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sabato 29 dicembre 2007

No all'ennesimo organismo burocratico

Di seguito riportiamo un articolo pubblicato sabato 29 dicembre 2007 su BresciaOggi


Il comitato di cittadini:«La scelta residenziale è solo penalizzante»


Al comitato «Per un Pgt partecipato» non piace l’«Osservatorio cittadino per il Piano di governo del territorio» così come lo ha concepito l’amministrazione comunale di Iseo. Nè piacciono i continui rinvii che lasciano nell’incertezza il futuro della penisoletta di Montecolino. Ragion per cui, su questi due temi il comitato ha annunciato una campagna di informazione che si articolerà in volantinaggi e in quattro assemblee pubbliche. Che si svolgeranno nella sale civiche di Pilzone (il 3 gennaio), di Cremignane (il 4), di Clusane (l’8) e di Iseo (il 10), tutte a partire dalle 20,30. Stando alle linee guida approvate per la sua costituzione dalla giunta, l’Osservatorio ha fra le sue finalità quella di «esprimere pareri richiesti dall’amministrazione comunale», è composto da «membri nominati dal sindaco in seguito alla raccolta di autocandidature e sentita la conferenza dei capigruppo consiliari». E dura in carica fino a quando dura il consiglio comunale.

Per il comitato, invece, disponendo di informazioni tempestive, complete e approfondite deve «concorrere alla definizione e alla realizzazione di scelte condivise». Non l’ennesimo organismo burocratico, insomma, ma uno strumento di rappresentanza dei cittadini: slegato dall’amministrazione. Quanto alla Montecolino,«è un’area che ci sta a cuore, e la nostra attenzione verso la sua destinazione d’uso sarà sempre altissima». Nella sintesi proposta dal comitato, il nuovo piano d’area per la Montecolino (formulato dalla proprietà nel rispetto del Prg vigente) prevede il recupero dell’esistente per ricavare un borgo con casa-albergo per anziani, strutture ricettive per il turismo, sale per convegni ed esposizioni, porto e infrastrutture nautiche e un parco anche a uso pubblico. «Qual’è la reale posizione degli amministratori comunali sulle ipotesi di intervento in quest’area?», chiede il comitato. E aggiunge: «Montecolino è una risorsa di straordinario valore. È di indubbia importanza strategica per l’intero Sebino dal punto di vista turistico e dei servizi. L’urbanizzazione di tipo residenziale costituirebbe una scelta miope, arretrata e penalizzante».



giovedì 27 dicembre 2007

Sensibilità o opportunismo?

Di seguito il testo della lettera al Direttore pubblicata sul Giornale di Brescia del 27 dicembre 2007.



Le chiedo gentilmente spazio nella sua rubrica, per fare una riflessione su quanto accaduto di recente nel comune di Provaglio d’Iseo. Ampia pubblicità è stata data all’iniziativa dell’Amministrazione che, sfruttando l’ultima Finanziaria, fra le altre cose, darà la possibilità a decine di provagliesi di installare sul proprio tetto dei pannelli fotovoltaici «gratis» e avere anche uno sconto sulla propria bolletta energetica per 20 anni. Alla serata di presentazione dell’interessante iniziativa non credevo ai miei occhi: sala civica, sala consigliare e annessi corridoi colmi di persone, gente arrabbiata perché non poteva entrare e microfoni che funzionavano un po’ male. Insomma un bel caos! Rimasto imbottigliato anche io mi sono subito chiesto: «Sarà sensibilità ambientale o becero opportunismo?».

Sempre più incasinato penso: «È una questione di sensibilità ambien-tale!». Mi rifiuto di credere che la possibilità di risparmiare 150-200 euro all’anno abbia potuto smuovere così tante persone. A Provaglio da anni abbiamo tariffe e tasse mediamente più alte dal 20 al 30% rispetto altri comuni del circondario e nessuno in tutti questi anni si è mai lamento (ad alta voce...). E rivedo dentro di me l’enorme discarica che abbiamo sul territorio fra pregiati vitigni, le circa 560 unità abitative costruite negli ultimi 4 anni, penso alle 200 e più varianti al Prg fino al suo completo snaturamento, penso ai 40 mc giornalieri di preziosa acqua che la piscina comunale succhia all’acquedotto per più di 6 mesi l’anno (senza che nessuno imponga ai gestori la costruzione di un pozzo come hanno fatto le strutture simili nei dintorni).

Ma penso anche a insediamenti abitati che ho visto in Alto Adige e in Austria dove tutto è fatto con tecnologia moderna con risparmio energetico e con impatto ambientale quasi pari a zero. Davvero forse l’amore dei provagliesi per il proprio territorio si è svegliato, ma allora come non citare la sera prima quando un ben più importante incontro sulle problematiche giovanili, con ospiti eccellenti, ha visto la partecipazione di circa 35 persone organizzatori compresi. No, non può essere un fattore ambientale! Una voce amica mi scuote dal tepore in cui sono piombato: «Non si riesce ad entrare, torniamo a casa».

Mentre torno a casa silenziosamente penso a una targhetta che ho letto da piccolino su un tram a Brescia e che diceva: non disturbare il conducente durante le manovre. Da almeno 15 anni a Provaglio succede questo senza che i provagliesi se ne rendano veramente conto. Per quanto ancora devo assistere a Consigli comunali latitati dalla popolazione, a serate pubbliche completamente deserte? Responsabilità dei «politici» (maggioranza e minoranza) locali colpevoli di non aver stimolato nel modo corretto la partecipazione e il coinvolgimento di tante persone intelligenti che abitano a Provaglio, che amano il proprio paese e che potrebbero portare un contributo decisivo.

Ma colpa anche dei provagliesi stessi; quelli che ci vivono da sempre qui ma rimangono nascosti e quelli «nuovi» che usano il paese come semplice dormitorio. Solo partecipando si può davvero trasfomare un’idea in concretezza, solo partecipando si può impedire che tutte le decisioni siano prese da pochi intimi. Provagliesi non vi sembra che sia giunto il momento che anche voi siate protagonisti del vostro presente? Basta volantini volgari e anonimi, basta critiche da bar; usate meno il telecomando e partecipate di più: è Provaglio che ve lo chiede.
(La lettera è firmata).


venerdì 21 dicembre 2007

L'Amministrazione ... trasparente




"Il clima di trasparenza che l'Amministrazione di Passirano ha sempre voluto tenere sulla vicenda dell'ex casa del fascio" - orgogliosamente ribadito dall'Assessore al Bilancio al Giornale di Brescia (vedi il relativo post Ancora polemiche sull'errato pagamento di 90.000 euro) - è testimoniato anche da questo eccezionale documento fotografico. L'immagine è stata scattata alcuni anni fa, in occasione del collaudo del primo impianto di climatizzazione.


Ancora polemiche sull'errato pagamento di 90.000 euro

Di seguito l'articolo pubblicato dal Giornale di Brescia il 20 dicembre 2007.




Passirano, ancora polemiche sull'errato pagamento per l'ex casa del fascio. L'esborso è stato di 90.000 euro.

Dopo la bufera nel Consiglio Comunale del 29 novembre 2007, il Sindaco Daniela Gerardini e l'Assessore al Bilancio Domenico Bani, tornano sul tema dell'ex casa del fascio, sulla scorta delle numerose polemiche sorte negli ultimi giorni. "Ci teniamo a precisare alcuni punti - spiega il vicesindaco Domenico Bani - per sottolineare il clima di trasparenza che l'Amministrazione ha sempre voluto tenere sulla vicenda, trasparenza in cui rientra anche la variazione di bilancio approvata nella scorsa seduta".

Operazione sui conti che ha solamente lo scopo di predisporre le risorse nel caso in cui la finanziaria avanzasse le proprie legittime richieste di liquidazione. "Ci tengo a precisare - continua l'Assessore - che probabilmente l'affermazione sul possibile salvataggio della ditta appaltatrice è stata travisata; rimane il rammarico per non aver potuto effettuare prima questa operazione, fatta comunque nella prima occasione in cui se ne sono verificate le condizioni. Ma sulla ditta non è certo nelle possibilità dell'Amministrazione effettuare azioni di salvataggio; in questo contesto volevo dire che nella speranza che la ditta non fallisse, l'Amministrazione si è mossa per cercare strade alternative per il recupero del pagamento errato".



Parla anche della richiesta di dimissioni dell'Assessore Bani, avanzata dalle opposizioni, definendola l'ennesima, la seconda in due Consigli Comunali, avanzata per situazioni prive di errori politici dell'Amministrazione. Mancanza di errori poltici ribadita anche dal Sindaco Gerardini: "Si è trattato di un errore umano, errore di cui ci è accorti solo ad un anno e mezzo di distanza, nel momento in cui la finanziaria avanzando la richiesta di incassare il credito, ci ha spinto a ricostruire l'accaduto". L'errore umano, la cui entità si aggira sui 90.000 euro, ha portato a versare il 5° stralcio dei pagamenti per i lavori effettuati alla banca d'appoggio indicata in fattura, e non alla finanziaria successivamente incaricata della riscossione dei crediti. "Voglio rassicurare i cittadini - continua il Sindaco Gerardini - che stiamo stringendo i tempi anche per chiarire le responsabilità nella questione, come ribadito più volte in Consiglio Comunale".


Rimangono ferme le posizioni delle opposizioni che non vogliono aggiungere nulla sulla vicenda. "Ciò che avevo da dire in merito l'ho espresso durante il dibattito in Consiglio - spiega Marco Turra -; non si può liquidare il problema dicendo che ci sono i soldi per coprire le spese" criticando più l'atteggiamento dell'Amministrazione comunale sulla vicenda che le responsabilità, chiedendo anche le dimissioni del vicesibdaco Bani. "La vicenda è delicata - spiega invece il consigliere della civica Comunità Solidale, Amilcare Barucco - e necessita di ulteriori chiarimenti con opportune verifiche che stiamo portando avanti".

martedì 18 dicembre 2007

Franciacorta sostenibile?

Articolo del Giornale di Brescia del 16/12/2007 - Franciacorta sostenibile: venti comuni si alleano per tutelare il territorio.
A Iseo la sigla del protocollo d'intesa predisposto dalla Fondazione Cogeme


Venti comuni «alleati» per una «Franciacorta sostenibile». È stato firmato venerdì pomeriggio all’Iseolago hotel di Iseo il protocollo d’intesa tra i rappresentanti dei comuni di Adro, Capriolo, Castegnato, Cazzago San Martino, Cellatica, Coccaglio, Cologne, Corte Franca, Erbusco, Gussago, Iseo, Monticelli Brusati, Ome, Ospitaletto, Paderno Franciacorta, Paratico, Passirano, Provaglio d’Iseo, Rodengo Saiano e Rovato. Il documento sottoscritto è stato predisposto dalla Fondazione Cogeme che ha proposto il progetto «Franciacorta sostenibile» (sulla scorta della legge 12 della Regione Lombardia per il governo del territorio). Erano presenti all’incontro Francesco Mazzoli, assessore al Territorio della Provincia di Brescia, Giovanni Frassi, presidente della Fondazione Cogeme Onlus ed il professor Maurizio Tira, dell’Università di Brescia, direttore scientifico del progetto.

Ma cosa si sono impegnati a fare gli amministratori del territorio franciacortino? «In sintesi - spiega Simone Mazzata, segretario della Fondazione Cogeme - ad attivare un percorso che favorisca progetti e buone pratiche di sostenibilità da recepire per la redazione degli strumenti di pianificazione territoriale come per esempio Vas (Valutazione ambientale strategica) e Pgt (Piano di gestione del territorio) in senso lato. Per esempio a tutelare il territorio dal rischio idraulico causato dall’esondazione dei canali e da una progettazione non corretta delle aree agricole destinate a vigneti, a sviluppare norme e regole per una corretta organizzazione delle colture a vigneti ed a recuperare la funzionalità dei sistemi naturali ed agricoli, visto lo specifico caso del territorio della Franciacorta». Altri temi sono stati affrontati dagli amministratori: qualità dell’aria, delle risorse idriche e politiche urbanistiche a misura di cittadino.

Dopo la firma congiunta degli amministratori che hanno partecipato, in questi mesi, anche ad incontri formativi sulla tutela del territorio, Fondazione Cogeme e l’Università di Brescia stenderanno un documento che riporterà indicatori ambientali misurabili oggettivamente, come elemento integrante di Pgt e Vas. Il prossimo febbraio verrà organizzato un incontro aperto al territorio in cui si discuterà della Franciacorta che si vuole avere o meglio, del futuro che i politici pensano di destinare al proprio territorio. (v. mass.)

domenica 16 dicembre 2007

Iseo, un osservatorio per un PGT partecipato

Di seguito riportiamo un articolo pubblicato sul Giornale di Brescia del 6 dicembre 2007, pagina 21.



Iseo. Un esempio forse unico, quello messo in campo dall'Amministrazione comunale di Iseo, in accordo con il gruppo di lavoro del Politecnico di Milano guidato dal prof. Giorgio Ferraresi e su indicazione dei rappresentanti dei tavoli tematici, istituiti nella fase di partecipazione, e delle associazioni iseane, riunite in un'attiva compagine: la creazione di un osservatorio cittadino per il Piano di Governo del Territorio (PGT). La fase partecipativa a Iseo, iniziata la scorsa primavera e terminata con i mesi estivi, è stata molto articolata.

"Per scelta non si è limitata a qualche incontro di spiegazione sul nuovo strumento urbanisitico, appunto il PGT, e di raccolta di esigenze civiche - afferma Paolo Brescianini, assessore al Territorio - ma sono stati istituiti tavoli tematici, organizzati forum e incontri pubblici per estendere al meglio la partecipazione". Perchè tutto il lavoro svolto non si concludesse con una semplice raccolta di atti, la richiesta avanzata da diverse fonti è stata quella di istituire ad un osservatorio che affiancasse l'Amministrazione nella definizione di uno scenario di sviluppo territoriale condiviso. Le linee guida di questo nuovo organismo sono state approvate dalla Giunta e verranno proposte al vaglio dei rappresentanti dei tavoli tematici dopo di che passeranno anche dal Consiglio Comunale".

L'osservatorio nasce a conclusione di un percorso di progettazione partecipata al PGT di Iseo al fine di mantenere un elemento di partecipazione permanente anche nelle successive fasi di elaborazione, adozione, approvazione del PGT e sue eventuali modifiche. Le finalità dell'osservatorio sono di proseguire ed alimentare il percorso partecipato del PGT di Iseo nella fase di elaborazione dei documenti che lo compongono fino all'approvazione definitiva; organizzare momenti di partecipazione, di incontro e riunioni con la popolazione d'intesa con l'Amministrazione comunale e di esprimere pareri richiesti dalla stessa Amministrazione

L'osservatorio si compone di 15 membri, ripartiti secondo un criterio di proporzionalità legato al numero di abitanti di ogni frazione di cui sono espressione, con un minimo di 2 per frazione. I membri, nominati dal Sindaco in seguito alle indicazioni raccolte dalla cittadinanza o per autocandidatura, rimarranno in carica per la durata del mandato elettorale degli organi istituzionali del Comune. Nomina, dimissioni, surroga, revoca, sostituizione dei membri, così come le modalità di convocazione delle sedute, votazioni, indennità sono gli altri articoli facenti parte del documento che termina con le indicazioni inerenti il segretario dell'Osservatorio e riunioni pubbliche che continueranno ad essere gestite dall'Osservatorio. "Un organismo con una valenza significativa che avrà l'opportunità di lavorare con la Valutazione Ambientale Strategica (VAS) ed affiancare l'Amministrazione per raccogliere idee e necessità", conclude Brescianini.


sabato 15 dicembre 2007

Torbiere, tutto si ferma

Di seguito riportiamo un articolo di Fausto Sclari pubblicato mercoledì 12 Dicembre 2007, a pagina 19, sul quotidiano BresciOggi.



Torbiere, tutto si ferma. Legambiente va al Tar



Tanto tuonò che non piovve. L’altra sera a Palazzo Francesconi a Provaglio il Consiglio d’amministrazione del Consorzio delle Torbiere, in un’assemblea pubblica, (preceduta però da un «rumoroso» faccia a faccia in privato fra i membri del Cda) ha deciso, almeno al momento, di riservarsi qualsiasi decisione rispetto al ricorso al Tar promosso dal circolo Franciacorta di Legambiente, rimandando qualsiasi altra azione al prossimo 20 dicembre quando avrà a disposizione un preciso parere legale sul ricorso contro la realizzazione della nuova sede del Consorzio delle Torbiere all’interno della Riserva, in località ex Zumbo.

La Giunta Regionale, va ricordato, nelle scorse settimane aveva dato il via libera alla variante al piano di gestione della Riserva naturale delle Torbiere del Sebino, accogliendo la richiesta dell’Amministrazione del Consorzio. In tal modo nell’area denominata «ex Zumbo», in località Funtanì a Provaglio, sarà possibile la riqualificazione degli immobili esistenti, residui di un intervento di demolizione e ripristino ambientale effettuato nel 1999 per lo smantellamento e cessazione dell'attività di avicunicoltura, motivo di inquinamento e degrado ambientale. L’insieme degli immobili, costituito da un fabbricato adibito ad abitazione civile e da un magazzino in evidente stato di degrado, potranno essere recuperati senza aumento della volumetria. Il nuovo edificio dovrebbe ospitare la sede amministrativa ed operativa del Consorzio per la gestione della Riserva, un locale a guardiania, un magazzino e servizi igienici per i visitatori. Ma il condizionale tuttavia è d’obbligo: Lagambiente ha infatti depositato alla fine di novembre un ricorso al Tar che potrebbe bloccare tutto.

Intanto il Presidente del Consorzio delle Torbiere, Carlo Maffeis, ha annunciato come «imminente» (i lavori dovrebbero cominciare a febbraio) la pulizia delle lamette. In scaletta, nel prossimo futuro c’è anche la pulizia di altri canali (da finanziare) e la realizzazione del percorso Nord che dovrebbe collegare i sentieri in torbiera che vanno da Iseo a Corte Franca. «Ma su tutto, al di là della questione ex Zumbo sulla quale verte su più tavoli la discussione in questi giorni - spiega lo stesso presidente Maffeis - ci dev’essere l’impegno irrinunciabile e convinto di tutti sul di sinquinamento delle acque in Torbiera. Questa operazione molto onerosa è da farsi al più presto con la sinergia degli enti interessati. Ne va della vita stessa di questa zona tra le più belle d’Europa». Ma tra carte bollate e ricorsi, a quanto pare ci sarà da aspettare ancora qualche tempo prima di vedere concretizzarsi un primo concreto progetto di riqualificazione delle Torbiere del Sebino.

giovedì 13 dicembre 2007

Monterotondo: 260 cittadini firmano per modificare la viabilità

Di seguito riportiamo il testo della proposta di modifica della viabilità, sottoscritta da 260 cittadini, inviata il 7 dicembre 2007 all'Amministrazione del Comune di Passirano.


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Oggetto: Proposta per un progetto di riordino della viabilità urbana a Monterotondo

I sottoscritti cittadini di Monterotondo, preso atto con soddisfazione dell’intervento di rifacimento viario recentemente eseguito in via Luigi Cadorna, concordando pienamente con quanto scritto a pag. 21 del programma elettorale della lista “Insieme per Passirano”, che attualmente governa il Comune (“Monterotondo: gli interventi dovranno mirare alla riqualificazione dell’ arredo urbano con l’intento di abbellire la frazione e contemporaneamente rallentare il traffico nel centro lungo via Cadorna e via Silvio Pellico, disincentivando gli automobilisti che transitano presso queste vie, per accedere ai paesi limitrofi”), dopo aver consultato il parere di esperti urbanisti impegnati nei problemi di pianificazione del traffico nei centri abitati e dopo aver approfondito, usando i necessari strumenti, la situazione locale, intendiamo con questo documento dare il nostro contributo suggerendo un piano organico di riordino della viabilità a Monterotondo, semplice, efficace, reversibile e a costi contenuti.

Siamo per principio contrari alla realizzazione di nuovi tratti stradali; non vediamo la necessità di altro asfalto con inevitabili conseguenti nuove ed inutili edificazioni: il metodo che scegliamo è comunque quello di rispettare e conservare il nostro patrimonio paesistico. Risulta evidente che il problema principale di viabilità per Monterotondo è il traffico di attraversamento, in direzione Ovest/Nord-Ovest verso Est (dai comuni di Cazzago S.M. - Adro – Cortefranca verso Brescia) e viceversa. Proponiamo, in modo semplice, una serie di accorgimenti senza dubbio praticabili con una spesa contenuta, tenendo conto anche della penuria cronica delle casse degli enti locali.

Si tratta di installare elementi infrastrutturali di moderazione del traffico col fine di migliorare la sicurezza della circolazione stradale di tutte le utenze (pedoni, velocipedi, ciclomotori, motomezzi ed autovetture) mediante riduzione delle velocità e dei flussi del traffico di transito. Il fine è quello di disincentivare questo traffico “passivo” che non porta alcun vantaggio alla nostra comunità anzi costituisce un pericolo per i residenti e che spesso, come nel nostro caso, è dettato solo dall’abitudine e dalla mancanza di informazione su percorsi alternativi addirittura vantaggiosi.

Dati alla mano abbiamo misurato le distanze tra l’incrocio del Bettolino provenendo dalla località Quattro Vie e la rotonda di Camignone: passando da Monterotondo: Km 5.70 – Tempo 8 minuti; passando per la tangenziale di Provaglio d’Iseo: Km 6 – tempo 6 minuti, naturalmente rispettando i limiti di velocità. Si tratta di rendere le strade del nostro paese più sicure: creare “bretelle” o sensi unici più scorrevoli equivale, lo dicono gli urbanisti ma crediamo sia evidente per tutti, a favorire lo scorrimento più veloce dell’indesiderato traffico di attraversamento a discapito della sicurezza dei cittadini residenti.


Proponiamo:

1)In località Bettolino, all’incrocio tra via Cadorna e la strada verso Provaglio d’Iseo, a favore di chi proviene dalla località Quattro Vie:
Mettere precedenza verso Provaglio d’Iseo e mettere STOP per chi proviene in direzione opposta da Monterotondo e per via Indipendenza da Bornato, Calino (Cazzago SM).
Mettere indicazioni verso sx (direzione Provaglio d’Iseo)con scritta:
BRESCIA Km …
ISEO Km…
PROVAGLIO D’ISEO Km…
PASSIRANO Km…
CAMIGNONE Km…

Mettere indicazione diritta (versoMonterotondo) con scritta:
MONTEROTONDO Km…
DIVIETO AI CAMION (ECCETTO CARICO E SCARICO) SOLO TRAFFICO LOCALE


2) All’ incrocio tra via Cadorna e via Indipendenza: mettere indicazioni: Verso destra:
BORNATO Km..
CALINO Km…
CAZZAGO SM Km…

Mettere indicazione diritta (verso Monterotondo) con scritta:

MONTEROTONDO Km…
DIVIETO AI CAMION (ECCETTO CARICO E SCARICO) SOLO TRAFFICO LOCALE.
Mettere dosso dissuasore di velocità dopo incrocio
Mettere cartello Zona 30


3) Dopo l’abitazione di Cantoni, a metà salita dal Bettolino verso Monterotondo:
Mettere cartello ZONA 30
Mettere dosso dissuasore di velocità.


4)A livello di incrocio via Cadorna con via Galliano:
Mettere STOP su via Cadorna in salita dal Bettolino e mettere precedenza al traffico da via Cadorna in discesa verso via Galliano e viceversa.


5)Su via Cadorna e via Marchiani mettere 3 o 4 cartelli con ZONA 30 fino a via S. Pellico e su via Marchiani due dossi dissuasori di velocità.


6) Via S.Pellico:
Provenendo da Passirano: a livello della ex stazione:
Cartelli con ZONA 30 ripetuti fino a livello della cascina di Rinaldi.
Mettere un semaforo “Intelligente” che rileva la velocità ed eventualmente registra con una telecamera le infrazioni e provvede a recapitare la relativa multa per eccesso di velocità.
Mettere due dossi dissuasori di velocità per proteggere gli attraversamenti pedonali da via Bruni e via Marchiani.


7)Salendo su via Silvio Pellico da Provaglio d’Iseo, a livello della cascina di Rinaldi:
Cartelli ZONA 30 ripetuti.


8)A livello zona Cappuccia, sulla curva verso Monterotondo:
Precedenza a chi proviene dal Bettolino verso Provaglio d’Iseo e viceversa con STOP a chi proviene da Monterotondo.
Indicazioni con scritta: verso Provaglio d’Iseo: BRESCIA Km…
ISEO Km…
PROVAGLIO D’ISEO Km…
CAMIGNONE Km…
PASSIRANO (per Camion) Km..

verso Monterotondo: MONTEROTONDO Km…
DIVIETO PER CAMION
(SOLO CARICO E SCARICO)
PASSIRANO Km…
SOLO TRAFFICO LOCALE.

9)Inseriamo nella petizione anche la richiesta di un gruppo di Cittadini residenti in via Zanardini di un dosso dissuasore di velocità per la sicurezza nella loro via.


Per concludere, ci sono luoghi comuni da sfatare:

A) Le strettoie (tipo quella su via Silvio Pellico in zona ex osteria “Balossa) sono pericolose; dipende sempre dalla velocità con cui si affrontano, in sé non portano pericolo; magari ci vorrebbe un marciapiede per stringerle ancora di più e proteggere l’eventuale pedone disorientato, o uno specchio che permetta di vedere chi proviene dalla parte opposta, ma le strettoie servono a rallentare il traffico.

B) Si sente dire che determinati interventi non si possono effettuare sulle strade provinciali; a Passirano abbiamo esempi concreti che queste regole, se ci sono, hanno una loro flessibilità, vedi i dossi dissuasori e le strettoie eseguite in via Libertà, zona farmacia.


PS: Approfittando della proposta, chiediamo ufficialmente all’Ufficio Tecnico del Comune di Passirano di inserire la nostra osservazione tra quelle da valutare in occasione della definizione del nuovo Piano Triennale delle Opere Pubbliche.

Distinti saluti.



mercoledì 12 dicembre 2007

Pagamento sbagliato, bufera in Consiglio Comunale

Di seguito riportiamo l'articolo pubblicato martedì 11 dicembre 2007 sul Giornale di Brescia




Pagamento sbagliato, bufera in Consiglio Comunale.
Variazione al Bilancio Comunale per l'errore sulla ristrutturazione dell'ex Casa del Fascio. Le opposizioni chiedono le dimissioni del vicesindaco, Domenico Bani.


L'ex casa del fascio "scalda" il Consiglio Comunale. Con il solo voto favorevole della maggioranza è stata infatti approvata una variazione dell'assestamento generale del bilancio di previsione 2007 e pluriennale 2007-2009 che vuole risolvere la questione, ormai spinosa, in seguito ad un errato pagamento per la ristrutturazione dell'ex casa del fascio, predisponendo le risorse necessarie qualora il creditore avanzasse le proprie legittime richieste.
Su questo "errore umano", la cui entità è di circa 90.000 euro, le opposizioni della civica Comunità Solidale, Lega Nord e centro-destra hanno attaccato con decisione l'Amministrazione Comunale, chiedendo addirittura le dimissioni dell'Assessore al Bilancio, nonchè vicesindaco, Domenico Bani.

"I fatti di cui stiamo discutendo risalgono al 2004 e arrivano all'attenzione del Consiglio Comunale solo ora, a 3 anni di distanza" sottolinea il consigliere di Comunità Solidale, Amilcare Barucco. Il Sindaco Daniela Gerardini replica affermando la più totale trasparenza dell'Amministrazione sul caso, sottolineando più volte la natura umana dell'errore, relativa alla compilazione di un documento, e respingendo qualsiasi richiesta di dimissioni vista la mancanza di errori di programmazione politica nell'intera vicenda.

"Il mio unico rammarico - spiega l'Assessore al Bilancio, Domenico Bani - è quello di non riuscire ad effettuare la medesima operazione nel bilancio 2006, riuscendo probabilmente a salvare dal fallimento la ditta vincitrice dell'appalto". Niente dimissioni quindi, nonostante la richiesta più volte avanzata dal consigliere di centro-destra Marco Turra, a cui proprio non è andato giù l'atteggiamento dell'Amministrazione, affermando che "non si può liquidare il problema dicendo che i soldi per coprire le spese ci sono".

I lavori per la ristrutturazione dello storico edificio, costati circa 500.000 euro, sono stati conclusi nel 2004; l'errore di liquidazione riguarderebbe la 5° rata del pagamento versata alla banca d'appoggio della ditta appaltatrice, indicata in fattura, anzichè alla finanziaria incaricata dalla ditta alla riscossione dei crediti. Il fallimento nel 2005 dell'impresa edile stessa, complica ulteriormente la possibilità per il Comune di recuperare l'errato versamento.



lunedì 10 dicembre 2007

L'immagine e la Zona A

Il 5° punto all'ODG del Consiglio Comunale del 29 novembre 2007 si è occupato dell'adozione di un Piano di Recupero in variante al Piano Regolatore Generale, ai sensi dell'articolo 25 della Legge Regionale 12 del 2005 e dell'articolo 2 della Legge Regionale 23 del 1997.



Trattandosi di materia urbanistica, non possiamo ovviamente evitare termini tecnici e riferimenti a normative complesse, più o meno note. In ogni caso, per poter inquadrare meglio il tema affrontato durante il Consiglio Comunale del 29 novembre 2007, suggeriamo di dare un'occhiata veloce alla pagina 11 delle Norme Tecniche di Attuazione dei Centri Storici del Comune di Passirano (per collegarti clicca qui http://www.comune.passirano.bs.it/include/mostra_foto_allegato.php?servizio_egov=sa&idtesto=4&node=5#5), in particolare all'articolo 14, che recita "... la preventiva predisposizione di un titolo abitativo convenzionato sarà obbligatoria nei seguenti casi [...] per gli interventi interessanti una superficie lorda di pavimento superiore a 200 mq...". Non meno interessante l'articolo 16, che prevede: "Nelle operazioni di restauro e risanamento conservativo, nonchè di ristrutturazione, non è consentito superare le altezze, in gronda e in colmo, dell'edificio oggetto dell'intervento, senza tener conto di soprastrutture o di sopraelevazioni aggiunte alle antiche strutture". Premesso che gli edifici per i quali è stato richiesto il Piano di Recupero - salvo errori - hanno grado di operatività 2E2, risulta interessante anche la consultazione delle tabelle degli interventi ammessi dalle Norme Tecniche di Attuazione che, per il caso in esame, sono riportate a pagina 54 e 55 di quello stesso documento che si trova al medesimo indirizzo web del Comune di Passirano.

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L'Assessore all'Urbanistica ha iniziato la sua relazione al Consiglio Comunale spiegando che " ... l'intervento riguarda alcuni fabbricati che si trovano all'interno della Zona A (ovvero nel centro storico), zona identificata dal Comune di Passirano con apposito studio di pochi anni fa. Le Norme Tecniche di Attuazione inserite nella normativa derivante dallo studio sulle zone A prevedono che per alcune tipologie di intervento sia possibile ricorrere all'utilizzo dello strumento del Piano di Recupero. L'elemento caratterizzante e più rilevante del Piano di Recupero - ha ricordato l'Assessore all'Urbanistica - è l'obbligo di convenzionamento con l'Amministrazione Comunale, che assente alla richiesta di intervento sui fabbricati censiti in Zona A solo previo accordo con l'operatore privato. Accordo nel quale il Comune richiede la realizzazione di determinati standard, o la loro monetizzazione, oppure la realizzazione di opere pubbliche".

"Nel concreto - proseguiva l'Assessore - si è aperta una contrattazione con l'operatore privato gestendo, in primis, l'intervento dal punto di vista architettonico". A questo proposito L'Assessore ha dichiarato che "... c'è stato un frequente dialogo tra progettisti e Ufficio Tecnico del Comune in modo tale da garantire il risultato sia dal punto di vista architettonico che funzionale. In secondo luogo, il convenzionamento tra Amministrazione e operatore privato ha permesso di ottenere la realizzazione di una serie di opere pubbliche che interesseranno via Mameli a Monterotondo, zona che verrà riqualificata attraverso il rifacimento degli impianti tecnologici, l'aggiunta di 2 punti luce, il rifacimento del manto stradale con l'inserimento di alcuni tratti in porfido. L'importo delle opere da realizzare a carico dell'operatore privato sarà di 62.000 euro".

Dopo aver ascoltato la relazione dell'Assessore all'Urbanistica, il Consigliere Martinelli ha laconicamente fatto presente che " ... in quel cantiere si sta già lavorando da tempo". Dello stesso tenore - anche se molto più articolato - l'intervento del Consigliere Barucco che ha sottolineato che quel cantiere è aperto da mesi, con lavori che ha definito "... molto avanzati". Il Consigliere Barucco ha espresso la sua contrarietà al fatto che, con una semplice Denuncia di Inizio Attività (DIA), si fossero superate delle precise norme previste per questi interventi, norme approvate dal Comune di Passirano pochi anni prima. DIA che, per di più, è stata applicata in una situazione in cui i lavori sembrano configurarsi anche come ristrutturazione edilizia, in corso peraltro su edifici classificati dallo studio sul Centro Storico del Comune di Passirano con grado di operatività 2E2, che la vieterebbero.

Il Consigliere Barucco, infatti, sottolineava come "... per questa tipologia di edifici (2E2) il grado di operatività delle Norme Tecniche Attuative del Comune di Passirano non consenta nè la ristrutturazione edilizia, nè l'incremento volumetrico, nè la formazione di nuove aperture, nè la soppressione o la modificazione di finestre". Il Consigliere Barucco proseguiva il suo intervento facendo presente all'Assessore all'Urbanistica che, secondo la sua valutazione, approvando questa convenzione " ... stiamo andando contro le norme che voi stessi avete approvato". Senza dimenticare, da ultimo, che la convenzione proposta al Consiglio Comunale concede all'operatore privato "... un incremento volumetrico di circa 840 metri cubi, in cambio di opere pubbliche del valore di soli 62.000 euro". Per tutte le ragioni esposte in precedenza, il Consigliere Barucco chiedeva al Consiglio Comunale di "... respingere questa convenzione perchè non fa gli interessi dei cittadini ".

La replica dell'Assessore all'Urbanistica si è limitata ad esporre una diversa valutazione sull'entità del valore delle opere pubbliche ottenute dalla convenzione con l'operatore privato, opere che, invece, sono state definite di valore congruo. Nella sua replica, però, l'Assessore all'Urbanistica non ha risposto alle osservazioni del Consigliere Barucco a proposito delle Norme Tecniche di Attuazione. Che vieterebbero sugli immobili classificati come 2E2 molti degli interventi edilizi che, invece, sarebbero in corso di realizzazione sui fabbricati di via Mameli.



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Che dire? Ripetiamo, la materia è difficile, i tecnicismi e i riferimenti normativi di diversa natura si sprecano. Ma premesso questo, l'Assessore all'Urbanistica non è riuscito a rimuovere - in modo definitivo ed esaustivo - i dubbi espressi dai consiglieri di minoranza a proposito di questo intervento edilizio.

Una breve riflessione a chiusura. Più di tutti, i politici vivono dell'immagine che gli altri hanno di loro. Ecco perchè ci sono alcuni elementi fondanti che non possono non caratterizzare l'attività di chi ha liberamente scelto di mettersi al servizio della comunità. In particolare ci si vuol riferire al costante perseguimento dell'interesse pubblico, all'eticità e alla trasparenza delle decisioni, al massimo rispetto delle norme e dei regolamenti. Nel caso in cui anche uno solo di questi elementi venga a mancare, o non sia pienamente "leggibile" all'interno di un provvedimento, ad uscirne ridimensionata è proprio l'immagine di chi quella decisione l'ha comunque voluta e votata.


domenica 9 dicembre 2007

Il Comune può limitare le facoltà di edificazione previste dalla Regione

Di seguito riportiamo l'articolo di Vittorio Italia - pubblicato a pagina 51 de "Il Sole-24 Ore" del 19 novembre 2007 - dal titolo "Ok al Comune più severo della Regione"




E' legittimo il piano urbanistico comunale che stabilisce, per l'edificazione, dei limiti più rigorosi di quelli previsti nel Piano Territoriale di Coordinamento Paesistico della Regione. Così ha deciso il Consiglio di Stato, sezione IV, 1 ottobre 2007, n° 5058, che ha precisato i complessi rapporti tra i piani comunali e quelli regionali.

Il caso riguardava un piano urbanistico comunale che aveva stabilito, per determinati terreni, un'edificabilità più ridotta rispetto a quanto previsto nel sovrastante Piano Regionale. I proprietari di questi terreni hanno fatto ricorso contro il Piano Comunale, sostenendo che la pianificazione comunale non poteva introdurre delle modificazioni rispetto alle puntuali previsioni urbanistiche contenute nel Piano Regionale.


Il Consiglio di Stato ha però respinto la tesi dei ricorrenti, con i seguenti argomenti:

1)il precedente sistema pianificatorio urbanistico, ordinato in forma gerarchica "a cascata", è in contrasto con il principio costituzionale dell'autonomia degli enti territoriali (articolo 118) e con il riparto delle competenze in materia urbanistica. Il Comune quindi non può essere confinato in una posizione di mera attuazione di scelte precostituite in sede regionale;

2)il Piano Territoriale Paesistico Regionale (articoli 143 e seguenti del Codice dei beni culturali) tutela i valori paesaggistici, ma non è una direttiva con un unico oggetto. Esso pone un limite minimo alla discrezionalità programmatoria del Comune e, quest'ultimo non può ampliare la facoltà di edificazione, ma può stabilire limiti più rigorosi all'edificazione.


La sentenza è esatta e chiarisce la posizione del Comune, che è oggi illegittimamente sacrificata rispetto a quanto previsto nella Costituzione. Infatti, l'articolo 114 della Costituzione pone il Comune come primo tra gli enti territoriali che costituiscono la Repubblica, e gli riconosce un'autonomia di "propri statuti, poteri e funzioni". Attualmente i piani comunali - sia quelli urbanistici, sia quelli relativi ad altre materie - sono quasi sempre asserviti ai piani regionali. Ma l'autonomia dell'ente locale si manifesta anche attraverso i poteri pianificatori, ed i piani deliberati dai Comuni devono avere un loro spazio. [...]


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Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quarta ha pronunciato la seguente DECISIONE sul ricorso in appello n. 521.2006 [...] per l'annullamento della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria 8.7.2005 n. 1066; [...]


FATTO

Gli appellanti sono proprietari di terreni [...] i quali – secondo la disciplina urbanistica previgente – ricadevano in zona residenziale semintensiva SI 1 e SI 2, con relativa potenzialità edificatoria. Con deliberazione consiliare n. 42 del 2000 il comune di Lerici adottò il progetto preliminare del nuovo Piano Urbanistico Comunale – P.U.C. , nel quale le aree in questione risultavano invece classificate in parte in ambito R5.1 con regime normativo di consolidamento ( ID-CO) e in parte in ambito di gestione ambientale PA 4.

In pratica, per i terreni sottoposti a regime di consolidamento risultava vietata ogni edificazione, salvo modestissima volumetria attribuita ad uno dei terreni.Con deliberazione consiliare n. 36 del 2002 è stato poi approvato il progetto definitivo del P.U.C, che è infine divenuto operativo all’esito del positivo vaglio operato dall’Amministrazione provinciale di La Spezia.

Il Piano è stato impugnato avanti al T.A.R. Liguria dagli interessati, i quali ne hanno chiesto l’annullamento deducendo in particolare il contrasto della nuova disciplina urbanistica comunale rispetto alle vincolanti indicazioni desumibili dal sovraordinato Piano Territoriale di Coordinamento Paesaggistico – P.T.C.P della regione Liguria.

Si sono costituiti in quel giudizio il comune di Lerici e la provincia di La Spezia, instando per l’inammissibilità e l’infondatezza del gravame. Con la sentenza in epigrafe indicata il Tribunale, dopo aver disatteso le eccezioni in rito, ha respinto nel merito il ricorso, compensando peraltro le spese di lite tra le parti. La sentenza è impugnata con l’atto d’appello all’esame dai soccombenti i quali ne chiedono l’integrale riforma con annullamento dei provvedimenti gravati, deducendo quattro motivi di impugnazione e riproponendo la domanda di risarcimento dei danni patiti già infruttuosamente versata in primo grado. [...]



DIRITTO

L’appello non è fondato e la sentenza impugnata va pertanto integralmente confermata. In primo luogo non condivisibile nella sua assolutezza è la tesi – che costituisce il nucleo portante dell’impugnativa – secondo la quale la pianificazione comunale non può introdurre modificazioni rispetto alle previsioni urbanistiche di natura puntuale contenute nello strumento regionale di coordinamento.

Al riguardo si osserva innanzi tutto che la risalente nozione del sistema pianificatorio urbanistico come ordinato “a cascata” e cioè in forma sostanzialmente gerarchica si pone in contrasto con il principio costituzionale dell’autonomia degli enti territoriali (art. 118 Cost.) nonchè con il criterio generale di riparto delle competenze in materia urbanistica delineato dalla normativa statale.

In un contesto ordinamentale in cui il principio di sussidiarietà da un lato e la spettanza al comune di tutte le funzioni amministrative che riguardano il territorio comunale dall’altro orientano i vari livelli di pianificazione urbanistica secondo il criterio della competenza, il ruolo del comune non può infatti essere confinato nell’ambito della mera attuazione di scelte precostituite in sede sovraordinata. Ciò comporta che il comune, se non può disattendere le prescrizioni di coordinamento dettate dagli enti (Regione o Provincia) titolari del relativo potere, può però discrezionalmente concretizzarne i contenuti. Indagando, sulla base dei criteri orientativi ora sinteticamente richiamati, la natura dei rapporti che intercorrono tra il piano urbanistico comunale e il piano territoriale di coordinamento, si ricorda che originariamente tale strumento (previsto in forma non obbligatoria dall’art. 5 della legge urbanistica n. 1150 del 1942) aveva lo scopo di orientare l’attività urbanistica da svolgere in determinate parti del territorio nazionale, stabilendo in sede ministeriale le direttive principali che sarebbero state poi specificate a livello comunale.

Una volta transitata alle Regioni la relativa competenza il Piano di coordinamento ha assunto funzioni ulteriori affidategli dalla legislazione regionale, potendo anche contenere prescrizioni immediatamente efficaci nei confronti dei privati. Successivamente, con l’art. 1 bis della legge n. 431 del 1985 (cfr. ora artt. 143 e segg. del Codice dei beni culturali) al Piano territoriale è stata affidata anche la salvaguardia dei valori paesaggistici e ambientali. Il Piano territoriale, che originariamente aveva natura sostanziale di direttiva ad oggetto determinato, è venuto dunque ad assumere una configurazione complessa, coniugando l’originaria funzione di coordinamento delle pianificazioni urbanistiche locali con quella volta all’individuazione del punto di compatibilità tra la trasformazione del territorio regionale e la conservazione dei valori ambientali. Sotto il profilo da ultimo richiamato le disposizioni del Piano territoriale pongono un limite minimo o, per così dire, negativo alla discrezionalità programmatoria del comune, il quale non può attenuare la tutela ambientale ampliando le facoltà di edificazione. Per contro, e cioè in positivo, è invece acquisito nella giurisprudenza della Sezione che la previsione del piano comunale può legittimamente dislocarsi, rispetto al piano regionale, in termini concretamente più rigorosi in relazione a tali finalità ambientali. Di per sè, quindi, l’adozione da parte del comune di scelte urbanistiche più restrittive – e cioè in pratica l’assegnazione ad una area di una potenzialità edificatoria minore rispetto a quella consentita dal P.T.C.P. – non configura quei vizi di legittimità che gli appellanti deducono in via principale. [...]



P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, defintivamente pronunciando, respinge l’appello in epigrafe. [...] Così deciso in Roma, addì 12 giugno 2007, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta – riunito in Camera di consiglio con l’intervento dei Signori:Paolo SALVATORE Presidente Pier Luigi LODI Consigliere Antonino ANASTASI estensore Consigliere Vito POLI Consigliere Carlo DEODATO Consigliere Depositata in Segreteria Il 01.10.2007 (Art. 55, L. 27.4.1982, n. 186)



venerdì 7 dicembre 2007

Da Benedetto Croce ... alle Giunte comunali

di Salvatore Settis - Stralcio di un articolo pubblicato il 27 novembre 2007, su "La Repubblica"
Al termine una nostra breve considerazione.


Sulla Repubblica del 19 novembre Mario Pirani ha attirato l´attenzione sull´assalto al paesaggio italiano, e sull´intreccio di norme e competenze che lo incoraggia. Per cercare una soluzione, auspicata sullo stesso giornale da Francesco Rutelli (15 novembre) con dure parole contro «i programmi di edificazione che possono irreversibilmente far male al Paese», è bene richiamare i "precedenti" del problema.

La tutela del paesaggio in Italia è più recente di quella del patrimonio culturale, ma si innesta sullo stesso tessuto etico, giuridico, civile e politico. Difesa dei monumenti e difesa del paesaggio si legano nel primo Novecento: un articolo di Corrado Ricci su Emporium (1905) mette insieme il tentativo di aprire una nuova porta nelle mura di Lucca (battuto da una campagna di opinione, che incluse Pascoli e D´Annunzio) e le minacciate distruzioni della cascata delle Marmore e della pineta di Ravenna, poco dopo protetta da apposita legge. Ma la prima legge sul paesaggio fu presentata nel 1920 da Benedetto Croce, ministro della Pubblica Istruzione nell´ultimo governo Giolitti. La relazione Croce invoca «un argine alle devastazioni contro le caratteristiche più note e più amate del nostro suolo», perché la necessità di «difendere e mettere in valore le maggiori bellezze d´Italia, naturali e artistiche» risponde ad «alte ragioni morali e non meno importanti ragioni di pubblica economia». Il paesaggio «altro non è che la rappresentazione materiale e visibile della patria, coi suoi caratteri fisici particolari (...), formati e pervenuti a noi attraverso la lenta successione dei secoli». […]

Il DPR 8/1972, presumibilmente oltrepassando i limiti della delega al governo, trasferì alle Regioni redazione e approvazione dei piani paesistici. […] Di fatto, le Regioni hanno sub-delegato ai Comuni le competenze paesaggistiche, cancellando ogni unitarietà nella tutela del paesaggio. La crescita del fabbisogno e la diminuzione delle entrate ha spinto i Comuni a cercare nuovi introiti dagli oneri di urbanizzazione, «dilatando i permessi di lottizzazione e di costruzione per far cassa subito» (così Gilberto Muraro), e provocando un´ondata di cemento senza precedenti. La stessa nozione di paesaggio, nonostante l´art. 9 della Costituzione, è stata sepolta sotto norme che sovrappongono piani urbanistico-territoriali e piani territoriali paesistici, per giunta introducendo anche la nozione di "beni ambientali". Ognuno vede quanto sia incerto il confine fra paesaggio, territorio e urbanistica, ambiente. […]

Davanti allo scempio del paesaggio a cui assistiamo, sempre più chiara è la debolezza di questo sistema normativo. Non giova l´intrico di norme e competenze, che non chiarisce se "territorio", "ambiente" e "paesaggio", ambiti regolati da diverse normative e sotto diverse responsabilità, siano tre cose o una sola. Esiste un "territorio" senza paesaggio e senza ambiente? Esiste un "ambiente" senza territorio e senza paesaggio? Esiste un "paesaggio" senza territorio e senza ambiente? Eppure "paesaggio" e "ambiente" sono prevalentemente sul versante delle competenze statali (ma di due diversi ministeri), mentre il governo del territorio spetta a Regioni ed enti locali. Una ricomposizione normativa, per cui le tre Italie del paesaggio, del territorio e dell´ambiente ridiventino una sola, è al tempo stesso ardua e necessaria. […]

Abbiamo finito col porre al centro del sistema di quella che fu la tutela del paesaggio (materia fragile e cruciale) non la certezza della norma e delle responsabilità istituzionali e personali, bensì la perpetua conflittualità fra regole parziali, ora carenti ora ridondanti, privilegiando de facto gli interstizi dell´interpretazione, che per sua natura è soggetta a ideologismi, contingenze politiche, interessi speculativi e pressioni di parte. Benvenuta è perciò la sentenza della Corte Costituzionale del 7 novembre (nr. 367), che ribadisce la tutela sul paesaggio come «un valore primario ed assoluto, che rientra nella competenza esclusiva dello Stato», e dunque «precede e limita il governo del territorio».

Lo scontro fra normative incoerenti fra loro e fra le interpretazioni rese possibili dall´analisi giuridica formale non conduce in nessun luogo, se non all´ingorgo che sta travolgendo il paesaggio italiano. È ora di tornare a un´alta consapevolezza della dimensione storica, etica e civile della tutela del patrimonio culturale e del paesaggio, che l´art. 9 della Costituzione ha fissato con lungimiranza; è ora di ricordarsi, secondo una sentenza della Corte (341/1996) «che il paesaggio costituisce, nel nostro sistema costituzionale, un valore etico-culturale (...) nella cui realizzazione sono impegnate tutte le pubbliche amministrazioni, e in primo luogo lo Stato e le Regioni, in un vincolo reciproco di cooperazione leale».


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Fin qui il documento di Salvatore Settis. Val la pena di sottolineare nuovamente una recente sentenza della Corte Costituzionale, che ha ribadito la tutela sul paesaggio come valore primario ed assoluto, che precede e limita il governo del territorio, e che è di competenza esclusiva dello Stato. Partendo dal contenuto di questa sentenza, ci si chiede come sia possibile liquidare il Piano Paesistico come una noiosa formalità burocratica, che - in quanto tale - non si preoccupa troppo di approfondire e condividere i contenuti etici, culturali, civili e politici del valore paesaggio.
Rimandano alla lettura del post Il Piano Paesistico dell'elite, bisogna prendere atto che in tema di tutela e salvaguardia del paesaggio, siamo passati da Benedetto Croce .... alle Giunte comunali.

mercoledì 5 dicembre 2007

Lo Stato si riappropria del paesaggio

di Antonello Cherchi - Articolo pubblicato su “Il Sole-24 Ore” di lunedì 26 novembre 2007



[…] Francesco Rutelli si appresta a portare in uno dei prossimi Consigli dei Ministri il testo che rivede sia la parte del Codice dei Beni Culturali dedicata al patrimonio culturale sia quella relativi ai beni paesaggistici. Ma è soprattutto quest’ultima – che al tempo dell’allora ministro dei Beni Culturali Giuliano Urbani (artefice del Codice) era stata interessata anche da un discusso condono - ad essere investita delle modifiche più profonde. Lo Stato, infatti, che già con l’ultima riforma del 2006 – targata Rocco Buttiglione, allora responsabile del dicastero – aveva affermato una maggiore presenza nella gestione del paesaggio sottoposto a tutela, compie un ulteriore passo in questa direzione, affidando un ruolo ancora più forte alle soprintendenze.

E suscitando una volta di più i malumori delle Regioni, alle quali il ministero ha sottoposto il nuovo testo. La consulta degli assessori regionali alla Cultura, coordinata dall’assessore calabrese Michelangelo Tripodi, lunedì scorso ha inviato al ministero le proprie osservazioni, chiedendo inoltre di aprire un tavolo di confronto. I rilievi regionali, però, non hanno fatto breccia. Anche perché il ministero questa volta ha una carta in più da giocare. E di sicuro atout. Può infatti contare sulla recente sentenza della Corte costituzionale – la 367, depositata il 7 novembre scorso – che ha ritenuto infondate le lamentele avanzate da una serie di Regioni verso la precedente riforma del Codice dei beni culturali nella parte relativa al paesaggio.

La questione di fondo riguardava il riparto delle competenze: le Regioni accusavano lo Stato di essersi appropriato di un ruolo che nella prima versione del Codice spettava agli enti territoriali. La Consulta però è stata esplicita: il paesaggio è l’aspetto del territorio “per i contenuti culturali” che esprime, e la sua tutela “gravando su un bene complesso e unitario, considerato dalla giurisprudenza costituzionale un valore primario e assoluto, e rientrando nella competenza esclusiva dello Stato, precede e comunque costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle Regioni in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni culturali ed ambientali”. In altre parole, lo Stato non deve stare a guardare.

Ancora prima che la Corte si esprimesse - e seguendo le indicazioni di Rutelli, che ha dichiarato guerra agli abusi anche attraverso un maggior potere da affidare ai soprintendenti – la commissione ministeriale guidata da Salvatore Settis aveva già predisposto una riforma dove, per esempio, i piani paesaggistici devono essere elaborati dal ministero e dalle Regioni. Ora, invece, sono le Regioni a doversi muovere “anche in collaborazione con lo Stato”. Il nuovo testo, che dopo l’approvazione del Consiglio dei ministri sarà sottoposto alle commissioni parlamentari competenti, è costellato di altri riferimenti al maggior peso destinato agli uffici statali.

Se ne trovano nella parte riservata all’autorizzazione paesistica – il parere del soprintendente diventa sempre vincolante, mentre ora lo è solo in taluni casi – come in quella relativa all’installazione di cartelloni pubblicitari e alla decisione dei colori delle facciate degli edifici in realtà particolari (per esempio i centri storici o le zone panoramiche). Anche in questi casi l’ultima parola spetta allo Stato, ovvero al soprintendente, che è il suo braccio operativo sul territorio. Per non parlare poi della vigilanza sul paesaggio: oggi è genericamente affidata alle Regioni e al ministero. Domani sarà soprattutto il soprintendente a spiegare il da farsi.


martedì 4 dicembre 2007

I responsabili della distruzione

Lettere bresciane, di Attilio Mazza - Publicato a pagina 61 di BresciaOggi del 3 dicembre 2007



Caro Marco, Giulia Maria Crespi, fondatrice e presidente del Fai, Fondo per l’ambiente italiano, ha dichiarato che il paesaggio è la fonte del turismo: «Se il paesaggio viene sfigurato il turismo muore. E poi il paesaggio è motivo di qualità di vita, di agricoltura. Soprattutto è il simbolo della nostra stessa storia. Continuare a costruire rappresenta un terribile errore di fondo».

L’allarme lanciato al seminario svoltosi ad Assisi il 10 novembre mi ha rimandato al giudizio della commissione dell’Unesco invitata sul Garda per verificare la possibilità di tutelare il comprensorio benacense come «patrimonio dell’umanità». E cioè al negativo parere lapidario: «Qui non c’è più nulla da tutelare». Le cause della distruzione del Bel Paese (di cui il Garda era parte ammiratissima dai grandi viaggiatori di altri secoli) sono state poste sotto la lente d’ingrandimento al convegno di Assisi. E mi sembra che il mondo politico, rappresentato dal ministro per i Beni e le attività culturali Francesco Rutelli, non abbia saputo compiere il mea culpa sulle gravi responsabilità pubbliche nel lasciare mano libera alla speculazione anche se ha dichiarato che è «conclusa la stagione dell’espansione edilizia infinita» e ha perentoriamente aggiunto: «Sia ben chiaro: mai più condoni edilizi».

Rutelli ha soprattutto attaccato «l’Italia dei geometri» responsabili di una crescita senza stile. E ha scatenato la polemica. Anche se l’affermazione del ministro non è priva di verità. Penso ai molti geometri (non tutti) che grazie alle lauree facili sessantottesche sono diventati architetti trasferendo nelle costruzioni sparse su tutto il territorio la loro la scarsa preparazione (colpa quindi del Legislatore e delle Università) e l’incapacità di cogliere il valore, e l’indispensabile rispetto del contesto paesaggistico o urbano. Basta guardare alcune colline o alcuni centri storici del Garda per rendersi conto delle devastazioni prodotte da tale cultura.


Ma le responsabilità dei geometri e degli architetti sono secondarie rispetto a quelle della classe politica di questi ultimi lustri, degli amministratori di Regioni, Province e Comuni
ai più diversi livelli, e della magistratura ordinaria e amministrativa. Alcuni passaggi dell’intervento del ministro Rutelli meritano attenzione, al di là dalle polemiche sollevate. Replicando alle Regioni che rivendicano autonomia in materia di gestione del territorio nei confronti dello Stato, spesso per lasciare mano libera alla speculazione, ha replicato: «La Corte Costituzionale, con la sentenza 367 del 7 novembre scorso, ha respinto tutti i ricorsi delle Regioni contro lo Stato affermando che proprio allo Stato tocca il compito della tutela del patrimonio visto come "valore primario e assoluto". Quando arrivano i vincoli, questi vanno rispettati. Presto arriverà anche il reato di frode paesaggistica». I vincoli posti in altre epoche sono dunque validi.

E i Comuni, per difendere il territorio dalla devastazione, possono sempre ricorrere allo Stato. Un messaggio chiaro, quello lanciato dal ministro, che smentisce tutte le giustificazioni avanzate da alcuni sindaci (anche gardesani) contro l’impossibilità di arginare l’avanzata del cemento, affermando che tutto era stato deciso dalle precedenti giunte (magari decenni prima!) o accampando la necessità di reperire mezzi finanziari per le opere pubbliche, spesso superflue se non addirittura dannose per la bellezza paesaggistica.
A conferma del proverbio che «Dal detto al fatto c'è un gran tratto», alcuni sindaci sostengono di voler contrastare le colate di cemento mentre in realtà favoriscono la distruzione d’intere colline cedendo all’assalto per incassare oneri di urbanizzazione. Ben venga, dunque, caro Marco, la definizione del «reato di frode paesaggistica» che forse renderà i Comuni più attenti nel rilasciare concessioni edilizie in ambiti di grande pregio.

lunedì 3 dicembre 2007

Il bosco di Monterotondo

Il Comitato ha vinto la battaglia - Resuscita il bosco di Monterotondo
di Fausto Scolari



Articolo pubblicato domenica 2 dicembre 2007 sul quotidiano BresciaOggi

Stavolta la mobilitazione dei cittadini ha colpito il bersaglio. Il «pressing» del Comitato di frazione di Monterotondo ha impedito la cancellazione di un bosco. Il settore Ambiente della Provincia di Brescia ha ordinato il ripristino di un’area verde in località San Giorgio.
La vicenda inizia esattamente un anno fa, quando i proprietari dell’area verde fecero eseguire lavori di sbancamento e livellamento del terreno intorno a un cantiere per la costruzione di una cantina aperto nell’ormai lontano 1993. I privati innalzarono una recinzione con rete metallica e paletti di ferro sul lato ovest radendo al suolo un bosco di latifoglie di 5 mila metri quadri.

L’operazione provocò la reazione dei residenti della frazione di Passirano che dopo aver costituito un comitato civico, segnalarono il presunto «scempio ambientale» al sindaco di Passirano e alla Provincia di Brescia.
La mobilitazione dei cittadini è stata scandita da una serie di incontri con l’assessore all’Urbanistica e con il responsabile dell’ufficio tecnico di Passirano e i funzionari del Broletto. L’undici maggio 2007, il Comitato si è rivolto direttamente al Corpo forestale dello stato che, attraverso il distaccamento di Iseo ha avviato una serie di sopralluoghi. Sulla scorta degli accertamenti, a settembre è stata inoltrata la richiesta alla Provincia di un intervento diretto finalizzato a ripristinare il bosco.

L’istanza del Comitato civico di Monterotondo non è caduta nel vuoto: al termine di un’istruttoria, l’assessorato provinciale all’Ambiente ha emesso un’ordinanza di ripristino del bosco a carico del proprietario. Restano da stabilire modi e tempi della riforestazione ma il Comitato avverte: «Seguiremo passo dopo passo l’operazione di ripristino, non vogliamo che il provvedimento del Broletto rimanga lettera morta».


sabato 1 dicembre 2007

Paesaggio e cemento

di Vittorio Emiliani


I terreni agricoli sono terreni in attesa di reddito edilizio. La campagna è in attesa di diventare periferia. O di venire lottizzata per seconde o terze case. Ne esce una Italia sfigurata per sempre. L’ultimo scempio annunciato e paventato in ordine di tempo - ma a quest’ora sarà già il penultimo - è quello a ovest di Certaldo: ben 162 ettari di colline a bosco, a uliveti e altri coltivi che diventano campo di golf da 36 buche (ce n’è già uno da 18), parcheggi per 700 (settecento) nuove case ad un passo dal borgo di Castelfafi, l’antico Castrum Faolfi, di origine longobarda, anno 754. Talmente integro che Roberto Benigni lo scelse per girarvi alcune scene del suo «Pinocchio». [...]

Mentre, con una lettera, Wwf, Italia Nostra, Legambiente Toscana hanno chiesto, anzitutto alla Regione, di rifiutare qualsiasi consumo di suolo (e quindi di paesaggio) che esuli dal recupero e dalla riqualificazione del già esistente: 233.900metri cubi, non una inezia, che la multinazionale vuole invece raddoppiare. Un campo di prova decisamente impegnativo per la Regione Toscana e per il suo Piano di Indirizzo Territoriale nel quale il sistema collinare regionale viene identificato come «un complesso e irripetibile intreccio di storia, paesaggio, natura e cultura, che caratterizza l’immagine della nostra Regione nel mondo, ecc.ecc.». Ora si vedrà se sono soltanto parole. Il consumo di suolo, anche nella bella e sino ieri abbastanza conservata Toscana ha assunto ritmi inaccettabili, da autentica follia.

Nel quindicennio 1990-2005 l’accoppiata “cemento & asfalto” si è “mangiata” 265.650 ettari di terreni a verde, a coltivo, a bosco, quasi il 16 per cento della superficie libera nel 1990, appena un punto percentuale sotto la spaventosa media nazionale. Ma negli ultimi cinque anni considerati quella corsa ha subito una ulteriore accelerazione: se nel decennio 1990-2000 in Toscana si sono consumati suoli liberi al ritmo di 15.000 ettari l’anno, nel quinquennio 2000-2005 tale ritmo è balzato a 20.279 ettari l’anno. [...]

In Toscana sono sorti ben 162 comitati in altrettanti luoghi di “sofferenza”: da Monticchiello, ormai “storica”, a Bagno a Ripoli, da Fiesole a Casole d’Elsa, con interventi, spesso, della magistratura a seguito di documentate denunce. Con Montaione uno dei “casi” più recenti è quello di piazza Montanelli a Fucecchio dove domenica si svolge un convegno sulle piazze minacciate di stravolgimento in Toscana (Fiesole,Prato, ecc.). Coordinati da Alberto Asor Rosa, i Comitati si riuniscono invece oggi a Firenze per consolidare una rete che sta diventando un fatto nazionale ed un esempio. [...]

Anche qui, come a Roma al recente convegno organizzato dalla presidenza del Consiglio Provinciale e dal Comitato per la Bellezza, figura in prima fila la Coldiretti. La quale ha capito che agricoltura tipica di qualità e paesaggio tutelato vanno di pari passo, che vino, olio, salumi e formaggi “dop” si producono, si vendono e si esportano meglio se vengono da paesaggi integri. [...]
C’è ormai anche una accentuata preoccupazione per i terreni agricoli, o a bosco o a pascolo, sempre più sottratti alle colture e agli allevamenti: nel decennio 1990-2000 la superficie italiana libera si è ridotta di altri 3,1 milioni di ettari e 1,8 milioni di essi erano “Sau”, superfici agrarie utilizzate. Che sono sparite, inghiottite in una periferia senza verde, nei centri commerciali, negli outlet, nelle multisala e così via. I terreni agricoli, anche i più produttivi, sono dunque terreni in attesa di reddito edilizio.

La campagna è in attesa di diventare periferia. O di venire lottizzata per seconde e terze case. Per operazioni tipo Montaione. Ne esce una Italia sfigurata per sempre. Sorte tremenda se pensiamo che appena due secoli fa (un soffio per la storia) Wolfgang Goethe era ammirato degli italiani i quali avevano saputo “costruire” paesaggi mirabili, agendo con spirito e cultura da artisti - anche se erano contadini, mezzadri, capimastri - una “seconda natura” intrecciata a quella originaria, abbellendola persino: era la “natura naturata”, cioè antropizzata, identificata da Averroè e che non si contrapponeva ma si fondeva alla “natura naturans”, a quella cioè primordiale. Ancora nel dopoguerra Emilio Sereni, grande studioso di agricoltura e di paesaggio scriveva che il contadino toscano aveva una idea del paesaggio e della sua bellezza che rimontava a quella degli affreschi di Benozzo Gozzoli e del “Ninfale fiesolano” del Boccaccio.

Una cultura alta, demolita, distrutta da una idea bassa di “sviluppo” a tutti i costi, di mercato senza freni, da una sorta di paleo-capitalismo che dissipa brutalmente beni primari irriproducibili, fondamentali per la vita degli individui e delle comunità, ma anche per quel turismo culturale e naturalistico che è il solo che “tira” ormai e che ha prospettive di lungo periodo. Se non si semina cemento appena fuori dalle mura delle città d’arte.
In questa cultura sviluppistica non c’è quasi più distinzione fra centrosinistra e centrodestra, salvo rare eccezioni come Mantova, dove il sindaco Fiorenza Brioni si batte lucidamente contro la lottizzazione in riva ai laghi promossa dalla giunta precedente, anch’essa di centrosinistra. Ha ragioni da vendere Fulco Pratesi, fondatore del Wwf, quando dice: «Una volta sapevamo che a sinistra ci avrebbero dato ascolto. Adesso non ne siamo affatto sicuri». Anch’io - che mi occupo di questi problemi dalla prima giovinezza - ricordo sindaci di sinistra che erano operai, falegnami, ex muratori, i quali amavano profondamente le loro città, la loro terra, e ascoltavano spesso le richieste degli intellettuali locali, delle associazioni. Ora non è più così. C’è stata una mutazione genetica.

Perché? In parte perché i Comuni, vistisi tagliati i fondi provenienti dai trasferimenti statali, hanno colto nella febbre edilizia una occasione per turare le falle di bilancio. La illuminata legge Bucalossi sui suoli degli anni ‘70 prescriveva che gli introiti provenienti dagli oneri di urbanizzazione potessero venire impiegati soltanto per spese di investimento. Ma una sciagurata Finanziaria ha consentito loro di impiegarli anche come spesa corrente. Ecco una delle ragioni di fondo del favore col quale tanti Comuni guardano allo “sviluppo”, finto, di una edilizia speculativa e rinunciano a tutelare il paesaggio. Sciaguratamente, dico io, perché in tale conflitto di interessi la tutela paesaggistica viene di necessità sacrificata alla utilità di fare cassa, di introitare denari. [...]

«A Londra - ha detto recentemente in una intervista a Violante Pallavicino uscita sul Terzo Occhio - negli ultimi dieci anni non abbiamo consumato un solo metro quadrato delle “green belts, delle cinture verdi». Di più, proprio Rogers ha approntato per Tony Blair una legge la quale, approvata nel 2001, prescrive che soltanto il 30 per cento delle nuove edificazioni possa sorgere su aree libere, ex agricole, mentre il 70 per cento deve sorgere su aree già costruite o su ex aree industriali. «E a Londra - fa notare Rogers - il sindaco Ken Livingstone si propone di concentrare il cento per cento dell’edilizia nuova nelle “brown belts”, cioè nelle aree già edificate».
C’è ancora differenza, dunque, fra destra e sinistra. In Germania la stessa Angela Merkel, quando era nel 1998, ministro dell’Ambiente ha varato una legge che limita nei Laender il consumo di suolo a 30 ettari al giorno, cioè a meno di 10.000 ettari l’anno. Un sogno per noi che ne consumiamo 244.000... E la Merkel non è certo una massimalista.

Siamo stati ammirati nel mondo come il Giardino verde d’Europa e lo siamo sempre meno: la cartina dell’Istat ci mostra che le zone libere si riducono ormai alle vette alpine, all’Appennino più alto, all’interno di alcune regioni (Basilicata, Toscana), mentre fra Venezia e Milano prevale il colore bruno di una conurbazione continua, senza più distinzione fra città e campagna. Nonostante ciò si comincia a costruire nei parchi regionali, vedi il caso a Pavia della Vernavola o, a Milano, il Parco Sud, e l’assessore alle Infrastrutture della Regione Lombardia (la più “deregolata”, con costi sociali enormi) propone una legge che consentirà di alzare capannoni industriali praticamente ovunque lungo strade e autostrade.

Capannoni che sono già tanti e spesso vuoti, frutto di speculazioni cieche e fallite, pegni per le banche e così via. In spregio al paesaggio, all’agricoltura, alle future generazioni condannate alla bruttezza diffusa. «La bellezza è anche un fattore di coesione sociale», ha affermato il sindaco di Mantova, Brioni, al convegno di Roma. Chi sosterrà con forza nel centrosinistra questa bandiera?


E' un polo scolastico? No, è solo una nuova struttura

Di seguito si riporta uno stralcio dell’articolo “Un Istituto per 6 plessi…”, pubblicato il 29 novembre 2007 sul Giornale di Brescia.
Al termine un nostro commento.


Una “media in crescita”. E’ costante l’aumento del numero di studenti visto negli ultimi anni dall’istituto comprensivo che accoglie gli studenti provenienti da Passirano e Paderno Franciacorta. Aumento che ha portato a 885 il totale degli alunni che frequentano le 49 classi dei 6 plessi scolastici (4 primarie e 2 secondarie). Crescita che ha portato l’Amministrazione comunale di Passirano ad intervenire tempestivamente sulla elementare del centro, intitolata ad Ernesto Valloncini, ampliando il plesso con la realizzazione di 3 nuove aule e della sala mensa.

Un intervento importante – spiega l’Assessore alla Pubblica Istruzione, Roberto Avanzini – che tuttavia ci indica come, tra qualche anno, il medesimo problema di mancanza di spazi lo dovremo affrontare per la scuola media. Dalla proiezione sulle iscrizioni future, realizzato fino al 2012-2013, si delinea la necessità di almeno 3-4 classi in più, a fronte di una saturazione dei locali disponibili nel plesso.

Come Amministrazione siamo particolarmente attenti al tema dell’istruzione con gli oltre 400.000 euro investiti nel piano di diritto allo studio, vogliamo perciò valutare con calma quale sia la miglior strategia per per affrontare il problema –
prosegue l’assessore Avanzini – prendendo in considerazione anche l’ipotesi di realizzare una nuova struttura che raccolga le classi delle scuole per l’infanzia e delle primarie, per permettere di utilizzare per le nuove classi delle medie i locali ora occupati dalla primaria del centro, data la vicinanza dei 2 plessi. Operazione ancora tutta da valutare, ma in maniera tempestiva, approfittando anche della stesura del nuovo piano di governo del territorio, per individuare l’area più idonea ad un eventuale intervento ed il suo sviluppo”. […]

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Continuiamo ora con alcune considerazioni sull'appassionante tormentone che riguarda l’edilizia scolastica a Passirano.

La prima. La definizione "polo scolastico" evidentemente non piace più. Tant’è che in questo articolo l'assessore preferisce parlare di "nuova struttura". Prendiamo atto che cambia il nome del contenitore, ma non quello del contenuto. Che nel concreto rimane assolutamente uguale a se stesso.

La seconda. Evidentemente gli amministratori che hanno programmato (?) e voluto l’attuale scuola media non sono stati in grado di prevedere la "dinamica della domanda" (chiamiamola così...). L'affermazione potrà anche non essere condivisa da tutti, ma è del tutto coerente con le dichiarazioni rese dall'assessore alla Pubblica Istruzione al Giornale di Brescia. L'assessore, infatti, fa notare che sia pure a distanza di pochissimi anni dalla sua realizzazione, l'edificio della scuola media di Passirano - sorto insieme al nuovo Municipio, e costato quel che è costato - non è più adeguato alle nuove esigenze.
Le domande, ovvie, sono le seguenti: come è potuto accadere? Chi ha sbagliato? Chi dobbiamo ringraziare?

La terza. Molti degli amministratori comunali che hanno da poco inaugurato la scuola media, oggi stanno ri-valutando, ri-progettando, ri-programmando e ri-spendendo ulteriori risorse finanziarie per la realizzazione della seconda nuova scuola media. Viste le premesse, è lecito manifestare perplessità e preoccupazione per quanto accaduto, e per quanto potrebbe accadere?



Chiudiamo il nostro l'intervento riportando uno stralcio di uno studio curato dalla Università Mediterranea, Facoltà di Ingegneria, in tema di opere pubbliche.

Trattando dell'analisi della domanda e dell’offerta, lo studio ricorda che "... un’opera pubblica trae fondamento solo partendo dalla identificazione di un fabbisogno e dalla costruzione di una proposta per rispondere a tale fabbisogno. Il bilancio domanda-offerta assume dunque un’importanza decisiva per la giustificazione economico-sociale (utilità) degli investimenti. Occorre descrivere in termini quali-quantitativi lo stato attuale e le prospettive di evoluzione della domanda di beni e/o servizi che costituiscono i bisogni da soddisfare direttamente con l’intervento proposto. [...] E’ bene tener presente che è solo partendo da una motivata ipotesi di sviluppo della domanda che può principalmente giustificarsi o meno la realizzazione dell’opera".


Lo studio dell'Università Mediterranea prosegue sottolinenado che "... l’arco temporale di riferimento per le previsioni di domanda e offerta, e per conseguenza di tutte le analisi di sostenibilità finanziaria e di convenienza economico-sociale, può essere fissato in 20 anni (vita utile media)". Se questa è effettivamente la base temporale a cui gli enti locali devono riferirsi prima di dare il via libera ad un'opera pubblica, è piuttosto evidente che "... le proiezioni sulle iscrizioni future realizzate fino all'anno scolatico 2012-2013" non sono assolutamente sufficienti a legittimare un nuovo polo scolastico, o se si preferisce una "nuova struttura". Perchè, come abbiamo visto, la realizzazione di un'opera pubblica si giustifica con ipotesi di sviluppo che, nel nostro caso, si dovrebbero prolungare almeno di altri 10-15 anni e non fermarsi al 2013....

Se così non fosse il rischio è di ritrovarci fra 8-10 anni ad inaugurare la terza nuova scuola media, o, al contrario, a chiuderne una delle 2. Un lusso che, come sappiamo, nessun comune può permettersi. Forse nemmeno quello di Passirano.

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Per non dimenticare quanto successo a inizio del 2002, riportiamo un articolo di BresciaOggi del 1° febbraio 2002 (pagina 12)
Gli uffici si spostano nella nuova sede di piazza Europa: un concorso per il vecchio edificio. Passirano, il municipio trasloca. Spesi quasi 2 miliardi e mezzo: inaugurazione fra qualche mese. Anno nuovo, sede nuova.


A Passirano, dopo numerosi rinvii (l'ultimo quello previsto nel periodo natalizio) stavolta il trasloco del Municipio nella nuovissima sede di piazza Europa si fa davvero. In verità i primi movimenti si sono visti nella giornata di mercoledì, anche se i disagi maggiori per i cittadini si stanno verificando in questi giorni. Con i computer staccati e posizionati nella nuova struttura, è fin troppo semplice registrare inconvenienti per i passiranesi. «Ancora pochi giorni e poi tutto ritornerà alla normalità in un ambiente più consono alle esigenze locali» spiega il sindaco Angelo Zinelli.
Nuovi ambienti dunque per il municipio, anche se un po' fa pena vedere un vecchio edificio svuotarsi di vita e di dinamicità. L'obsoleta struttura va così in pensione. A tal proposito ancora non è stato deciso il destino di questo rugoso edificio. Le opzioni sono due: abbattimento o ristrutturazione. Un concorso di idee aperto tra i professionisti tra qualche mese sarà in grado di offrire qualche idea al riguardo.


A Passirano stanno quindi predisponendo la festa che abbraccerà anche l'inaugurazione dei locali delle scuole medie, della biblioteca e della piazza Europa, mai varati ufficialmente.
Ma di tutto ciò se ne riparlerà fra qualche mese. Mentre il nastro attende, il nuovo municipio dislocato su circa 600 mq su tre livelli, con una cubatura di oltre 7 mila metri cubi è una realtà. Al primo livello si trova una sala polifunzionale dove si terranno i consiglio comunale, un garage e l'archivio. L'anagrafe andrà invece al secondo livello, così come l'ufficio della la polizia urbana e dell'assistente sociale, e lavori pubblici. Gli uffici di segreteria e ragioneria, uffici del sindaco e degli assessori e la sala per la Giunta e le commissioni saranno poste al terzo livello. Il tutto è costato ai passiranesi qualcosa come 2 miliardi e 400 milioni.

Sottotetti e "furbetti del quartierino": seconda puntata

Di seguito riportiamo il testo di una lettera inviata al Direttore del Giornale di Brescia, pubblicata mercoledì 28 novembre 2007



Sottotetti: «Furbetti del quartierino» anche in Valcamonica

Ho letto con grande interesse la lettera pubblicata sul Giornale di Brescia di lunedì 19 novembre, con il titolo "Sottotetti e furbetti del quartierino" (vedi nostro post Sottotetti e furbetti del quartierino). La signora Monica denuncia la pratica, ormai consolidata da parte di imprese ed agenzie immobiliari nella zona sud della città, di «vendere i sottotetti non abitabili... in modo da utilizzarli liberamente come abitazione dopo il passaggio del tecnico comunale ed il rilascio dell’abitabilità in barba a regolamenti edilizi, norme urbanistiche e d’igiene».

La lettrice individua «la furbata» dei costruttori nell’edificare sottotetti non conformi allo standard abitativo, ma di venderli come abitabili, rassicurando il compratore «che nessuno si accorgerà mai di nulla, che evaderà l’Ici in quanto il sottotetto verrà accatastato come non abitabile» e che «per quest’ultimo dettaglio, in caso di vendita, sarà ancor più appetibile sul mercato....». Ella chiede che "qualche responsabile del settore dell’edilizia/urbanistica del Comune di Brescia", vista la massiccia diffusione di questa tecnica, "illustri agli acquirenti i rischi che corrono" abitando un sottotetto non abitabile».

La firmataria della missiva mi pare molto buona (volutamente?) perché sarebbe stato lecito anche chiedere che le «Autorità preposte» verifichino se un tale comportamento non implichi anche una serie di reati amministrativamente e/o penalmente perseguibili. Ciò che la lettera denuncia non avviene solo nella periferia sud di Brescia ma anche nell’alta Valcamonica, ove ho la residenza. E forse in modo più massiccio e sfrontato. Infatti in questi nuovi insediamenti, senza un briciolo di verde (che gli abitanti chiamano i «Nuovi castelli della valle») i sottotetti non abitabili (perché dotati di altezze medie di moltissimi centimetri al di sotto di quanto previsto dalle leggi in vigore) sono venduti ed abitati in assoluto dispregio delle leggi e dei Piani regolatori in vigore.

Il danno per i cittadini residenti non è di poco conto. Infatti il Comune non incassa gli oneri di costruzione previsti per la cubatura definita «sottotetto o solaio» ma venduto come abitabile. Non vengono realizzati i posti macchina previsti dagli standard di legge per i sottotetti, venduti come abitabili, per cui l’acquirente parcheggerà le auto di proprietà nei già insufficienti parcheggi comunali. Lo stesso acquirente non pagherà l’Ici. Parimenti non pagherà né lo smaltimento rifiuti né la depurazione delle acque vivendo in abitazione non accatastata come tale. Pagheranno anche la parte di questi incauti (o furbetti?) acquirenti i residenti del Comune in regola con gli standard abitativi. Tutto regolare? Non mi pare proprio.

La signora Monica si rivolge a «qualche responsabile del settore dell’edilizia/urbanistica del Comune di Brescia». Per l’Alta Valcamonica io mi rivolgo ai sindaci che, nei piccoli centri, sono spesso anche i «responsabili» per l’edilizia privata e, quando non lo fossero, hanno il dovere dell’alta vigilanza in materia e (non credo di sbagliare) di «Ufficiali di Polizia giudiziaria nell’esercizio delle loro funzioni». La signora Monica colloca quelli che definisce «i furbetti del quartierino» nella zona a sud della città di Brescia. Qualcuno di loro opera, di sicuro, anche in alta valle. (Lettera firmata)


mercoledì 28 novembre 2007

Il pubblico interesse giustifica la modifica dei provvedimenti urbanistici

Tratto da "L'esperto risponde", allegato al quotidiano "Il Sole-24 Ore" del 18 novembre 2007



Premesso che il quesito posto all'esperto del "Il Sole 24-Ore" è firmato da una cittadina di Passirano, riportiamo di seguito il testo della sua lettera.


"Io e mio cugino siamo proprietari di un terreno di 16.950 metri quadrati complessivi, diventato nel 2005 area edificabile. Siamo in possesso del progetto approvato dal Comune che prevede l'edificabilità di 8.000 mq cubi, di cui 1.600 per edilizia economico-popolare e altre direttive per quanto concerne la realizzazione di verde pubblico, parcheggi, e realizzazione di una rotatoria. Abbiamo provveduto alla rivalutazione del 4%, stiamo pagando regolarmente l'Ici e non abbiamo ancora provveduto alla vendita di tale area. Ad aprile è cambiata l'amministrazione comunale e quest'ultima ci dice di voler ridurre i metri cubi da edificare. Può la nuova giunta comunale cambiare un progetto approvato dall'amministrazione precedente?"


Ecco il testo della risposta del dr. Massimo Sanguini

"La pubblica amministrazione può sempre modificare i propri provvedimenti, non come conseguenza del cambio dell'esecutivo, ma nel perseguimento del pubblico interesse cui è vincolata la propria attività. Per far ciò, ovviamente, l'ente pubblico deve fornire adeguata motivazione, in particolare quando si impone un sacrificio al privato che aveva fatto legittimamente affidamento sulla determinazione dell'amministrazione, specie se concordata. In tal senso, si è pronunciata anche la giurisprudenza amministrativa, secondo cui le previsioni contenute in un piano di lottizzazione approvato dal Comune possone essere disattese da quest'ultimo attraverso provvedimenti di variante al PRG e a condizione che siano prospettate congrue ed esaustive motivazioni di interesse pubblico (Consiglio di Stato, sezione IV, 30.9.2002 n° 4980, e nello stesso senso TAR Abruzzo 5.3.2004, n° 212).

Ciò vale a maggior ragione nel caso di specie, non essendo neppure necessaria una variante al PRG, in quanto risulterebbe approvato solo il progetto di lottizzazione ma non il piano di lottizzazione. Ne consegue che, appunto, l'amministrazione comunale può ben chiedere la modifica del progetto, non perchè è cambiata la Giunta, ma solo perchè possono essere cambiati gli obiettivi che la nuova amministrazione si è prefissata per il perseguimento dell'interesse pubblico".


martedì 27 novembre 2007

Referendum contro la cementificazione

di Anna Salvioni – Articolo pubblicato martedì 27 novembre 2007 sul Giornale di Brescia


Cologne: dopo la raccolta di 1.200 firme la lista Civica chiede una consultazione sul futuro urbanistico.


Prima l’esposizione delle osservazioni, poi la raccolta delle firme e ora la richiesta di un referendum sul futuro urbanistico di Cologne e sulle aree per attrezzature pubbliche. Sono queste le azioni fondamentali messe in atto, negli ultimi tempi, dal gruppo di opposizione “Civica colognese” di fronte alle scelte amministrative di realizzare nuove costruzioni.

“Il 25 settembre scorso – hanno spiegato dal gruppo guidato da Franco Boglioni – sono state consegnate al sindaco le 1.200 firme che abbiamo raccolto tra i cittadini, tutti concordi nella preoccupazione per l’incessante cementificazione cui è stato sottoposto il nostro comune e che sta cambiando la natura della nostra comunità, sia dal punto di vista della fruibilità del territorio, che da quello estetico, oltre all’evidente constatazione che la maggior parte dei servizi comunali risultano ormai palesemente inadeguati alla nuova dimensione raggiunta dal paese”.

A luglio e settembre la lista si è fatta promotrice della petizione “Salvaguarda e migliora il tuo paese”, mirata a raccogliere consensi per sollecitare la Giunta a modificare […] la destinazione di una porzione di area non ancora edificata e rientrante nel piano di recupero ex Edera, a parcheggio e verde, evitando la costruzione di nuove case. […]

“In un primo contatto avuto in consulta urbanistica, abbiamo riscontrato freddezza e derisione nei confronti di chi ha firmato la petizione”, hanno concluso dalla Civica. “Considerata la chiusura della Giunta […], ora chiediamo la convocazione di un referendum popolare per il futuro del paese”.





I Sindaci e il tesoro da 3 miliardi di euro l’anno

Di Gianni Trovati – Articolo de “Il Sole-24 Ore”



Per i Comuni le concessioni edilizie sono un tesoro. Nel 2005, ultimo anno su cui sono disponibili tutti i consuntivi per elaborare conti aggregati, lo scrigno ha riservato ai sindaci 3,2 miliardi di euro, cioè il 41% in più di quanto conteneva 5 anni prima. Ad offrire di più sono i cittadini del Trentino alto Adige, che nel 2005 hanno versato per questa voce più di 100 euro (il doppio della media nazionale), seguiti da toscani ed emiliani, mentre dall’altro capo della classifica friulani e calabresi se la sono cavata con poco più di 20 euro a testa.

Su questo tesoro ad ogni Finanziaria si gioca un braccio di ferro tra Comuni e Governo. Con un rituale preciso lungo il quale dapprima l’Esecutivo evita la proroga che concede agli enti di utilizzarne una quota per finanziare le spese correnti, e poi la concede in varia misura per soddisfare le rchieste pressanti delle Autonomie.

Per quel che riguarda il 2008 ad oggi siamo a metà del balletto. Il Ddl Finanziaria licenziato dal Senato concede la possibilità di destinare alle spese correnti il 25% dei proventi, cioè la metà rispetto all’anno scorso (quando un’altra fetta del 25% poteva essere dedicata alla manutenzione ordinaria del patrimonio immobiliare dell’ente). Di fatto rispetto al 2006 e 2007 (nel 2005 la quota svincolata era del 75%) si tratta di un riposizionamento di oltre 800 milioni di euro, che devono imboccare la strada obbligatoria degli investimenti.

Ma il balletto non è finito, perché a Montecitorio i Comuni tornano alla carica con un emendamento che chiede di replicare il regime previsto l’anno scorso, e di congelarlo fino al 2010. Anche per dare ai bilanci pluriennali un grado di certezza che la continua altalena delle proroghe (non solo su questo tema) ha sempre negato, minando alla radice il significato stesso dello strumento.

Le continue deroghe contrastano con un principio basilare delle contabilità, non solo pubblica, che vieta di finanziare le spese ricorrenti con entrate di carattere straordinario. Un principio, in realtà, che per i proventi da concessione edilizia incontra una fortuna alterna nella stessa normativa, che a questi proventi assegna una collocazione in bilancio più che incerta.

All’origine del problema c’è il Dpr 380/2001 che ha trasformato il via libera comunale alla costruzione da concessione a permesso, e ha sistemato il relativo introito in entrate tributarie del Titoli I. Il Siope, cioè il sistema informatico con cui la Ragioneria generale dello Stato monitora i conti locali, lo ha riportato più coerentemente tra le entrate in conto capitale del Titolo IV (che, quindi, non possono essere utilizate per le spese correnti).

Ma è anche da segnalare che la Commissione Bilancio al Senato sta discutendo una risoluzione per collocare tout court i proventi tra le entrate correnti. A sottolineare la sua importanza nell’equilibrio dei bilanci c’è anche l’attenzione crescente riservata a questa entrata da parte della Corte dei Conti. Che nelle relazioni annuali sui bilanci chiede ai comuni le serie storiche per evitare che qualche ente ritocchi artificiosamente la voce per far quadrare conti riottosi al pareggio, e che nel 2007 (Dlgs 113) è chiamata a vigilare con le procure regionali su tutte le occasioni in cui gli enti concedono a privati lavori a scomputo sotto la soglia comunitaria.



lunedì 26 novembre 2007

Il concetto di eccellenza nel governo di un Comune

di Oriano Giovanelli, Presidente di Legautonomie


- Prima breve premessa. Parlare del concetto di eccellenza significa entrare in un campo di valutazione in cui l’elemento soggettivo è ancora molto grande rispetto a parametri di valutazione oggettiva; questo rappresenta già un primo problema perché sarebbe di contro importante far crescere un sistema di valutazione riferito a parametri condivisi, confrontabili e verificabili; penso alla produzione di ricchezza, alla coesione sociale, alla qualità ambientale, ai tempi di risposta, all’economicità delle gestioni e così via. Però ancora non è così ed è a mio avviso un segno di arretratezza, né possono supplire a questa mancanza le rilevazioni pur interessanti che annualmente vengono fatte di diverse testate giornalistiche. Quindi le considerazioni che farò saranno assolutamente soggettive.

- Seconda breve premessa. Quando parliamo di eccellenza ci riferiamo ad un’idea di performance amministrativa dove c’è anche il peso di una forte componente di azione politica, il confine fra politica e amministrazione è del resto così labile e mutevole che bisogna mentalmente assumere un atteggiamento dinamico, non due linee parallele ma due linee sinuose che si intersecano e si allontanano, in questa sede comunque non diamo un giudizio politico in senso stretto. Può esserci un Sindaco politicamente eccellente perché amato dai suoi concittadini e poi un risultato amministrativo mediocre. La politica a volte segue percorsi che sfuggono alla razionalità; quindi non parliamo di questo.

- Il concetto di eccellenza nel governo di un Comune ha subito negli ultimi anni una forte evoluzione, direi un cambio radicale. Fino ai primi anni ’90 si potevano ascrivere sotto la dicitura “eccellenti” quei comuni che, pur nelle diversità di dimensione e collocazione geografica, si impegnavano su temi ricorrenti. Erano quelli che attrezzavano il loro comune con servizi estesi e di qualità nel campo dell’educazione all’infanzia, nel campo del sociale, case di riposo per gli anziani, centri diurni per i portatori di handicap ecc. e sapevano spingersi anche oltre le strette competenze previste dalla legge per affrontare nuove domande poste dalla società, dalle famiglie, dalle persone.

Erano i Comuni che si dotavano di buoni piani regolatori per il governo della forte spinta alla crescita urbana, che lavoravano per evitare che i nuovi quartieri nascessero privi dei principali servizi e di luoghi di aggregazione. Erano comuni attenti al ruolo della cultura nella città. Erano i comuni che attrezzavano in modo efficace aree industriali e artigianali per andare incontro alla domanda delle imprese o per attrarre imprese nel loro territorio. Erano i comuni delle municipalizzate per la gestione del servizio gas, nettezza urbana, trasporto pubblico, servizio idrico, farmacie.
Erano comuni animati dalla volontà di fare, che riuscivano a motivare le strutture tecniche, per lo più selezionate per via politica, e a dare risposte in tempi decorosi. Erano i comuni che puntavano alla coesione sociale anche attraverso forme di coinvolgimento dei cittadini, di partecipazione, di informazione.

Ecco, questi mi sembrano i parametri che hanno segnato la crescita del ruolo dei comuni e ci hanno consegnato un patrimonio di grande valore. Un patrimonio cresciuto e caratterizzatosi grazie ad una qualità della spesa delle risorse messe a disposizione dallo Stato centrale e ad una azione che si dipanava prevalentemente all’interno dei confini amministrativi del comune.

- Oggi le condizioni interne agli enti e soprattutto nella società sono cambiate in modo così forte che anche quelle amministrazioni comunali che hanno nel passato raggiunto risultati positivi, se non interpretano adeguatamente le novità rischiano di scivolare verso una pur gloriosa autoconservazione e pian piano arretrare.
Provo a citare alcune di queste novità. Innanzitutto il fatto che oggi un comune mediamente deve contare sul 70% di risorse proprie e quindi non da trasferimenti statali o regionali. Questo significa che una amministrazione non si qualifica più solo per la qualità della spesa ma anche per la qualità del prelievo tributario e fiscale. E’ chiamata a porsi il problema dell’equità, è chiamata a fare i conti con la razionalità del prelievo rispetto al quale i cittadini misurano le prestazioni e i servizi, è chiamato a porsi il problema dell’evasione. E’ chiamato a porsi il problema della qualità della pianificazione delle risorse a fronte degli obiettivi.

E’ chiamato a prestare molto di più attenzione alla rendicontazione, a dare cioè ai cittadini gli strumenti di valutazione per renderli compartecipi dei risultati e delle difficoltà. Un esempio è l’avanzo di amministrazione. Se in passato produrre avanzo sulla spesa corrente a fronte dei trasferimenti dello Stato poteva voler dire presentarsi ai cittadini con la buona novella di avere disponibilità di risorse “fresche,certe e immediate” da riconvertire in investimenti, oggi presentarsi a cittadini con un avanzo vuol dire prestarsi alla critica di aver prelevato più del necessario e del non essere stati capaci di spendere per gli obiettivi per i quali quelle risorse erano state chieste ai cittadini stessi. Un comune che produce avanzo di amministrazione non è più eccellente.

Un altro esempio si può fare sui servizi educativi o sociali. Difendere i servizi esistenti è certamente una operazione importante, ma se questi servizi esistenti non soddisfano più la quantità della domanda o la qualità della stessa a fronte della presenza di bambini immigrati da inserire negli asili nido o nelle scuole materne, o non riesce a sostenere l’assistenza domiciliare o i servizi per i non auto sufficienti, si apre un problema, si crea un giudizio negativo. E non basta al cittadino che il comune si trinceri dietro alla scarsità delle risorse se a rimaner fuori dai servizi sono proprio quelli che ne avrebbero più bisogno.

Quello che il cittadino si aspetta è la capacità di rivedere i servizi, di industriarsi cercando forme di gestione nuove, comunque che si arrivi a dare una risposta o si dimostri un dinamismo nel cercarla. Allora se in passato il sistema pubblico dei servizi era un indiscutibile fattore di eccellenza, oggi conta molto meno se quel sistema dei servizi è tutto pubblico, se coinvolge il terzo settore, o vede l’intervento del privato “accreditato”. E’ il risultato rispetto ad una domanda nuova, il rapporto fra tariffe-certezza-qualità del servizio che qualifica l’eccellenza anche in questo settore più della capacità di conservare l’esistente.

Anche per quanto concerne il governo del territorio siamo di fronte a novità consistenti. Fare un buon piano regolatore continua ad essere una azione virtuosa, ma quando i problemi infrastrutturali, ambientali, delle aree produttive, della collocazione dei grandi servizi commerciali, vengono concretamente messi sul tappeto e vissuti criticamente e con sofferenza dai cittadini ci si accorge che quello strumento è inadeguato, perché i problemi scavalcano i confini amministrativi e alle persone e alle imprese interessa la loro soluzione e non il confine di competenza del Sindaco e del Consiglio Comunale. Allora l’eccellenza in questo caso sta nella capacità di farsi protagonisti di un governo territoriale di area vasta che fronteggi le novità e non condanni i cittadini a subire gli effetti di una crescita urbana che deborda dai confini comunali, pur in presenza di un ottimo piano di governo del territorio.

Per non dire dei servizi a rete. Dove sta l’eccellenza se i servizi gestiti anche in modo scrupoloso dalle ex municipalizzate non reggono alla prova dell’economicità, danno luogo a incrementi tariffari forti, si dimostrano inadeguati rispetto alla capacità di produrre almeno gli utili necessari a garantire gli investimenti necessari all’ estensione delle reti o una adeguata manutenzione di quelle esistenti; ed è più eccellente un comune che si impegna per stare dentro alle dinamiche di quello che inevitabilmente diventa sempre più un mercato aperto o quello che difende caparbiamente la propria dimensione municipale?

Ma anche tutte queste considerazioni non esauriscono il tema della sfida che un comune deve affrontare per essere eccellente. Ciò che viene chiesto oggi ad un comune va ben al di là del fare anche in modo diverso le cose che ha sempre fatto. Il terreno di giuoco è completamente nuovo.

Due esempi le politiche per lo sviluppo e l’innovazione tecnologica. Che il nostro paese ha problemi a crescere economicamente e a competere nel nuovo scenario globale è, purtroppo, noto a tutti. Che per uscire da questa situazione assieme alle politiche comunitarie e a quelle statali siano sempre più rilevanti le politiche locali è noto almeno agli addetti a lavori. Quello che è meno noto è come si fa a far svolgere ad un comune un ruolo attivo per lo sviluppo di un territorio, quando non basta più evidentemente assecondare la domanda di aree artigianali e industriali, o creare un contesto socio culturale favorevole all’impresa.

I comuni eccellenti questo in passato lo hanno fatto per lo più con intelligenza sia laddove c’era la grande industria, sia laddove sono nati i “distretti”, lavorando prevalentemente all’interno del loro territorio, con un rapporto diretto con gli imprenditori e facendo leva pressoché esclusivamente sulla propria macchina amministrativa, in considerazione del fatto che ciò che a loro veniva chiesto era nella loro disponibilità.

Nella crisi attuale ripetere quel metodo di lavoro significa andare verso la sconfitta certa. Detto che approfondire questo tema sarebbe troppo lungo in questa sede, il fatto è che al comune per agire positivamente sullo sviluppo di un territorio vengono chieste più cose, diverse da quelle del passato e che non sono nella sua cassetta degli attrezzi ma deve andare a cercarsele mettendosi in rete con il territorio e con realtà che pur non facendo parte del territorio possono essere funzionali allo sviluppo del territorio stesso.

Se vuole che le sue decisioni siano efficaci, producano risultati deve condividere prima l’analisi, gli obiettivi e le azioni per perseguirli con gli attori fondamentali che animano il territorio, che si tratti di altre istituzioni, di università, camere di commercio, soggetti privati, mondo associativo.
Allora l’eccellenza non si misura più sulla qualità delle decisioni proprie del comune ma da come riesce ad orientare, a far decidere un’intera comunità a seguire una certa strada piuttosto che un'altra, a valorizzare tutte le risorse effettivamente disponibili che spesso sono molte di più di quelle che siamo portati a credere.

Se lo sviluppo dipende non più da una netta divisione dei ruoli fra azione amministrativa e azione imprenditoriale, l’eccellenza sta nel saper produrre integrazione, mettere in rete le risorse, andare tutti insieme allo scopo pur seguendo ognuno le proprie funzioni e perseguendo i propri interessi. Questa non è solo un’azione di coordinamento politico, è un’azione professionale che cambia il carattere della struttura amministrativa dell’ente e le professionalità che la compongono.

Il discorso sull’eccellenza si fa ancora più intrigante se parliamo di innovazione tecnologica, cioè di quella potenzialità senza pari che in tempo reale ci introduce in ogni piega della dimensione locale e ci proietta in un mondo che improvvisamente sta dentro ad uno schermo. Ricordo ancora quando nei primi anni ’80 i comuni eccellenti meccanizzarono l’anagrafe e così tagliarono nettamente i tempi di risposta per quel tipo di servizi. Sembra preistoria.

Che fa un comune eccellente oggi di fronte alle nuove tecnologie? Fa un sito, un portale, favorisce l’accesso ai documenti dell’amministrazione, mette in rete la possibilità di accedere ad alcuni servizi (sono ancora pochissimi quelli che lo fanno davvero), apre forum on line di discussione con i cittadini sulle questioni della città, magari implementa con le potenzialità delle tecnologie un percorso di bilancio partecipato, mette in rete il piano di governo del territorio, fa lo sportello unico per le attività produttive, cambia il modo di lavorare e di integrarsi dei propri uffici, si mette in rete con gli altri uffici della pubblica amministrazione.

Se facesse tutto questo in tanti farebbero oohh!!!! E non solo i bambini. Eppure, come è ben comprensibile, saremmo ancora lontanissimi dall’eccellenza. Un comune non può disinteressarsi per le cose dette prima dell’arretratezza tecnologica delle imprese e di norma il comune sa che le imprese da sole non c’è la fanno soprattutto quando sono di dimensioni piccole e piccolissime. Il comune non può disinteressarsi della promozione nelle reti lunghe della globalizzazione delle virtù e delle opportunità che il suo territorio offre ed è ad esempio un bel problema se le sue strutture alberghiere del territorio non sono al passo con i tempi in tema di nuove tecnologie.

Il comune non può non occuparsi di fare dei propri cittadini una comunità tecnologica, che non è una forma di abbrutimento, ma la rimozione di una delle più pericolose barriere alla piena esigibilità di diritti e opportunità. Il comune non può non sapere che se vuole una città giovane deve portarsi al livello dei giovani nella capacità di percepire e agire le potenzialità delle nuove tecnologie, negli Stati Uniti e credo non solo è un percorso che comincia alla scuola materna. Le nuove tecnologie allontanano davvero come mai prima la frontiera dell’eccellenza, una bella sfida davvero che vale la pena raccogliere.

Ecco, sulla base di queste considerazioni e tante altre potrebbero essere svolte, ho cercato di mettere a fuoco come cambia il concetto di eccellenza e chi si ostina a fare le stesse cose sempre nello stesso modo anche se ha un passato glorioso alle spalle rimarrà indietro, per questo sono convinto che il futuro è di chi cambia.