)centinaia di migliaia di euro sono stati inghiottiti dall’ex casa del fascio, vicenda sulla quale stendiamo un pietoso velo.

Ma erano proprio questi gli interventi che i cittadini-contribuenti di Passirano si aspettavano di veder realizzati? Valeva la pena cedere consistenti aree alla speculazione edilizia per ottenere in cambio questi “servizi”? Si conferma così, qualora ce ne fosse bisogno, quanto possa essere umiliante dover assistere alla distruzione di un territorio di rilevante pregio ambientale-paesistico per fare cassa. Ma lo è, a maggior ragione, quando si dubita che chi ha compromesso la nostra storia, la nostra cultura, le nostre tradizioni non abbia neppure utilizzato al meglio le risorse che ne sono derivate.

Questa vicenda aiuta a capire che il territorio non può es­sere svenduto come si fa con i gioielli di famiglia, nel mo­mento in cui la situazione finanziaria diventa complicata. Perché di questo passo, tra 15-20 anni (ovvero 2-3 PGT), la speculazione edilizia non avrà comunque soddisfatto la propria bramosia cementizia, qualche Amministratore continuerà imperterrito a farsi incantare dalle sirene dell’infinito incremento demografico, Passirano conterà 15.000 abitanti o più, e i gioielli di famiglia saranno stati tutti venduti. Una visione troppo pessimistica? No, se non smettiamo subito di darci la zappa sui piedi.

Altra questione importante. Finiamola di contrabbandare l’anacronistica idea che i PGT possono determinare crescita e sviluppo economico. Smettiamola di sostenere che concedere nuove aree produttive basti a sconfiggere il pendolarismo a cui sono costretti lavoratori occupati in comuni limitrofi (sembra incredibile ma c’è davvero qualcuno che, nel 2008, avalla questa teoria ottocentesca!). Visto il contesto globale in cui operano oggi le imprese, tutti sanno che neppure iniziative promosse (e finanziate!) da enti di area vasta sono in grado di garantire crescita economica certa e stabile. Ecco perché non basta colorare di rosso qualche zona della Tavola Strategica del PGT per creare ricchezza. Se fosse facile tanto quanto il nostro PGT lascia supporre, in questi anni nessuna industria bresciana avrebbe trasferito i propri impianti industriali nei paesi dell’est Europa. O addirittura in Cina e India.

Non esiste più (se mai è esistita) una diretta correlazione tra numero di metri quadrati di aree artigianali/industriali inserite nel PGT, e benessere economico dei residenti. Stiamo parlando di un mito nato nel periodo del boom economico, ormai abbondantemente superato.

Ma se tutte queste affermazioni sono fondate, come mai nel 2008 ci ritroviamo con un PGT “aggrappato” a logiche da anni sessanta? Ecco alcune ipotesi:
a)qualche Amministratore che ha lavorato ai vecchi Piani Regolatori Generali è tuttora presente nella maggioranza;
b)i “nuovi” Amministratori hanno convintamene abbracciato la tradizione e l’ortodossia di chi li ha formati;
c)più probabilmente chi ha voluto questo PGT non ha il coraggio delle proprie (poche) idee.

Se quel coraggio venisse fuori, bisognerebbe ammettere che anche questo - come tutti i precedenti PRG - è un PGT studiato solo per fare soldi. Ma ovviamente non si può dire. Perchè c’è il rischio che gli elet­tori non siano affatto dell’idea di compromettere ulteriormente la vivibilità del loro territorio, in cambio di opere pubbliche di dubbia utilità. E potrebbero esigere, da subito, che si inizi una più rigorosa ge­stione delle risorse pubbliche.

Le considerazioni precedenti portano davvero a pensare che il PGT di Passirano potrà definirsi tale solo se non consen­tirà la trasformazione di altre decine di migliaia di metri quadrati di aree. Governare un territorio come il nostro non significa cementificarlo, ma al contrario significa tu­telarlo, salvaguardarlo, gestirlo oculatamente.

E non siamo certo noi a scoprire che la Franciacorta non è un luogo banale. A ribadirlo, anche recentemente, è stato il Sovrintendente ai Beni Architettonici e al Paesaggio, arch. Rinaldi, che ha dichiarato di voler sottoporre ad alcuni comuni della Franciacorta, tra cui Passirano, il progetto per la realizzazione di un parco agrario. Ma della posizione espressa dal Sovrintendente il PGT di Passirano non fa alcun riferimento (eppure a quell’incontro i nostri Amministratori erano presenti), e men che meno prende in considerazione la proposta del parco agrario. Il nostro PGT - pur dilungandosi per pagine e pagine sulla rilevanza ambientale-paesaggistica del nostro territorio – nel concreto non propone nulla di nuovo.

Perchè a proposito di concretezza, ci si aspettava che con il nuovo PGT il Comune proponesse alla Regione la dichiarazione di “notevole interesse pubblico” di alcune zone particolarmente pregiate del nostro territorio, con previsione di vincolo paesaggistico sulle aree interessate (ricordiamo che proprio in questi giorni Erbusco ha ottenuto dalla Giunta Regionale parere favorevole a questo tipo di richiesta). Il PGT, invece, si preoccupa solo di ulteriori bisogni abitativi (una teoria che non dimostra…), e continua a predicare che “ci sono indiscutibili esigenze di potenziamento dello stock edilizio esistente” (cfr. pagina 8 del Documento di Piano). Esigenze indiscutibili? Parliamone invece, e in maniera molto approfondita! Perché dietro queste granitiche certezze si nasconde proprio quel che si sospetta: la voglia di avere “soldi facili”. Che potrebbero servire per il polo scolastico (l’ennesimo progetto faraonico), da realizzare contro ogni logica, considerato che l’Istat ipotizza riduzioni percentuali a doppia cifra della popolazione più giovane nei prossimi 15-20 anni.

Articolo di Repubblica del 21 novembre 2007
Quel che suscita allarme, ben oltre i singoli casi, è la delega affidata in ultima istanza ai Comuni in merito alla difesa del paesaggio. Così, con una risibile interpretazione della «democrazia partecipativa», non solo si è abrogato l'art.9 della Costituzione secondo cui «la Repubblica tutela il paesaggio» (non certo i comuni), ma si è innescato un diffuso conflitto d'interessi: gli enti locali, sempre a corto di mezzi, sono invogliati a introiti aggiuntivi, attraverso concessioni edilizie, spese di urbanizzazione, ecc. tanto più che hanno ottenuto di usarli come spesa corrente, cosa che la vecchia legge Bucalossi vietava. Una pratica che può invogliare in qualche caso anche a finanziamenti illeciti, di partito o personali. Oggi in Europa l'icona delle ciminiere e degli opifici è, invece, resa sbiadita dalla globalizzazione. Le fabbriche del mondo saranno sempre più in Cina, in India, in Indonesia, in Brasile. In Occidente subentrerà, per chi saprà raccogliere la sfida, l'impresa immateriale, tecnologica, informatizzata. In questo quadro l'Italia possiede un solo bene insostituibile, non scalfibile dalla concorrenza, il territorio. Ogni ettaro distrutto è una picconata contro noi stessi. Chi non lo capisce si comporta come i talebani che fecero saltare i Buddha di Bamyan in nome dell'islamismo puro e duro.

Articolo del Giornale di Brescia del 23 febbario 2008
La risposta alla crisi della passata e presente esperienza pianificatoria non può consistere nel cieco affidamento alla forza propulsiva delle dinamiche economico-sociali, poiché appare troppo grave il pericolo che l'esito di una siffatta abdicazione della pianificazione regolamentata possa segnare l'affermazione tecnocratica sul territorio dei soli interessi di potentati pubblici e privati. […] Nella «nuova idea della pianificazione che avanza» l'assegnazione della capacità edificatoria ad opera del PGT (e dei suoi piani attuativi) rischia di essere condizionata più dalle pressanti esigenze finanziarie comunali che dall'obiettivo riconoscimento della vocazione urbanistica di determinate porzioni del territorio.

Articolo del Giornale di Brescia del 1° maggio 2008
Lo sviluppo è necessario, ma va «ripensato a fondo»: agli indicatori economici vanno affiancati altri criteri di valutazione, parametri relativi alla qualità della vita e al benessere sociale. Nel rischio di esaurire e intaccare preziose risorse e delicati equilibri, occorre attenersi a un prudente principio di precauzione e valutare sempre i possibili impatti su tempi lunghi anche per rispetto e tutela delle future generazioni. Scienze della natura, scienze economiche e scienze umane sono chiamate ad affrontare insieme queste sfide impegnative.



5 – Uno sguardo oltre l’orticello
A Londra negli ultimi dieci anni non si è consumato un solo metro quadrato delle green belts, delle cinture verdi. Di più, nel 2001 Tony Blair ha approntato una legge che prescrive che soltanto il 30% cento delle nuove edificazioni possa sorgere su aree libere, ex agricole, mentre il 70% per cento deve sorgere su aree già costruite o su ex aree industriali. Sempre a Londra si propone di concentrare il 100% dell’edilizia nuova nelle brown belts, cioè nelle aree già edificate.

In Germania la stessa Angela Merkel, quando nel 1998 era ministro dell’Ambiente, ha varato una legge che limita nei Laender il consumo di suolo a 30 ettari al giorno, cioè a meno di 10.000 ettari l’anno. Un sogno per noi che ne consumiamo più di 244 mila! E la Merkel non è certo una massimalista ...



6 – Il bene comune necessita di PGT di contenimento
Riportiamo ora un altro dei passaggi cruciali dell’intervento dell'arch. Luca Rinaldi, Sovrintendente ai Beni architettonici e paesaggio, nel corso dell'incontro organizzato da Fondazione Cogeme, tenutosi a Iseo il 2 febbraio 2008: “… i Piani di Governo del Territorio (PGT) troppo spesso mostrano carenze preoccupanti, perché sono ancora concepiti come piani di sviluppo e non come piani di contenimento, in un'epoca in cui, però, è fin troppo chiaro che il consumo di suolo deve essere drasticamente ridotto se non arrestato completamente. Ci sono troppi PGT che vogliono ulteriore espansione edilizia anche su aree a vocazione turistica ed ambientale come quelle della Franciacorta, dimenticando, ad esempio, le possibilità offerte dal recupero dell'edificato esistente.”

Articolo del Giornale di Brescia del 3 giugno 2008
E’ dei giorni scorsi una nota inviata ai Comuni dalla Sovrintendenza. In riferimento alla stesura della VAS, uno dei documenti che concorrono a formare il PGT, viene suggerita la seguente indicazione di metodo: la tutela storica e ambientale deve prevalere sulla pianificazione urbanistica.

Giornale Brescia del 1 aprile 2008
Partiamo dai prossimi PGT consapevoli che le comunità locali hanno esigenze a cui va data risposta. Queste risposte, però, vanno pianificate a partire dai bisogni reali dei cittadini, e non dalle spinte speculative, che spesso servono anche ai Comuni per fare cassa. In questo modo, ogni consumo di suolo avverrà dopo attenta riflessione, con la piena coscienza del gesto che si compie. Ne consumeremo meno e lo consumeremo meglio, tenendo conto delle generazioni future e della qualità della nostra stessa vita attuale.



7 - Le nostre proposte operative
Elenchiamo di seguito, sia pure in maniera schematica, alcune proposte operative:
a)potenziamento dell’informazione e della partecipazione dei cittadini, che deve iniziare già da questa fase e protrarsi per l’intero periodo di sviluppo della VAS e del PGT;

b)censimento delle superfici attualmente inutilizzate di immobili ad uso artigianale/industriale;

c)censimento delle superfici degli alloggi vuoti o invenduti;

d)censimento delle volumetrie realizzabili sulle aree di completamento già previste dal PRG in vigore, che ad oggi risultano ancora non edificate;

e)approfondita analisi dell’evoluzione demografica a 10, 20 e 30 anni, considerato che l’Istat prevede a livello regionale, nel periodo 2009-2039, un decremento degli abitanti d’età compresa da 0 a 50 anni di circa il 25%;

f)controllo delle edificazioni di grosse volumetrie (agriturismo, cantine, ecc.) in zone di pregio paesistico/ambientale, soprattutto se la richiesta di costruire interessasse posizioni collinari dominanti. A questo proposito il PGT dovrà identificare ed individuare zone totalmente inedificabili. L’inedificabilità diventerà regola, e sarà automaticamente applicata, oltre una certa quota;

g)valorizzazione e fruizione degli ambiti di rilevanza ambientale;

h)regolamentazione, tutela, salvaguardia e difesa delle aree agricole dalla diffusione residenziale;

i)recupero e restituzione alla fruizione pedonale e ciclabile delle strade comunali di campagna;

l)per Monterotondo: mantenere l'originalità del nostro sistema viario a misura del traffico locale e migliorarne la sicurezza, disincentivando con opportuni interventi mirati il traffico di attraversamento con una oculata politica di rinnovo dell'arredo urbano, senza deturpare il territorio con inopportune bretelle di scorrimento veloce.




8 – Un PGT che non ci appartiene

Come abbiamo visto, quello proposto dall’Amministrazione è un PGT vecchio stampo, che sembra appositamente costruito per fare soldi. E questo è il suo più grande difetto. Ma ne ha tanti altri, perché è figlio legittimo di una politica di basso profilo, a sua volta espressione di politici incapaci di essere direzione evoluta e guida moderna. E’ un PGT senza bussola, senza obiettivi, senza traguardi, che non ha una visione, che non ha una mission, che non si confronta con i profondi mutamenti in corso. E’ un PGT freddo, apatico, distaccato, che non coinvolge, che non emoziona, che non fa e non diffonde cultura del territorio.

Eppure ci sarebbe molto da dire in un momento di crisi energetiche, ambientali, climatiche, immobiliari, e (addirittura) alimentari, che potrebbero cambiare profondamente il nostro stile di vita. E invece nulla. Perché è un PGT sbiadito, timido, senza carattere, senza spina dorsale, senza coraggio e senza idee distintive. Un PGT anonimo, grigio, privo di slancio, che non sa immaginare scenari futuri, che non ha strategie, che rinuncia a progettare il domani. E’ un PGT nato vecchio, impacciato, goffamente appiattito su schemi mentali logori e superati.

E’ un PGT che vuole altre strade, parcheggi, velocità degli spostamenti individuali. Un PGT che sembra riprendere e riproporre, con un secolo di ritardo, il mito Futurista che esalta “la bellezza dell’automobile in corsa”. Un PGT che continua a credere nel sogno americano “anni sessanta” dell’auto come affermazione di indipendenza e di libertà. Un PGT che vuole “bretelle”, magari da costruire a solo 1 km di distanza dall’esistente tangenziale. Un PGT che spende centinaia di migliaia di euro per evitare ai pedoni di percorrere 100 metri a piedi, o per guadagnare 20, 30 secondi nel percorso quotidiano studio, lavoro, famiglia. Passirano, il paese costruito a misura d’auto: nessuno intende demonizzare l'automobile, ma una classe politica, in occasioni come queste, non può sottrarsi al dovere di ponderare e dar conto delle possibili alternative. Anche perché stiamo pagando il petrolio 140 $ al barile!

Un PGT miope, che si disinteressa e non si cura di quel che sta accadendo, che non interpreta i mutamenti in atto. Un PGT fuori dal mondo che non analizza, non esamina, non ricerca, non si preoccupa di fare sistema: e, infatti, il PGT non dice se e quali misure intende adottare per favorire la trasformazione in linea metropolitana della ferrovia Brescia-Iseo. E’ un PGT che ignora le sollecitazioni della Sovrintendenza, quasi fossero delle gratuite provocazioni, un PGT che si dimentica di tutelare concretamente (come ha fatto Erbusco) le tante zone di eccezionale valore paesistico. E’ un PGT che non si mette e non ci mette in gioco, che non porta novità, un PGT “provinciale”, autarchico, che ha la presunzione (sbagliata) di poter bastare a se stesso. E’ un PGT pre-elettorale, a cui forse si applicheranno le corrose regole del manuale Cencelli, un PGT che distribuisce senza troppo costrutto un po’ di case qui, un po’ di capannoni lì, una “bretella” di 80 metri là.

Ma soprattutto non è il nostro PGT. Perchè non ci appartiene e non ci rappresenta, non ci descrive e non ci raffigura. Questo è un PGT senz’anima, senza radici, che ignora il nostro passato, la nostra storia, la nostra identità, che si disinteressa delle nostre aspirazioni e del nostro futuro. Di più, è un PGT con qualche elaborato “clonato”. Se così non fosse, nella relazione allegata al Piano Paesistico non troveremmo una lunga digressione su specie arboree che a Passirano neppure esistono. Se così non fosse, il Documento di Piano, a pagina 104, non si preoccuperebbe del comune di … Salò! Il Comune gardesano forse ringrazierà per essere stato citato nel nostro Documento di Piano, ma sicuramente non concorrerà al pagamento dei tecnici che stanno lavorando al PGT di Passirano. Ne siamo certi: quel conto (a proposito, a quanto ammonta?) rimarrà totalmente a carico nostro.

In sintesi, siamo alle prese con un PGT senza personalità che non solo non può governare un territo­rio come il nostro, ma neppure un indistinto sobborgo della cintura milanese. Ecco perchè i cittadini di Passirano hanno il diritto di avere un PGT diverso rispetto a quello che l'Amministrazione ha progettato: un PGT su misura, e che guardi al futuro.





mercoledì 30 luglio 2008

Il Comitato di Fantecolo

Interrompiamo molto prima del previsto il nostro "silenzio" per segnalare che anche a Fantecolo è sorto un Comitato di cittadini. Come si legge sul blog http://www.fantecolo.blogspot.com/ il Comitato si è costituito "... al fine di sensibilizzare la cittadinanza e l' amministrazione comunale alla salvaguardia del paesaggio e del patrimonio ambientale del nostro paese. Infatti Fantecolo, frazione di Provaglio d'Iseo, da alcuni anni è oggetto di speculazioni edilizie e di interventi sul paesaggio anche da parte della pubblica amministrazione, tali da averne quasi completamente stravolto l'aspetto".


Che dire? Che la speculazione edilizia sta veramente umiliando il nostro territorio, con la miope "collaborazione" di tante Amministrazioni che hanno ampiamente dimostrato di non saper tutelare il bene e l'interesse comune.


Al neonato Comitato di Fantecolo un grosso "in bocca al lupo".
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mercoledì 16 luglio 2008

Arrivederci

Il 14 maggio 2007 il Comitato di Monterotondo promuoveva una raccolta di firme per richiedere l'aumento delle classi di sensibilità previste dal Piano Paesistico Comunale di Passirano. Un'iniziativa, ricordiamolo, alla quale hanno aderito ben 345 cittadini.

Da quel giorno ad oggi, il nostro blog ha ospitato 345 post. Un numero non certo casuale, ma che origina dalla volontà di "dare la parola" - ancorchè idealmente - ad ognuno dei 345 cittadini. 345 interventi che, ci auguriamo, possano aver contribuito a fornire qualche spunto di riflessione in materia di res publica.



Detto questo, non possiamo certo dimenticare che le elezioni amministrative del 2009 sono dietro l'angolo, e che tra pochi mesi i cittadini di Passirano conosceranno quali sono le forze politiche che si candideranno a guidare la nostra comunità. Ecco una valida ragione per mettersi (temporaneamente) alla finestra, e "lasciare la parola" ai progetti e ai programmi di chi vorrà guidare Passirano nei prossimi anni.

Progetti e programmi che, ovviamente, vedremo di valutare e commentare.

Arrivederci.

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venerdì 4 luglio 2008

I controlli dei cittadini danno forza alla democrazia

Stralcio di un articolo di Franco Locatelli pubblicato su "Il Sole24Ore" del 17 marzo 2008.




E' vero che la campagna elettorale in corso invade le case di tutti noi e monopolizza le pagine dei giornali e delle trasmissioni radiofoniche e televisive, ma togliamoci dalla testa l'idea che la democrazia si esaurisca nella partecipazione al voto ogni cinque anni. Una democrazia compiuta è ben altro e richiede impegno costante di informazione, controllo, denuncia, protesta e proposta di tutti i cittadini per spronare le Istituzioni a dare il meglio di sè nell'interesse di tutti.


Proprio per questo l'iniziativa assunta dalla Fondazione Civicum sulla chiarezza e trasparenza dei bilanci dei Comuni italiani merita un plauso sincero perchè è un esempio di sensibilità e di impegno civico sempre più rari. L'idea di confrontare il modo in cui i nostri Comuni redigono i bilanci e li comunicano e quella di compararli [...] non è un semplice esercizio contabile, ma un modo concreto di chiedere conto agli amministratori comunali di quello che non hanno saputo o voluto fare.


In un periodo di finanza pubblica difficile e di federalismo più o meno strisciante, occorre cominciare a guardare molto da vicino i bilanci finora inaccessibili dei Comuni, [...] e va giudicata altamente meritoria l'opera di chi punta a stimolare una trasparenza pubblica non fine a se stessa ma volta ad illuminare i cittadini su cosa fanno i loro Comuni, e quali risultati ottengono, ma a consuntivo e non semplicemente a preventivo dove valgono spesso vaghe promesse. [...]


A dimostrazione di quanto utile sia la pressione della società civile organizzata per far sì che i Comuni imparino a considerare la trasparenza nei conti di casa non come un fastidio o un orpello, ma come un esercizio essenziale di buona amministrazione e di vera democrazia.




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giovedì 3 luglio 2008

Una visione più restrittiva. E più realistica...

Articolo del Giornale di Brescia del 2 luglio 2008. Passirano, «risparmiare il territorio, stop all’espansione».



L’Osservatorio comunale Ambiente e Territorio ha organizzato un incontro pubblico per discutere del Documento di Piano Preliminare e approfondire i temi legati alla tutela del territorio. All’appuntamento erano presenti le tre associazioni rappresentate all’interno dell’Osservatorio: Legambiente, l’Associazione per la tutela ambientale della Franciacorta e La Gratuità, a cui l’Amministrazione ha chiesto di stilare una proposta per il Piano di governo del territorio. La sala civica di Passirano era particolarmente affollata.

Parzanini, responsabile Legambiente provinciale affonda: «Non bisogna più costruire a prescindere dalle vere esigenze endogene ed è necessario contenere il consumo di territorio. Erbusco ha avuto riconoscimento di vincolo paesistico su molte aree di pregio e Passirano deve prendere esempio». Parzanini porta all’attenzione del pubblico alcune questioni specifiche. Innanzitutto ci sarebbe la criticità della zona industriale al confine con Ospitaletto, non ancora collaudata né urbanizzata e ancora senza fognature. Poi la necessità di salvaguardia delle zone agricole e in particolare la bassa pianura di Passirano. Infine indica che sarebbero state messe a progetto troppe strade inutili, invece di incentivare il trasporto pubblico, non ultimo quello ferroviario.

La visione delle tre associazioni è insomma più restrittiva del Pgt: lo stesso Sovrintendente ai beni architettonici e al paesaggio, Luca Rinaldi, auspica un Pgt di contenimento e non di espansione.
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mercoledì 2 luglio 2008

Fino a quando potremo reggere un'edilizia fine a se stessa?

Articolo di BresciaOggi del 30 giugno 2008.



Vi ricordo una bella iniziativa: il censimento delle brutture varato dal Fai, annunciato anche da “Bresciaoggi”. Tutti possono segnalare gli ecomostri che sfregiano il paesaggio italiano. Basta ritirare l’apposita cartolina presso le agenzie della Banca Intesa SanPaolo o presso le filiali e le delegazioni del Fai o i punti vendita Ricordi e Feltrinelli e compilarla; c’è tempo sino al 30 ottobre. Chi usa abitualmente Internet può anche indicare gli ecomostri collegandosi col sito ufficiale del Fai.

L’iniziativa del Fondo per l’ambiente italiano s’intitola «Cancelliamo insieme le brutture d’Italia», slogan della quarta edizione dei «Luoghi del cuore». Gli «orrori» sono innumerevoli e molti si “ammirano”, si fa per dire, anche qui sulle sponde del nostro Garda, in particolare sulla Riviera di Salò. Alcuni li ho già segnalati, ma ce ne sono anche altri e purtroppo continuano a crescere sotto gli occhi di tutti, senza che gli amministratori pubblici (e in particolare quelli del Parco Alto Garda) battano ciglio!

Giulia Maria Crespi, coraggiosa presidente del Fai afferma: «Non basta più guardare gli ecomostri, dobbiamo unire la ragione al cuore. Solo così possiamo liberarci da questa sorta di assuefazione al brutto che è attorno a noi». La campagna del Fai ha già avuto testimonial ben noti, a cominciare dal ministro Bondi. Hanno pure aderito Beppe Grillo, Milena Gabanelli, Sabrina Ferilli, Lucio Dalla, Antonio Ricci (che ha messo a disposizione gli inviati di “Striscia la notizia”) nonché moltissimi altri personaggi. E naturalmente al Fai le adesione continuano a giungere a valanga.

Corrado Passera della Banca Intesa SanPaolo ha affermato che si tratta di un «esempio di partecipazione concreta dei cittadini: sui temi importanti la gente ha voglia davvero di partecipare». E lo dimostra qui da noi il libro promosso dai “Nuovi Amici di Gardone Riviera” curato da Enrico Bosco e intitolato «Gardone Riviera fra passato e futuro» in cui gli scempi grandi e piccoli sono documentati con fotografie a confronto.

Un’iniziativa che sta riscuotendo particolare interesse e che probabilmente avrà seguito in altri paesi. La battaglia in difesa della Bella Italia ha il suo ispiratore in Pier Paolo Pasolini, che nel 1974 lanciò un appello per salvare il borgo di Orte nel Viterbese aggredito dal cemento. Fu un grido inascoltato. La sensibilità per difendere il Bel Paese è dura a maturare. Lo dimostra il fatto, ha osservato ancora Giulia Maria Crespi, che nell’ultima campagna elettorale «nessuno ha parlato dell’importanza del paesaggio, dell’arte, della cultura».

Il mondo politico sembra in genere ancora credere a quanto affermò nel 1849 il deputato francese Martin Nadaud all’assemblea legislativa: «Quand le bâtiment va, tout va», quando si costruisce tutto va bene. L’aforisma era forse valido nell’Ottocento, ma nel terzo millennio va interpretato «cum grano salis», direbbe Plinio il Vecchio: con un po’ di buon senso!

L’edilizia per l’edilizia, soprattutto brutta, e non necessaria, è distruttiva. Il presidente di Italia Nostra, Giovanni Losavio, ha lanciato nel dicembre scorso un forte appello per la tutela del paesaggio gardesano. «Il Lago di Garda rischia di rappresentare il peggior esempio italiano di governo del paesaggio per assenza di tutela», ha dichiarato.

E ancora: «Nell’ultimo decennio, pesanti interventi di edilizia speculativa hanno gravemente compromesso l'ambiente lacustre, specialmente perché gli “strumenti della tutela del paesaggio” non hanno degnamente svolto il loro compito: il Piano paesistico regionale non è precettivo, il piano territoriale paesistico provinciale pare inefficace e la sub-delega regionale ai comuni in materia di rilascio delle autorizzazioni paesistiche nelle aree soggette a vincolo ambientale hanno consentito innumerevoli scempi che la sezione di Brescia di Italia Nostra da anni denuncia». E gli esempi, purtroppo, non sono solamente quelli indicati da Italia Nostra.



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martedì 1 luglio 2008

PGT di Passirano: nuove strade, altri parcheggi. Ma l'auto corre verso il capolinea

La recessione americana cominciata con il collasso dei subprime, una volta passata al comparto manufatturiero ha trovato nel settore dell'auto il punto di debolezza. Articolo di Andrea Tarquini, tratto dal sito di Repubblica.



La tempesta si è abbattuta sull'Europa e sul Giappone, l'incubo del mondo delle quattro ruote è divenuto realtà. La crisi del mercato dell'auto ormai non è più solo nordamericana, è diventata globale: il mondo dell'auto teme un Sunset Boulevard, un doloroso viale del tramonto. I grandi produttori nipponici e del Vecchio continente ne sono investiti in pieno. E' forse la sfida più dura che il settore abbia mai affrontato, più di ogni domenica senza auto dopo una guerra in Medio Oriente, accentuata giovedì scorso dal crollo in borsa di General Motors: meno 12 per cento, i minimi dal '95, un tonfo che ha colpito l'intero comparto. E' una sfida pesante, perché nel complesso della hard economy, l'economia manifatturiera, l'auto ha un ruolo più importante nella Ue e nel Sol Levante che non negli States.

"L'auto ha ancora un futuro, e quale?". L'interrogativo pesa come un macigno. Da Tokyo a Wolfsburg, da Torino a Parigi-Billancourt, spazza via ottimismi, certezze, speranze. E' un colpo al cuore del sistema industriale europeo e giapponese. Un colpo al cuore, avvertono gli analisti rassicurando solo in parte, da cui ci si può salvare. Ma solo facendo scelte senza compromessi: più competizione sui nuovi mercati, a cominciare dall'area Bric (Brasile Russia India Cina) e nel contempo auto più ecologiche che mai per i mercati interni ormai saturi. Insomma, siamo entrati in una fase di svolta nella storia industriale del mondo.

Toccherà al comparto auto una sorte di declino, come è avvenuta nelle vecchie potenze industriali per il tessile, l'acciaio, le tipografie? Antiche aristocrazie operaie, che in decenni e generazioni di duro lavoro hanno messo su famiglia, comprato case, si sono quasi imborghesite, devono temere il precipizio della nuova povertà con altre grandi parti delle società in cui vivono?

La situazione, secondo i dati di maggio, è dura. Non crolla più solo il mercato americano, dove l'onda lunga della crisi dei mutui subprime e delle tempeste finanziarie ha abbattuto la voglia di comprare dei consumatori, e dove euro e yen con cui paghi Bmw o Lexus, Golf o Toyota, sono troppo più forti del dollaro. I big dell'auto euronipponici non scontano più solo l'effetto della fine inevitabile della lunga guerra a chi offriva più sconti. [...]

Non pesa solo il caro-petrolio. Aumentano anche le materie prime vitali per il comparto e per l'indotto: più 174 per cento per il rame, più 176 per cento per i metalli riciclati, più 55 per cento per l'alluminio, più 60 per cento per l'energia elettrica. E comunque, proprio per i produttori che vendono di più negli Usa (tedeschi e giapponesi, appunto) il contemporaneo calo dell'11 per cento delle vendite in America è un colpo storico.

Solo in Francia le vendite sono cresciute a maggio, mentre in Italia e Spagna sono crollate rispettivamente del 18 e del 24 per cento e nel regno Unito del 3,5. Se l'Europa piange, il Sol Levante non ride. Proprio loro, gli ex nemici mortali dell'America piegati dai B29 e da due bombe atomiche, si erano presi la rivincita della pace: erano diventati numero due mondiale mondo come primi esportatori di auto negli States. Adesso la bolla esplosa li colpisce duro. Toyota, numero uno mondiale, lamenta un prevedibile calo degli utili del trenta per cento. Nissan, la poderosa testa di ponte americana che il geniale Carlos Ghosn ha dato a Renault, è a meno 29,5 per cento. [...]
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lunedì 30 giugno 2008

Sul nuovo codice dei Beni Culturali e del Paesaggio

Stralcio dell'articolo di BresciaOggi del 9 giugno 2008.



Il nuovo codice dei Beni culturali e del Paesaggio si trova sul dossier mensile di maggio, numero 5, della “Guida al diritto” del «Sole 24ore», curato da Rosa Maria Attanasio, Carmine De Pascale e Simona Gatti, schede e tabelle di Anna Corrado; un dossier estremamente aggiornato: decreti legislativi, i precedenti, la guida alla lettura e i commenti di autorevoli specialisti. I curatori scrivono che "il testo unico dei beni culturali e del paesaggio cambia per la terza volta".

Dopo l'emanazione nel 2004 del cosiddetto “Codice Urbani”, le prime correzioni furono introdotte con i Dlgs nn. 156 e 157 e oggi ampliate e aggiornate dai decreti n. 62 e n. 63 in vigore dal 15 aprile 2008. Il primo provvedimento riguarda i singoli beni, mobili e immobili, di valore culturale, l'altro il paesaggio». Gli interventi sui beni culturali hanno carattere di dettaglio e settoriale: sono fissati, ad esempio, i principi generali della circolazione internazionale delle cose d’interesse storico e artistico e sono previsti gli obblighi degli enti pubblici per la conservazione e l'ordinamento dei propri documenti.

Le innovazioni più rilevanti riguardano il tema del territorio dove viene ampliato e modificato il regime delle prescrizioni e il Soprintendente arriva ad avere un ruolo di primo piano visto che, fino al 2009 o comunque fino a che non saranno adeguati gli strumenti urbanistici, sarà titolare di un parere vincolante. Altra importante novità è l'iter per il rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche attraverso il quale il legislatore ha cercato di coniugare il rafforzamento della tutela e la semplificazione delle procedure. Invariata, invece, la norma sull'insanabilità degli abusi già eseguiti.

Il decreto n. 63 prevede due tipi di abusi: il primo sanabile, se vi è compatibilità paesaggistica; un altro assolutamente insanabile nel caso di volumi o superfici aggiuntive e ristrutturazioni. E’ quindi ribadito che la tutela e la valorizzazione del paesaggio e del patrimonio culturale «concorrono a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura». Viene anche affermato il concetto che tale patrimonio «è costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici. I beni del patrimonio culturale di appartenenza pubblica sono destinati alla fruizione della collettività, compatibilmente con le esigenze di uso istituzionale». [...]


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venerdì 27 giugno 2008

Passirano, nuovo sistema di raccolta dei rifiuti

Articolo del Giornale di Brescia del 26 giugno 2008. Nuovo sistema di raccolta dei rifiuti. Passirano, parte il «porta a porta».



È stata presentata a Passirano la nuova raccolta differenziata porta a porta, il progetto di Cogeme Gestioni che coinvolge anche Paderno, Cazzago San Martino, Castegnato, Rovato e Coccaglio. Nel corso di un incontro pubblico due incaricati di Cogeme espongono il progetto: per prima cosa verranno eliminati i cassonetti, e la raccolta e separazione dei rifiuti avverrà in casa. Finora nella parziale raccolta differenziata porta a porta, per esporre i rifiuti ci si ingegnava con cassette della frutta o scatole di cartone; ora per evitare infortuni sul lavoro agli operatori Cogeme e agevolare il compito della differenziazione agli utenti, ad ogni nucleo famigliare sarà consegnato un kit di contenitori.

C’è brusio in sala quando viene mostrato il gioco di «scatole cinesi» del corredo di riciclaggio: da un primo contenitore ne escono altri due, e da questi viene magicamente estratto un ulteriore paio di speciali secchi. Ognuno è adibito a differenti tipologie di rifiuti: plastica, vetro e alluminio, carta, rifiuto organico e indifferenziato. Le domande dei cittadini sono tante. Viene spiegato loro che la plastica considerata riciclabile è solo quella degli imballaggi e delle bottiglie, quindi no a bicchieri e piatti in plastica, giocattoli rotti.

Bisognerà separare anche la cosiddetta frazione organica (gli avanzi di pranzi e cene): il contenitore fornito, da sette litri, può sembrare insufficiente ma, con l’evaporazione dell’acqua contenuta nei cibi, il volume si riduce moltissimo nel giro di poco tempo. Nell’indifferenziato va messo tutto ciò che non è riciclabile. Ogni bidone dell’indifferenziato ha un chip, in modo da renderlo ricollegabile al proprietario del bidone stesso: il volume dell’indifferenziato e la frequenza con cui verrà effettuata la raccolta porta a porta saranno i due fattori determinanti per il calcolo dell’imposta. In caso di esigenze particolari, come famiglie con bambini che usano il pannolone o persone con problemi specifici, verranno attuate agevolazioni.

La distribuzione dei contenitori avverrà a metà luglio e due settimane dopo partirà la nuova raccolta. Il progetto pare aver convinto, o perlomeno incuriosito, il pubblico presente: qualche scontento si agita sulla sedia, certo, ma le casalinghe, abituate a organizzare e gestire la casa, sembrano quasi impazienti di sperimentare il nuovo equipaggiamento.



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giovedì 26 giugno 2008

Gli economisti? Cominciano a parlare di sviluppo sostenibile ...

Stralcio dell'articolo del Giornale di Brescia del 25 giugno 2008. Ieri il dibattito con Solow, Richard Ernst, Dennis Snower e Odifreddi



Pubblico ristretto, con lo «zoccolo duro» degli studenti della Summer School a seguire attentamente due Nobel, un economista e un matematico nella discussione sul tema «Crescita, sviluppo e sostenibilità». [...] L’idea di un contatto costante fra giovani di diverse nazioni è l’humus sul quale poter costruire le basi di un rinascimento sociale globale attorno al quale ieri hanno ragionato Robert Solow (Nobel per l’Economia 1987), Richard Ernst (Nobel per la Chimica nel 1991) e l’economista Dennis Snower, nel corso del dibattito moderato dal matematico Piergiorgio Odifreddi.[...]

Ha fatto un certo effetto sentire degli economisti cresciuti a robuste dosi di liberismo fare accenni «francescani» sulla necessità di cambiare strada nella valutazione della persona, che non solo sul mero denaro deve misurare il proprio stato di felicità. E ancora. Proprio Robert Solow ha aperto la strada ad una concezione nuova della crescita economica. Solow non rinuncia al ruolo «terapeutico» della crescita, ma apre alla necessità che le ricchezze del pianeta vengano suddivise equamente e che s’introduca una tassa sull’ambiente.

Questo - spiega - perchè ciò che inquina meno deve essere premiato. Ernst punta ancora più in alto, crede in una società fondata su nuovi valori, che siano più puntati sulla «misericordia» che sul «profitto». A questo punto nasce la divisione fra le menti economiche e quella pur scientifica, ma legata al laboratorio, di Ernst. L’invito a superare la scuola dell’egoismo dell’ultimo, viene ripresa e rielaborata da Solow e Snower che, in un’alternativa percorribile, suonano la sveglia di una crescita globale condivisa. Dare maggiori opportunità di ricchezza, nell’ottica di una corretta gestione, può salvare il mondo da molte attuali storture e sperequazioni. Una «next generation» in grado di coltivare ambizioni diverse dal possesso personale ha bisogno di tempo, almeno 100 anni prevedono Solow e Snower.

Nel frattempo diventa imperativo ridurre i consumi, perchè oggi i mercati non garantiscono un’equa distribuzione delle risorse e non limitano l’inquinamento ambientale. E affinché il progetto vada in porto i Nobel seduti attorno ad un tavolo discutono del concetto stesso di democrazia. Nel senso che solo una limitazione sensibile del primato indiscusso della maggioranza può essere la porta d’accesso alla soluzione dei problemi delle diversità e alla promozione dei diritti della minoranza. In tal senso i gruppi di interesse, in sostanza le lobbies, «sono un grande pericolo» che frena la costruzione di nuovi modelli sociali.

Peccato che questo insegnamento sia stato dimenticato dapprima proprio negli Usa... anche se pare che il modello sociale-economico proposto dai Nobel ad Iseo punti dritto verso un nuovo indirizzo: il «neoliberismo» potrebbe essere messo nel ripostiglio per ripristinare un più sano «liberismo condiviso». Far pagare una tassa sulle materie più inquinanti è un fatto che deve seguire regole globali. Proprio per questo lo scenario è davvero complesso: quale Stato sarà disposto a rinunciare alla propria sovranità in cambio di uno sviluppo mondiale sostenibile? Il momento è complesso: viviamo in un mercato globale, non in un sistema globale, quindi la domanda è: sarà accordo o guerra?
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mercoledì 25 giugno 2008

Il vortice dello sviluppo (non sostenibile)

Articolo pubblicato sul Corriere della Sera del 26 marzo 2008. Nelle sue lezioni sulla democrazia il politologo Giovanni Sartori denuncia la «crescita insostenibile», tra penuria idrica e crisi energetica. "Il mercato non salverà la Terra. Le teorie degli economisti sono vane dinanzi ai rischi demografici e ambientali".



Qual è il rapporto tra democrazia e sviluppo economico? Nel secondo dopoguerra ha trionfato la dottrina economicistica che sostiene che per trasformare i regimi autocratici in democrazie occorre una crescita di benessere, e che il benessere porta automaticamente con sé la democrazia. Insomma, la democrazia dipende dai soldi e nasce con i soldi. È proprio così? Direi di no. Cominciamo con il rapporto tra democrazia e mercato. È ormai assodato che una democrazia senza sistema di mercato è poco vitale. Ma non è vero il contrario. Un'economia di mercato può esistere e fiorire senza democrazia, o precedendo la democrazia: vedi Singapore, Taiwan, Corea del Sud, Cina. Altro quesito: se la democrazia produca benessere. Sì, ma anche no.

L'America Latina è stata impoverita anche dalla democrazia, perché la democrazia induce o può indurre a consumare più di quello che si produce o si guadagna. E le «democrazie in deficit» sono state e continuano a essere frequenti. Guardiamo allora all'aspetto nuovo del problema, al rapporto tra democrazia e sviluppo. Finora si è argomentato, per un verso, che il benessere promuove la democrazia e, dall'altro, che il denaro la corrompe e la compra. Ma finora il rapporto tra Stato e mercato vedeva uno Stato che variamente regolava e interferiva nel mercato. Ma recentemente, con la globalizzazione, si è creato lo «sviluppismo», una dinamica, un vortice che nessuno (neanche gli Stati) riesce a disciplinare né a frenare, uno svilupparsi a ogni costo, il più presto possibile, alla maggiore velocità possibile.

È bene che sia così? Sarebbe un bene se vivessimo in un pianeta sottopopolato e, diciamo, dieci volte più grande del nostro con risorse praticamente integre. Il guaio è che il nostro è un pianetino disperatamente sovrappopolato, nel quale la crescita non può essere illimitata, e che da qualche decennio è entrato nel vortice di uno «sviluppo non sostenibile», tale perché consuma più risorse di quante ne produca, e che attinge a risorse in via di esaurimento.

Ma di questo sviluppo non sostenibile il grosso degli economisti non si vuole nemmeno accorgere. Il loro mantra è che a tutti i problemi dello sviluppo infinito e della crescita a gogò provvederà il mercato, quando sarà tempo di provvedere. Ma no, proprio no. Dicevo dello sviluppo non sostenibile, e che questo problema non è affrontato e tanto meno risolto dai meccanismi di mercato.

Intanto, mercato e sistema economico non coincidono. Il mercato non contabilizza tantissime cose, per esempio i «beni collettivi», quei beni che nessuno paga e che sono pagati, di regola, dalle tasse. Gli esempi classici sono la polizia, la sicurezza, le strade. Se chiedo l'intervento della polizia, non è che poi ricevo il conto da pagare. Né pago per l'illuminazione stradale. Ma ci sono casi più complicati. Prendiamo gli alberi, una foresta. Sono beni collettivi? Nella misura in cui forniscono il servizio di pulire l'aria, di fornire legno e di proteggere la fertilità del suolo, direi di sì. Ma non per il mercato. Chi abbatte alberi mette in conto soltanto il costo del loro abbattimento. Il costo della distruzione di una foresta va in cavalleria.

Lo stesso vale per l'acqua. Quella di superficie che è canalizzata viene di solito fatta pagare, ma l'acqua freatica, l'acqua di falda, no; chi la estrae paga soltanto il costo dell'estrazione. Va bene finché il consumo dell'acqua di falda viene pareggiato dalla sua sostituzione naturale. Ma altrimenti il consumo in eccesso produce un danno collettivo che non viene pagato né contabilizzato.

Poi ci sono le cosiddette externalities, gli «effetti esterni». Chi inquina l'acqua o avvelena l'aria con «gas serra» produce danni che il danneggiante non paga e che il mercato non registra. Eppure si tratta di danni colossali, con costi di ripristino e di riparazione — che sicuramente si renderanno necessari — altrettanto colossali.

Il succo del discorso è che gli economisti si sono chiusi nel recinto del mercato, e che non avvertono che la crescita e la prosperità economica sono ormai crescite in deficit, pagate, in proporzioni sempre crescenti, da un collasso ecologico su scala planetaria.

Un ulteriore limite del mercato è che è lento, che è miope. Non anticipa i tempi, ma al contrario prevede e calcola solo a brevissimo raggio. Quando si dice markets do not clear, si sottintende che i mercati non sbrogliano i problemi in tempo, che affrontano i nuovi problemi quando è troppo tardi. Tra pochi decenni il petrolio diventerà insufficiente. Che cosa dice l'economista? Dice: va bene, quando il petrolio diventerà scarso, il prezzo salirà e renderà competitivi prodotti sostitutivi, per esempio metanolo e biodiesel ricavati da piante zuccherine.

Tante grazie! Dal momento in cui il petrolio arriverà, mettiamo, a 150-200 dollari al barile a quando lo potremo sostituire con i biocombustibili passerano 4-5 anni. Dovremo far crescere le piante, costruire le fabbriche, organizzare una rete di distribuzione, adattare le automobili. Che cosa faremo nel frattempo? Nell'affidarsi ai «miracoli» del mercato gli economisti ignorano anche che i biocombustibili non basteranno, anche perché le coltivazioni, diciamo, «petrolifere» si sviluppano a danno dell'agricoltura che produce grano e che ci sfama.

Non c'è abbastanza territorio per produrre contemporaneamente piante per la benzina e prodotti alimentari. Siamo saturi, eppure gli economisti non se ne accorgono.Un altro esempio. Non mi sono ancora imbattuto in un economista che affronti davvero il problema della scarsità già grave e sicuramente crescente dell'acqua. Secondo le regole di mercato, per rimediare occorre che l'acqua venga a costare quanto la desalinizzazione del mare. Ma l'agricoltura non potrà mai affrontare questo enorme costo di estrazione e anche di distribuzione.

Senza contare che ci manca l'energia (altro problema!) per mettere in moto questo processo. E così la vita stessa di un miliardo e anche più di persone si troverà, in tempi abbastanza brevi, in pericolo. È uno scenario terrificante. Il punto è che il mercato arriva tardi e male per fronteggiare i drammatici cambiamenti in corso, mentre dall'altro lato li accelera e li aggrava, innescando sempre più uno «sviluppismo cieco» destinato all'implosione. La terra è già popolata da sei miliardi e mezzo di persone, e il loro numero è ancora in crescita.

Per gli economisti e per i demografi la sovrappopolazione è un problema extraeconomico, che non li riguarda. Addirittura molti di loro sostengono che bisogna essere prolifici perché occorre una forza lavoro crescente, altrimenti l'economia ristagna o diventa difficile pagare le pensioni. Ma questo è un vortice senza fine. Lo sarà ancora di più quando saremo 9-10 miliardi.

Nel frattempo una crescita demografica fuori controllo ci sta inesorabilmente portando al disastro climatico e al collasso idrico. Senza che quasi nessuno (inclusi gli economisti) se ne avveda. Il paradosso è che il sistema economico di mercato ha per circa duecento anni promosso la liberaldemocrazia, mentre ora la minaccia con un'accelerazione fuori controllo, la cui implosione può travolgere anche la democrazia che aveva allevato. Un cataclisma climatico e ambientale può affossare, assieme a tutto il resto, anche la città libera.

Perché lo sviluppo non sostenibile è anche uno sviluppo inaccettabile. Che impone un ritorno a quel passato di carestie e di povertà che ci eravamo lasciati alle spalle.
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martedì 24 giugno 2008

In morte dell'ICI

Di Gilberto Muraro, tratto dal sito lavoce.info



L'abolizione dell'Ici è una vittoria dell'apparenza sulla sostanza. Proprio perché l'imposta riguarda l'80 per cento degli italiani, dovrebbe essere chiaro che gli stessi beneficiari dovranno pagare in altre forme quello che è presentato come un regalo. Il minor gettito dei comuni sarà compensato con trasferimenti dal centro. Ma mentre l'Ici si autoregola, un sussidio per definizione genera una domanda unanime di incremento. Tutto fa pensare che nella manovra su imposte nazionali per sostituirne una locale non ci sia alcun guadagno né di efficienza né di equità.

Abolire l’imposta comunale sugli immobili sulla prima casa. Silvio Berlusconi mantiene l’impegno elettorale, e fin qui merita un applauso; ma si tratta di un pessimo impegno. È stata una rincorsa al peggio (promessa di Berlusconi nel 2006, forte riduzione da parte del governo Prodi, e ora abolizione totale), da ricordare a lungo come esempio di cattiva manovra tributaria e come vittoria dell’apparenza sulla sostanza.


UN'IMPOSTA CON LE CARTE IN REGOLA
Per spiegare tale tesi va premesso che non c’è paese al mondo in cui la finanza locale non sia alimentata in buona parte dalle imposte sugli immobili, comprese le prime case. Il perché è intuibile. A differenza delle imposte sui redditi e sui consumi, l’Ici non fa litigare i comuni perché la casa sta con certezza da una parte o dall’altra. La casa è poi beneficiaria di una quota importante della spesa locale: spese per viabilità, trasporti, illuminazione, arredo urbano, sicurezza, e così via. L’Ici si presenta quindi in regola con il principio tributario del beneficio – si paga in relazione al vantaggio ricevuto dalla spesa pubblica - che nella finanza locale esercita ancora un grande ruolo.

Può inoltre essere resa moderatamente progressiva attraverso detrazioni alla base, che fanno sì che il pagamento cresca più che proporzionalmente con il valore. Si rispetta così anche il principio costituzionale della capacità contributiva: paga chi può, indipendentemente dai benefici individuali ricevuti, a parte che anche un’Ici strettamente proporzionale genera un gettito progressivo rispetto al reddito, perché i patrimoni risultano più concentrati dei redditi.

Non meno importante il ruolo dell’Ici ai fini della buona gestione della “res publica”. Al pari della tassa dei rifiuti solidi urbani, ma con un raggio di azione più ampio, consente infatti ai cittadini di farsi un’idea fondata del rapporto costi benefici dell’attività pubblica e quindi di giudicare correttamente il governo locale e di calibrare la domanda politica: chiedere più servizi e più tasse o meno servizi e meno tasse, se si ritiene di avere una giunta efficiente; oppure pretendere più efficienza e, in prospettiva, cambio di maggioranza, se si ritiene di avere una giunta incapace. In sintesi, l’Ici è l’ onere condominiale pagato dagli abitanti di quel vasto condominio che è la città: costoso ma educativo strumento di informazione e di partecipazione.


L'ILLUSIONE TRIBUTARIA
Ma ciò che sorprende e mortifica in questa storia è il risvolto psicologico. L’Ici sulla prima casa riguarda l’80 per cento degli italiani. Tutti felici, quindi. Ma proprio perché sono tanti, anzi sono quasi tutti i contribuenti dato che il restante 20 per cento è rappresentato in media da famiglie con bassi redditi, dovrebbe essere chiaro che gli stessi beneficiari dovranno in altre forme pagare ciò che viene loro presentato come un regalo. Tecnicamente si parla di “illusione tributaria”, ossia di errata percezione che fa credere a benefici superiori o a costi inferiori rispetto alla realtà.

Non è la prima e non sarà l’ultima, ma è probabilmente la più vistosa illusione tributaria che si ricordi in tempi recenti. Fa specie che a nessuno venga in mente di chiedere agli abolizionisti di destra e di sinistra come sarà compensato il minor gettito. Con trasferimenti dal centro,ovviamente. Quindi, senza sacrificare i servizi pubblici locali. Ma i conti tornano solo in un primo momento: in seguito, chi e come regolerà la dinamica del sussidio?

Un’Ici si autocontrolla, perché il sindaco deve soppesare la popolarità resa dai maggiori servizi con l’impopolarità creata dalla più pesante imposta. Un sussidio per definizione non basta mai sul piano politico e genera una domanda unanime di incremento, alimentando tensioni tra centro e periferia. E comunque, dove il governo troverà i fondi per i comuni? Si spera che nessuno voglia aumentare il debito pubblico, interrompendo quel cammino doloroso ma virtuoso di risanamento avviato da Tommaso Padoa-Schioppa. Ed è difficile pensare a drastiche e immediate riduzioni di spesa pubblica. Non restano quindi che le grandi imposte sui redditi, gli affari e i consumi.

Cambia poco se si ipotizza un aumento di tali imposte oppure se, immaginando un maggior gettito generato dalla crescita economica o dalla lotta all’evasione, si ipotizza una loro mancata riduzione. In ogni caso, si tratta di una manovra su imposte nazionali che sostituisce un’imposta locale. E tutto fa pensare che non ci sia alcun guadagno né di efficienza né di equità. Di sicuro, l’effetto è negativo sotto il profilo del federalismo fiscale sia perché si indebolisce l’autonomia locale sia perché affidarsi al prelievo nazionale significa accentuare e non riequilibrare il flusso di risorse che dal Nord va al Sud.

Detto tutto questo, va aggiunto che le prime stime di caduta del gettito, rispetto all’Ici già ridotta da Prodi, vanno da 1,7 a 2,1 miliardi di euro. Si tratta di una caduta importante, ma non tale da destabilizzare il sistema. Nessuna tragedia, quindi. Ma sia chiaro che è un passo indietro, non un passo avanti.
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lunedì 23 giugno 2008

Lo scempio: quel che non volevamo ma ci è stato imposto

Articolo di BresciaOggi pubblicato il 19 maggio 2008.



E' da poco uscito un libro «I beni culturali e il paesaggio». Il sottotitolo precisa ulteriormente il tema: «Le leggi, la storia, le responsabilità». Lo pubblica Zanichelli e lo hanno scritto due docenti, studiosi della materia, Francesco Bottari e Fabio Pizzicannella. Non entro nell’articolazione dell’ampia ricerca che mi sembra ben strutturata. Ma mi soffermo su alcune pagine che sono in perfetta sintonia con quanto sosteniamo, e con noi altri che amano la natura e i lasciti della storia.

«L'utopia urbanistico-architettonica della “città ideale” - scrivono i due docenti -, realizzata in alcuni borghi rinascimentali concepiti in mirabile armonia col paesaggio circostante, come a Pienza e in tante cittadine italiane, oggi appare una chimera anacronistica, del tutto impraticabile. Il nostro è il tempo degli scempi, ossia della dissoluzione del nesso che stringe in unità il patrimonio ambientale e quello monumentale.

In una triste rassegna dei guasti perpetrati negli ultimi decenni, Vittorio Sgarbi tenta una definizione del termine “scempio”, che riconosce acutamente in “tutto quello che non eravamo e siamo diventati, che non desideravamo ma ci è stato imposto”». Scempio sono le malinconiche brutture edilizie che sfigurano e distruggono sia l’ambiente naturale, sia la nostra civiltà architettonica. Gli intellettuali italiani hanno cominciato a denunciare i pericoli di una modernizzazione irrazionale del Paese fino dagli anni Cinquanta, prendendo posizione sullo sconvolgimento dei paesaggi e dei centri storici. E da subito sono stati denunciati il prevalere e il dilagare degli interessi particolari rispetto a quelli generali del Paese, le crescenti distruzioni di città e campagne, la scarsa applicazione delle leggi.

Ma vane sono state le sollecitazioni per educare l'opinione pubblica «alla cura e al rispetto dell'esistente come unico rimedio alla dilagante corruzione estetica. Solo una cittadinanza formata al gusto e alla bellezza può esigere che anche gli interventi più innovativi siano in armonia con l'antico». Tutte battaglie perse. Come del resto quelle che si stanno combattendo oggi. Non si è ancora affermata, infatti, una cultura della qualità architettonica e urbanistica. Il ritardo accumulato, osservano i due autori, «procura al territorio danni irrimediabili. Così, una miriade di costruzioni e stabilimenti industriali invadono non solo le periferie urbane, ma anche le montagne, le spiagge, le sponde dei laghi, le campagne e i centri rurali. La progressiva caduta della qualità costruttiva manifestatasi tra le due guerre e degenerata con la speculazione avviata negli anni Sessanta», appare irreversibile e irreparabile.


Del resto quanto sta ancora avvenendo anche da noi - ad esempio gli ecomostri in costruzione in alcune località del Garda, e non solo -, non cessa di stupire e amareggia coloro che amano il territorio e guardano preoccupati al futuro di un comprensorio che sta perdendo sempre più le sue caratteristiche di alta vivibilità.

Concludo con i dati significativi riportati dai due studiosi, i quali osservano che è «difficile immaginare quanto l'Italia abbia mutato il proprio volto in poco più di mezzo secolo»: quasi quadruplicati i vani di abitazione, comprese le seconde e le terze case; 1 milione e 200 mila ettari di terreno (per lo più agricoli) cementificati o asfaltati; litorali sommersi in trent'anni da circa 1 milione e 700 mila case abusive.

Già nel 1957, un decennio dopo la fine della guerra, il giornalista e scrittore Guido Piovene denunciò, nel suo «Viaggio in Italia» l’uragano cementizio che stava avanzando sconvolgendo il Paese. Scrisse, infatti, che poteva bastare un dato: «Su 7.000 chilometri lineari di costa, 2.600, per una fascia più o meno spessa, sono praticamente perduti o perché troppo edificati o perché gravemente inquinati». Una catastrofe che continua e di cui ancora pochi si accorgono.
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venerdì 20 giugno 2008

Mille euro al mese

Articolo di Gian Antonio Stella pubblicato sul Corriere della Sera del 30 maggio 2008.


Dieci a uno. È questo il rapporto tra l'assenteismo storico dei parlamentari italiani e quello dei loro colleghi americani: 31,4% la media di scranni vuoti negli ultimi tre decenni nelle nostre aule, 3,1% la media di assenze dei senatori di Washington. Che senso ha, davanti a numeri così, l'autodifesa imbarazzata o infastidita di quanti hanno spiegato ieri al Corriere come mai avevano esposto la straripante maggioranza di destra a una figuraccia sul primo voto che contava? «Ero un attimo al bagno... », «Ci siamo presi tre minuti di pausa...», «Ho scompensi di pressione dal caldo...».

Anche a Washington, in certi periodi, il clima è torrido. Eppure, dice uno studio di Antonio Merlo della University of Pennsylvania, la Camera dei rappresentanti ha lavorato nel 2007 per 164 giorni, il Senato per 180 e le aule erano sempre piene. Il tasso di assenteismo nell'arco dell'intera carriera dei 435 deputati (uno ogni 689 mila abitanti: da noi ogni 93 mila) è del 3,9%. Quelli che hanno marinato più del 10% delle votazioni sono il 4,4%. Quelli che ne hanno bigiate più 20% sono l'1,1.Quanto al Senato, i membri che saltano più di un decimo delle votazioni scendono addirittura al 4% e l'unico che ha marcato visita più di una volta su cinque (20,8%) è stato Barack Obama. Ma perché corre per la Casa Bianca.

Come solo la campagna presidenziale ha costretto John McCain e Hillary Clinton a rovinare il loro virtuoso «statino» con il 16% e con il 9% di assenze. Altrimenti, è sicuro, la loro media non sarebbe diversa da quella di un senatore celebre e pieno di impegni come Ted Kennedy. Che prima dei problemi fisici di questi giorni aveva «bucato» dal 1993 solo 206 voti su 4.044. Uno su venti.Numeri umilianti, per noi. Basti ricordare che molti leader arrivano a prender parte a una seduta su cento. Che alla prima convocazione dopo le ferie estive, anni fa, si presentarono al Senato in 14 con 252 assenti ingiustificati e molti «in missione in località turistiche italiane ed estere». Che un ministro, Carlo Giovanardi, si spinse a definire «qualunquista e miserabile» la consegna a Striscia la notizia di un filmato che mostrava 26 «pianisti» che votavano per colleghi assenti.

E come scordare che il governo Berlusconi II, nei primi quattro anni dopo il trionfo del 2001 che gli aveva dato 89 deputati e 49 senatori di vantaggio, riuscì ad andare sotto addirittura 65 volte? Dicono che la politica è complessa, che c'è il partito da seguire, che il collegio va accudito... Anche in America hanno il partito, il collegio, gli elettori... Ma sono stati eletti per andare in Parlamento e ci vanno. Per questo, visti gli scarsi risultati ottenuti con la regola che Montecitorio taglia di 206 euro la diaria «per ogni giorno di assenza del deputato da quelle sedute dell'Assemblea in cui si svolgono votazioni », forse è il caso di rovesciare tutto.

E di dare al parlamentare una busta paga iniziale di mille euro, da arricchire con aumenti e benefit e integrazioni generosi via via che venga accertata la sua solerzia, la sua partecipazione, la sua assiduità in aula e nelle commissioni. Alcuni, magari, arriveranno a prendere perfino più di oggi. Ma siamo sicuri che i cittadini, in quel caso, non tireranno affatto le monetine.
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giovedì 19 giugno 2008

L'urbanistica? Non tiene conto del paesaggio

Articolo di BresciaOggi di lunedì 16 giugno 2008. Il no al cemento di «Yseo nel cuore». L’urbanistica? «Non tiene conto del paesaggio».




«Per bloccare l’espansione urbanistica scriteriata in Franciacorta e nel basso Sebino bisogna contrapporre alla conurbazione degli abitati la conurbazione dei parchi già istituiti o in fase di istituzione». La traduzione? Gli strumenti urbanistici comunali devono tener conto dell’esistente, e non di ciò che si vuole realizzare.

Il concetto è stato ribadito nei giorni scorsi davanti a una sala strapiena dall’architetto Aurelio Pezzola, intervenuto nel castello Oldofredi di Iseo alla conversazione su «Cascine e nuclei storici» promossa dalla redazione del foglio «Yseo nel cuore». L’architetto Mauro Salvadori è entrato poi nello specifico quando ha suggerito che il recupero delle cascine avvenga a scopi turistico-ricettivi anzichè residenziali. «Un condominio in cascina - ha detto - ha un impatto più pesante rispetto a un agriturismo: richiede, per esempio, che le sterrate siano poi asfaltate».

Affinchè la tutela e la valorizzazione dei beni storici sia davvero efficace, secondo lui, occorre che la pianificazione urbanistica sia integrata coi contenuti paesistici. «Le scelte dei vari Pgt - ha insistito Salvadori - devono prescindere dalle possibili destinazioni d’uso e basarsi invece sull’analisi delle vocazioni del territorio». Prima di lui, l’architetto iseano Gianni Franceschetti aveva evidenziato che «la ricchezza di cui principalmente vive Iseo è la storia». E aveva raccontato come si viveva nelle cascine plurifamiliari che fino agli anni ’60 colonizzavano il territorio. «Un mondo quasi scomparso - ha sintetizzato Franceschetti -.

Erano 152 i contadini nel 1951, adesso si contano sulle dita di una mano».Per incoraggiare il recupero di cascine e nuclei rurali (81 quelli filmati e fotografati da Yseo nel cuore), Franceschetti ha proposto di esonerare gli eventuali investitori dal pagamento degli oneri di urbanizzazione. Poi Mauro Morganti, cultore di storia locale, ha svelato i misteri che si nascondono dentro ad alcuni toponimi iseani e ha invitato a salvarne la memoria con una tabellonistica esplicativa.


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mercoledì 18 giugno 2008

Non si può non limitare l'uso dei suoli

Articolo di BresciOggi del 12 giugno 2008. Il convegno. L’Italia è al top nell’urbanizzione: rischi e limiti. In Lombardia mangiati 94 metri al minuto. Il fenomeno deve essere frenato per salvaguardare il territorio e il patrimonio. E 20 comuni sposano la sostenibilità.


L’urbanizzazione si mangia 94 metri quadrati al minuto in Lombardia: è necessario fermarla per salvaguardare il patrimonio storico, paesistico e la produzione alimentare, ma i comuni con scarse risorse dimenticano che quel ritmo è insostenibile. Ridurre le aree agricole espone a rischi di degrado ambientale e crisi alimentare perché la trasformazione di un campo in un capannone è irreversibile.

Il convegno sul contenimento urbano iniziato l’8 maggio al Centro Paolo VI di Brescia e conclusosi venerdì pomeriggio a Provaglio in Franciacorta, ha rilevato una situazione che impone una gestione rigorosa dell’uso del suolo. Nel dopoguerra il fenomeno ha accompagnato la crescita demografica con colate di cemento senza regole per rispondere a un solo bisogno. Negli ultimi anni, la pressione demografica è svanita, ma la cementificazione, spinta dal mercato, ha avuto una fortissima accelerazione.

Il mattone bene «rifugio» non risponde a reali esigenze produttive o demografiche: appartamenti vuoti, capannoni sottoutilizzati, centri commerciali, infrastrutture, sottraggono quote crescenti sia di suolo agricolo, sia di territorio pregiato e da tutelare con cambiamenti irreversibili, che compromettono risorse e generano effetti quasi mai previsti e valutati dall’inizio.


Le cause? Il mondo produttivo non vuole vincoli, i comuni vogliono risorse, "ma" hanno affermato tutti gli esperti, «questo modello ha ripercussioni insostenibili su ambiente e società e, a lungo andare, sullo stesso sistema economico perché i costi delle trasformazioni durano più dei benefici derivanti ai bilanci comunali dagli oneri di urbanizzazione».

Il confronto tra le esperienze europee è il tema dell’Azione Cost Land management for urban dynamics (Gestione urbanistica delle dinamiche urbane), progetto di ricerca europeo, che a Brescia ha vissuto la seconda tappa. Maurizio Tira dell’Università di Brescia, chairman del progetto, e Bruno Zanon dell’Università di Trento, nominati dal governo, hanno messo a confronto con esperti di molti paesi europei, dal Portogallo all'Ucraina, dall'Olanda a Cipro, dalla Svizzera a Israele i diversi modelli di sviluppo.

Sono emersi dati preoccupanti sul consumo di suolo in Italia, con 1.000 metri quadrati urbanizzati per abitante in alcune aree, ma preoccupante è pure la mancanza di dati aggiornati e diffusi su tutto il territorio . Diverse le esperienze straniere dove gli usi del suolo hanno regole più rigorose: «In Svizzera l'urbanizzazione è pari a 375 metri quadrati per abitante» ha spiegato Jean Ruegg, dell'Università di Losanna (in Franciacorta, si è già a 450).

Regimi normativi e fiscali differenziati fanno sì che in Italia l'edilizia con margini di guadagno considerevoli, specialmente nelle zone più belle, eserciti una pressione insostenibile su comuni, con scarse risorse e poteri. «La fiscalità locale» ha concluso Federico Oliva, presidente dell’istituto nazionale di urbanistica «è uno dei temi della nostra proposta di riforma nazionale, forse la più importante per governare scelte urbanistiche con ricadute ambientali preoccupanti per perdita di natura e aree agricole».

Paolo Pileri del Politecnico di Milano ha sostenuto «La rinaturalizzazione delle aree agricole marginali, la compensazione ecologica preventiva possono mitigare gli effetti ma la politica non può che andare nel senso di una forte limitazione agli usi urbanizzati dei suoli».

Il convegno si è concluso nei giorni scorsi in Franciacorta, dove la Fondazione Cogeme Onlus, ha illustrato ai ricercatori il progetto-pilota «Franciacorta sostenibile», messo a punto con venti comuni con il coordinamento di Maurizio Tira, per pianificare i Pgt in funzione della sostenibilità e per un utilizzo consapevole del suolo.
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