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domenica 30 settembre 2007

Adesione alla Carta di Aalborg da parte del Comune di Passirano

Di seguito il testo della delibera di Giunta del Comune di Passirano per l'adesione alla Carta di Aalborg. Al termine, una nostra brevissima riflessione.


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Delibera di Giunta n° 14 del 16.2.2005 - Adesione alla carta di Aalborg e approvazione del Protocollo di intesa fra i Comuni di Castegnato, Cazzago San Martino, Gussago, Paderno Franciacorta e Passirano per l’attivazione del progetto di Agenda 21 “Franciacorta Sostenibile”.

La Giunta Comunale di Passirano,


premesso:
- che nel giugno del 1992 a Rio de Janeiro è stato sottoscritto un documento denominato “Agenda 21” con il quale sono stati fissati intenti ed obiettivi programmatici su Ambiente e Sviluppo al fine di progettare e realizzare lo sviluppo sostenibile del 21° secolo;


- che “Agenda 21” ha due livelli di applicazione:
1. quello globale, in cui il decisore politico cerca di risolvere i “grandi” problemi portandoli poi a conoscenza del cittadino;
2. quello locale, in cui l’amministrazione lavora con il cittadino per lo sviluppo sostenibile della propria realtà locale;


- che nel febbraio 1993 la Risoluzione del Consiglio CEE, ha sancito l’impegno a favore dell'ambiente e dello sviluppo sostenibile, definendo un programma di azioni basato sull'integrazione delle politiche ambientali nelle politiche settoriali e sulla condivisione degli obiettivi, favorendo l'adozione, a livello locale, dei principi dell'Agenda 21;

- che il 28 dicembre 1993 il CIPE ha approvato il “Piano di attuazione dell'Agenda 21” quale documento programmatico per le scelte di governo;

- che il 27 maggio 1994 ad Aalborg è stata approvata la Carta delle città europee per uno sviluppo durevole e sostenibile o Carta di Aalborg, con cui le Amministrazioni locali, città e regioni europee, si sono impegnate ad attuare l'Agenda 21 a livello locale e ad elaborare piani d'azione a lungo termine;

richiamati:
- la Conferenza di Lisbona del 1996 quale aggiornamento della carta di Aalborg in senso più applicativo, che promuove strumenti operativi (indicatori, gestione ambientale, VIA, EMAS, ecc.) e socio-politici quali partecipazione, consenso, cooperazione;

- l’art. 6 del trattato di Amsterdam che ha stabilito, il principio costituzionale dell'integrazione delle esigenze connesse con la tutela dell'ambiente nella definizione e nella attuazione delle politiche e azioni comunitarie;

- la Comunicazione C.E. del 10-11-1998 n. 605, che ha istituito un quadro di riferimento per l'azione in materia di sviluppo urbano sostenibile, riconoscendo l'esistenza di una dimensione locale ed in particolare urbana dello sviluppo sostenibile;

- il Nuovo Piano Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile, inserito nell'Accordo di Programma tra Ministero dell'Ambiente ed Enea, che fa seguito all'ormai vecchio Piano Nazionale italiano approvato dal CIPE nel 1993;


- considerato che il Comune di Passirano ritiene opportuno avviare e sviluppare un processo unitario di Agenda 21 Locale in maniera congiunta ai comuni di Cazzago San Martino, Paderno Franciacorta, Gussago e Castegnato, in quanto le azioni per la sostenibilità possono risultare più efficienti ed efficaci ove condotte su una scala territoriale più ampia del singolo Comune;

visti:
- la Carta delle Città Europee per uno sviluppo durevole e sostenibile (Carta di Aalborg), allegato alla presente sotto la lettera A;

- lo “Schema di Protocollo di Intesa” fra i Comuni di Cazzago San Martino, Passirano, Paderno Franciacorta, Gussago e Castegnato per l’attuazione del progetto “Franciacorta Sostenibile”, allegato alla presente sotto la lettera B;

visti i pareri favorevoli sotto il profilo della regolarità tecnica e contabile espressi dai responsabili del servizio ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 49 del Decreto Lgs.vo 18.08.2000 n. 267;


tutto ciò premesso, all’unanimità dei voti espressi in forma palese,


delibera

1)di aderire e sottoscrivere la Carta delle Città Europee per uno sviluppo durevole e sostenibile (Carta di Aalborg),
allegato n. 1 che fa parte integrante e sostanziale della presente delibera;

2)di approvare, per le finalità di cui al punto 1, il Protocollo di intesa fra i Comuni di Castegnato, Cazzago San Martino, Gussago, Paderno Franciacorta e Passirano per l’attivazione del progetto di Agenda 21 “Franciacorta Sostenibile”, allegato n. 2 che fa parte integrante e sostanziale della presente delibera;

3)di dare atto che la proposta della presente deliberazione è stata presentata corredata dai prescritti pareri favorevoli che si allegano all’originale;

4)di dare alla presente, con separata ed unanime votazione l’immediata eseguibilità ai sensi dell’art. 134, comma 4, del D.Lgs n. 267/2000.

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Una domanda: al di là delle belle parole e delle buone intenzioni, come sono stati coinvolti, fino ad oggi, e quale contributo hanno potuto offrire i cittadini di Passirano in tema di sviluppo sostenibile del loro territorio?



venerdì 28 settembre 2007

La nostra proposta per la Valutazione Ambientale Strategica

Di seguito riportiamo il testo della proposta riguardante la procedura di Valutazione Ambientale Strategica che il comitato di Monterotondo ha fatto pervenire all'Amministrazione comunale di Passirano venerdì 21 settembre scorso.




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Con riferimento all’avviso dell’Area Tecnica del Comune di Passirano del 22.8.2007, concernente il procedimento di Valutazione Ambientale ai sensi dell’art. 4 della Legge Regionale 11/3/2005 n° 12 - previsto nell’ambito della fase di elaborazione ed approvazione dei Piani e Programmi di cui alla direttiva 2001/42 CEE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27/6/2001 - il comitato di Monterotondo propone all’attenzione dei Consiglieri Comunali di Passirano il seguente documento.


1 - Premessa
La Direttiva del Parlamento Europeo 42/2001 definisce la Valutazione Ambientale Strategica (VAS) come “un processo inteso a valutare le conseguenze sul piano ambientale delle azioni proposte - da piani o programmi – per garantire che tali conseguenze siano incluse a tutti gli effetti, affrontate in modo adeguato fin dalle prime fasi del processo decisionale e poste sullo stesso piano delle considerazioni di ordine economico e sociale”.

L’obiettivo generale della Direttiva del Parlamento Europeo è quello di “… garantire un elevato livello di protezione dell’ambiente e di contribuire all’integrazione di considerazioni ambientali all’atto dell’elaborazione di piani e programmi che possono avere significativi effetti sull’ambiente, al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile”.


2 - Lo sviluppo sostenibile e la Carta di Aalborg
E’ importante ricordare che a proposito di protezione dell’ambiente e di promozione dello sviluppo sostenibile, iI 16.2.2005 (delibera n° 14/2005) la Giunta del Comune di Passirano deliberava “… di aderire e sottoscrivere la Carta delle Città Europee per uno sviluppo durevole e sostenibile (Carta di Aalborg)”.

La “Carta di Aalborg” delle Città Europee – sottoscritta anche dalla Giunta di Passirano - afferma che “…gli attuali livelli di sfruttamento delle risorse dei paesi industrializzati non possono essere raggiunti dall'intera popolazione esistente e tanto meno dalle generazioni future senza distruggere il “capitale naturale.” Inoltre, le città aderenti alla Carta di Aalborg “… sono convinte dell'impossibilità di arrivare ad un modello di vita sostenibile in assenza di collettività locali che si ispirino ai principi della sostenibilità. L'amministrazione locale - nel nostro caso, il Comune di Passirano - si colloca ad un livello prossimo a quello in cui vengono percepiti i problemi ambientali e il più vicino ai cittadini, e condivide …la responsabilità del benessere dei cittadini e della conservazione della natura”.

Sempre in ottica di promozione dello sviluppo sostenibile, il 16.2.2005 (delibera n° 15/2005) , la Giunta di Passirano deliberava inoltre “… di approvare il progetto “Agenda 21 Locale” denominato” Franciacorta Sostenibile”, predisposto dal Comune di Passirano quale ente Capofila dei Comuni di Castegnato, Cazzago San Martino, Gussago e Paderno Franciacorta”.

Ci auguriamo che l’adesione alla “Carta di Aalborg”, e l’approvazione del progetto “Agenda 21” da parte del Comune di Passirano (febbraio 2005), si traducano ora in atti concreti, verificabili e condivisi che promuovano efficacemente lo sviluppo sostenibile, ovvero “lo sviluppo che coniughi ambiente-società-economia”. Crediamo che il concetto di sostenibilità debba essere il principio ispiratore della VAS, poiché è ormai assodato che il progressivo deterioramento della qualità dell’ambiente è diretta conseguenza di una “crescita” economica troppo spesso incontrollata.

Sappiamo che i danni procurati all’ambiente da una crescita economica fine a se stessa – e qui non si può non sottolineare l’aspetto paradossale di questa situazione – sono frequentemente rilevanti proprio sotto il profilo economico. Perché è noto che il ripristino di un ambiente degradato (quando sia ancora possibile) può comportare costi elevatissimi per l’intera comunità. Un esempio a noi molto vicino ci viene dall’interminabile, intricata e costosissima vicenda della discarica Vallosa, esempio emblematico di come la “crescita economica” a beneficio di pochi sia diventata un annoso problema per migliaia di persone. Ecco perchè cercare forme controllate di sviluppo, capaci di salvaguardare l’ambiente e di preservare le risorse naturali non rinnovabili, beni che non possiamo non trasferire alle generazioni future.

A questo proposito invitiamo i Consiglieri Comunali di Passirano a voler considerare che la crescita economica non significa – sic et simpliciter – realizzare nuove espansioni urbanistiche, come è avvenuto con l’ultimo Piano Regolatore Generale di Passirano. Lo sviluppo economico non si raggiunge neppure con l’edificazione continua, diffusa e dispersa sul territorio perché il consumo di territorio a “macchia di leopardo” è il metodo peggiore da seguire se si vogliono contenere i costi a carico della comunità, e la razionalizzazione della gestione dei servizi.

Da queste considerazioni nasce anche un concetto di ambiente inteso come “capitale naturale” che, in quanto tale, può essere utilizzato – solo in maniera estremamente oculata - per la produzione attuale, ma che deve essere prioritariamente conservato per consentirne l’impiego futuro. Il grande contributo che reca l’idea di sostenibilità – elemento fondante della VAS - è dato quindi dal diverso approccio alla questione ambientale, che si può riassumere con lo slogan “… l’ambiente è rilevante quanto e più degli altri componenti del sistema economico”. E’ un assunto tanto più importante per Passirano, comune geograficamente dislocato all’interno di una zona – la Franciacorta – che sollecita fortemente e continuamente gli “appetiti” della speculazione edilizia.


3 - La partecipazione dei cittadini per “costruire” il futuro dell’ambiente
L’articolo 15 della Direttiva del Parlamento Europeo prevede che “… allo scopo di contribuire ad una maggiore trasparenza dell'iter decisionale nonché allo scopo di garantire la completezza e l'affidabilità delle informazioni su cui poggia la valutazione ambientale, occorre stabilire che le autorità responsabili per l'ambiente ed il pubblico siano consultate durante la valutazione dei piani e dei programmi e che vengano fissate scadenze adeguate per consentire un lasso di tempo sufficiente per le consultazioni, compresa la formulazione di pareri”.

Nel verbale della delibera di Giunta del Comune di Passirano n° 14 del 16.2.2005 si legge: “ … la Conferenza di Lisbona del 1996 - quale aggiornamento della carta di Aalborg in senso più applicativo - promuove strumenti operativi - indicatori, gestione ambientale, VIA, EMAS, ecc, - e socio-politici quali partecipazione, consenso, cooperazione”. La stessa delibera di Giunta ricorda che “… Agenda 21 ha due livelli di applicazione, quello globale, in cui il decisore politico cerca di risolvere i “grandi” problemi portandoli poi a conoscenza del cittadino; quello locale, in cui l’amministrazione lavora con il cittadino per lo sviluppo sostenibile della propria realtà locale”.

Il capitolo 28 di “Agenda 21” prevede che “… le autorità locali devono avviare un processo di consultazione per raggiungere un consenso sull’Agenda 21 Locale. Ogni autorità locale deve dialogare con i propri cittadini e le organizzazioni locali, e adottare un’Agenda 21 Locale. Questa consultazione permetterà alle autorità di acquisire informazioni preziose per formulare le migliori strategie. Il processo di consultazione renderà inoltre più chiaro ai cittadini il concetto di sviluppo sostenibile. I programmi, le politiche e i provvedimenti amministrativi, previsti dalle autorità locali per il raggiungimento degli obiettivi dell’Agenda 21, dovranno essere valutati e adattati nel tempo, tenendo conto anche delle esigenze locali…”.

Coerentemente con quanto previsto e dichiarato nelle delibere di Giunta del Comune di Passirano del febbraio 2005, sollecitiamo l’Amministrazione comunale a voler considerare la partecipazione dei cittadini (informata, diffusa e continua) come elemento importante della procedura di Valutazione Ambientale Strategica. Contrariamente a quanto avvenuto con la predisposizione del Piano Paesistico comunale, ci auguriamo che vengano adottate le iniziative più opportune per ricercare un’ampia condivisione su piani e programmi che incidono direttamente sull’ambiente in cui vivono ed operano circa 6.500 persone.




4 - La Valutazione Ambientale Strategica
Obiettivo della VAS è quello di garantire che la soluzione adottata sia la migliore, e comunque quella suscettibile di recare il danno minore al patrimonio ambientale delle comunità. Siamo del parere che nel caso in cui non sia possibile prevedere con la dovuta affidabilità le conseguenze sull’ambiente derivanti dall’applicazione di un piano di trasformazione del territorio, l’alternativa ad una scelta sbagliata deve essere la “non-scelta”, “l’opzione zero”, il mantenimento dello “status quo”.

In ogni caso, ci auguriamo che le scelte strategiche che verranno proposte da questa Amministrazione comunale si attengano strettamente ad un principio che a noi pare irrinunciabile: la pianificazione territoriale ed urbanistica deve necessariamente garantire la coerenza tra le caratteristiche e lo stato del territorio da una parte, e le destinazioni e gli interventi di trasformazione previsti dall'altra. Vi invitiamo a considerare che la pianificazione territoriale non è solo lo strumento di regolazione dell’espansione urbanistica, ma è anche, e soprattutto, elemento che concorre, attraverso le azioni del proprio campo di competenza, alla salvaguardia del valore naturale, ambientale e paesaggistico ed al miglioramento dello stato dell’ambiente e del territorio.

Le scelte di piano, quindi, tengano presenti i criteri di sostenibilità sia ambientale che territoriale per assicurare, l’ordinato sviluppo del territorio, la qualità della vita della popolazione, la riduzione della pressione degli insediamenti sui sistemi naturali ed ambientali (anche attraverso opportuni interventi di mitigazione e di compensazione degli impatti), il miglioramento della qualità architettonica e sociale del territorio urbano, e la sua riqualificazione.

Invitiamo gli Amministratori di Passirano a progettare il futuro assetto del territorio, non facendosi “inibire” dalla forza che esprime il mondo dell’edilizia e della rendita. Li invitiamo a voler considerare che il possesso di un suolo non implica automaticamente la possibilità di una sua trasformazione solo ed esclusivamente in senso cementizio. Li invitiamo ad operare, quindi, in modo che questa possibilità vada sempre ed attentamente condizionata dalla tutela degli interessi generali di un’intera comunità.

Le scelte di piano perseguano per i sistemi territoriali ed ambientali il miglioramento delle situazioni di criticità pregresse, ed escludano in modo coerente con la necessità di operare, in ottica di sviluppo sostenibile, la formazione di “nuove criticità”.

Premesso che, come già detto, la VAS è “ … un processo inteso a valutare le conseguenze sul piano ambientale delle azioni proposte - da piani o programmi – per garantire che tali conseguenze siano incluse a tutti gli effetti”, riteniamo indispensabile che l’intero processo della VAS sia affidato ad un tecnico estensore diverso da quello a cui è stato affidato l’incarico per il Piano di Governo del Territorio (PGT). Infatti, reputiamo non coerente con i principi della VAS che il tecnico che deve valutare gli effetti del Piano di Governo del Territorio sull’ambiente sia lo stesso che deve produrne la relativa proposta. Perché il rischio, che nessuno può escludere a priori, è che sia la Valutazione Ambientale Strategica a doversi adeguare alle previsioni di sviluppo previste dal PGT, e non viceversa!




5 - Un territorio “fragile”
Terminate le considerazioni di carattere generale, intendiamo occuparci più nello specifico della situazione di Monterotondo. Monterotondo è facilmente individuabile da chiunque come ambito di elevata qualità estetico-percettiva soprattutto per le sue distintive peculiarità morfologiche: colline e cordoni morenici, terrazzamenti di origine fluvioglaciale, piane intermoreniche, valle del paleoalveo del torrente Longherone. Oltre a questo, il territorio si caratterizza per la presenza di aree boscate (dislocate soprattutto sulle sommità delle colline), per le estese colture vitivinicole, per alcune zone umide. Tutti elementi che connotano fortemente il territorio e che ne elevano la sensibilità paesistica. A questo proposito, anche lo stesso Piano Paesistico Regionale ha avuto modo di evidenziare la diffusa esistenza sul territorio di aree di pregio e di zone particolarmente sensibili dal punto di vista paesistico. Ricordiamo che lo stesso Piano Paesistico della Regione ha individuato a Monterotondo anche la presenza di elementi qualificanti dal punto di vista architettonico, come le ville nobiliari Palazzo ex Verdelli, e Palazzo ex Ziliani (si veda in proposito il punto 3.12 del documento “Descrizione degli ambiti geografici” del Piano Paesistico citato).

Monterotondo storicamente non ha mai conosciuto forti pressioni demografiche di tipo endogeno: basti dire che nel 1915 la popolazione residente era di 590 persone, e 80 anni dopo, cioè nel 1995, i residenti erano 866. Per la sua posizione geografica Monterotondo è (relativamente) distante dalle grandi direttrici di traffico (ferrovie, autostrade o strade statali). La sua rete viaria è composta da strade di interesse locale, anche se percorse da un rilevante traffico di attraversamento. Monterotondo in passato non ha mai conosciuto lo sviluppo di insediamenti produttivo-commerciali; le attività imprenditoriali presenti sul territorio sono rappresentate da un numero limitatissimo di micro-imprese, tutte a carattere familiare.

Monterotondo, da sempre, è un territorio a forte vocazione agricola che, per le ragioni già citate e vista la contestuale assenza di servizi e di infrastrutture, è certamente da considerare “area a bassa potenzialità economica”.

Monterotondo è, secondo noi, un territorio “fragile”, con una scarsa capacità di resistere al cambiamento e una bassa idoneità ad essere trasformato. Per questo siamo convinti che il suo “capitale naturale” non si possa prestare ad utilizzi per scopi diversi da quelli che storicamente lo hanno caratterizzato, se non rischiando di comprometterne definitivamente la futura fruibilità.




6 – Monterotondo, quale futuro?
Come dovrebbe essere, allora, il Monterotondo di domani?
La preoccupazione maggiore di chi vi risiede è quella di dover consegnare alle generazioni future un ambiente pesantemente trasformato, un paesaggio irriconoscibile, un territorio senza memoria storica. Per evitare che questi rischi possano avverarsi, proponiamo all’Ammnistrazione comunale di Passirano di porre un limite stringente e rigoroso al consumo di suolo libero, in quanto bene assolutamente non riproducibile. Inoltre, invitiamo a voler considerare, quale elemento caratterizzante dei piani, le possibilità derivanti dalla sostituzione, riorganizzazione e riqualificazione dei tessuti insediativi già esistenti.

Come già detto, l’assenza di pressioni demografiche, la forte vocazione agricola, il rilevante valore ambientale-paesistico sono per noi elementi che non sembrano giustificare ulteriori trasformazioni del territorio di Monterotondo. In altri termini, la nostra analisi esclude che possano determinarsi concreti e positivi effetti sulla “crescita economico-sociale” di Monterotondo derivanti da trasformazioni del suo territorio, ma, al contrario, si potrebbe correre il rischio di disperdere un’identità collettiva, ancora viva e presente in chi vi risiede.

Ribadiamo di non poter condividere uno “sviluppo economico-sociale” come quello previsto dal vecchio Piano Regolatore Generale di Passirano. Secondo noi, quel PRG non ha contribuito allo sviluppo economico-sociale di Passirano, ma soprattutto ha favorito la rendita e coloro che hanno operato nel settore immobiliare. La stragrande maggioranza dei cittadini di Passirano, invece, ha “portato a casa” solo e soltanto un progressivo peggioramento della qualità di vita.

Ecco perché le buone intenzioni di questa Amministrazione – ufficialmente dichiarate con l’adesione alla Carta di Aalborg per le “Città sostenibili” – devono ora necessariamente tradursi in misure concrete e rigorose di sostenibilità ambientale, che i cittadini si aspettano di vedere applicate proprio a partire dalla Valutazione Ambientale Strategica.

Detto questo, la rilevanza ambientale-paesistica e gli elementi storico-culturali che caratterizzano Monterotondo fanno pensare che il suo “capitale naturale” possa essere sfruttato – oltre che dall’agricoltura, ora in particolare dalla viticoltura – solo ed esclusivamente a fini “ricreativi”. A questo proposito, e a solo titolo esemplificativo, proponiamo di valutare la fattibilità di nuove piste ciclabili “nel verde”, di valorizzare quei percorsi pedonali che garantiscono la fruizione di visuali paesaggistiche e di punti panoramici, di ampliare e valorizzare il “percorso vita” esistente, di rinaturare le aree degradate attraverso procedure di “compensazione” derivanti dalla trasformazione dei suoli.

Infine, invitiamo i Consiglieri Comunali di Passirano a voler considerare il mantenimento dell’assetto urbano attuale di Monterotondo, tutelando e valorizzando le aree agricole intercluse che un pericoloso concetto urbanistico cataloga come zone da eliminare e cancellare, “cementandole” il prima possibile. Non dimentichiamo, però, che tutte le aree agricole intercluse, prima dell’edificazione delle zone a loro vicine, non erano certamente tali. Per capirci, in natura non esistono aree agricole intercluse.


Come abbiamo detto, i limiti all’idoneità del nostro territorio ad essere trasformato sono, secondo noi, piuttosto evidenti e facilmente riscontrabili. Per questo crediamo che ogni tipo di trasformazione delle aree debba essere attentamente valutata, e quasi sempre sottoposta a forti condizionamenti in considerazione della scarsa capacità di carico dell’ambiente naturale, delle caratteristiche morfologiche e geologiche dei terreni, della necessità di tutela dei valori culturali, naturalistici e paesaggistici del territorio.




lunedì 17 settembre 2007

Rappresentanza politica o espressione di volontà individuali?

Di seguito riportiamo uno stralcio di un contributo in tema di "Rappresentanza politica e partecipazione", di Teodoro Katte Klitsche De La Grange.




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La comprensione del concetto di rappresentanza politica non può prescindere dall’analisi di una teoria che identifica le istituzioni rappresentative “nell’essere lo specchio, la carta geografica della società”, e quindi “organismi indispensabili per dar voce a diversi interessi ed opinioni”. In altri termini, "... la funzione essenziale della rappresentanza va individuata nel dare capacità di azione politica, e quindi di esistenza ad una comunità organizzata".

Potrebbe sembrare strano a chi pensa che rappresentare consista nel dare “una voce”, nel far “partecipare”, ma è proprio questo che può ricavarsi dalla teoria politica e costituzionale positiva del XVII secolo in poi. Un solo esempio per argomentare tale tesi. Hobbes, nel noto passo del Leviatano (cap. XVI), intuisce tale funzione della rappresentanza giudicando che “una moltitudine di uomini diventa una persona, quando è rappresentata da un uomo o una persona” (come ovvio, quando il rappresentante non sia un solo uomo, ma un collegio, questo è costituito in modo da raggiungere l’unità attraverso regole di decisione).

Hobbes, quindi, identifica la funzione caratteristica della rappresentanza nel dare volontà unitaria ad una società umana, e con ciò l’unità necessaria ad un’esistenza sicura ed ordinata. L’idea di Hobbes che il rappresentante sia il mezzo per “fare di una moltitudine un’unità”, è tuttora valida ad individuare uno dei caratteri, forse anzi il principale, sia strutturale che funzionale, della rappresentanza: senza una struttura rappresentativa una comunità non può agire come unità, ma è solo disordinata espressione di volontà individuali.

Lo stesso concetto, ma espresso con le parole di Santi Romano, suona così: “le istituzioni rappresentative sono istituzioni necessarie, perché il popolo non ha la possibilità giuridica di curare e tutelare i suoi interessi se non per mezzo di rappresentanti e, di solito, scegliendo esso stesso questi ultimi”. Che poi vi sia una rispondenza tra corpo elettorale ed eletti, è solo augurabile, ma non sempre scontato.


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A questo punto una domanda.

Cosa pensare di quei politici che – dimenticando di far parte di una struttura rappresentativa complessa, e ignorando che rappresentare vuol dire “dar voce” e “far partecipare” – corrono il terribile rischio di assecondare quasi esclusivamente le loro volontà individuali?


sabato 15 settembre 2007

L'arte di curare la città

Una «modesta proposta» per non perdere la nostra identità storica e culturale e per rendere più vivibili le nostre città di Pier Luigi Cervellati
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Cervellati riflette criticamente sul ruolo dell’architetto urbanista, prendendo atto dei limiti che l’ambiente pone all’idea di uno sviluppo urbano senza fine. L’avvio del terzo millennio si annuncia con il rifiuto di molte regole e comportamenti celebrati dalla razionalità pianifìcatoria della società industriale.


Non si tratta più di fondare «nuove città», bensì di risanare - curare - ciò che è stato tumultuosamente costruito, imparando l’arte, tutta artigianale, del restauro e della manutenzione urbana e paesaggistica. Molti sono i problemi che pone oggi all’urbanista l’intervento sull’assetto della città, o meglio su quegli aggregati urbani e suburbani che sono diventate, in particolare, le città occidentali.


Anche il problema del centro storico che tanto ha appassionato gli addetti ai lavori negli anni ‘60 non si pone più negli stessi termini. Il centro storico semplicemente non esiste più: ci sono le banche al posto dei caffè, gli uffici al posto degli alloggi. Lo spazio da conservare o da riqualificare, per non perdere la nostra identità storica e culturale, oltrepassa le mura (peraltro già abbattute) e comprende anche la periferia e la campagna, secondo un’idea globale del territorio, in cui il limite diventa una risorsa.


Si tratta di trasformare in centro la periferia e non viceversa, di suddividere l’urbanizzato in ambiti che consentano il formarsi di piccole e medie comunità, recuperando ciò che è stato alterato, ripristinando il carattere dei luoghi deturpati, secondo terapie precise, con prognosi che derivino da conoscenza ed esperienza.


mercoledì 12 settembre 2007

Se la VAS copia l'iter del Piano Paesistico


La Direttiva Europea 42/2001 definisce la Valutazione Ambientale Strategica (VAS) come “un processo sistematico inteso a valutare le conseguenze sul piano ambientale delle azioni proposte – politiche, piani o iniziative nell’ambito di programmi – ai fini di garantire che tali conseguenze siano incluse a tutte gli effetti, affrontate in modo adeguato fin dalle prime fasi del processo decisionale, e poste sullo stesso piano delle considerazioni di ordine economico e sociale”.

La Vas, però, non può essere ridotta a mero calcolo, ma deve includere varie argomentazioni - ovvero la varietà delle opinioni e dei punti di vista - e dell’interazione, cioè la partecipazione, l’ascolto, e la concertazione.

L’articolo 1 della Direttiva descrive in questi termini il duplice obiettivo della VAS:
- garantire la maggior protezione possibile dell’ambiente;
- contribuire all’integrazione di valutazioni ambientali nell’elaborazione e nell’adozione di piani e programmi al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile.

L’articolo 3 della Direttiva elenca tutti i settori i cui piani, o programmi, devono essere obbligatoriamente sottoposti alal valutazione ambientale. Tra questi è compresa la pianificazione territoriale e la destinazione dei suoli (come, ad esempio il Piano di Governo del Territorio, PGT).

La valutazione degli effetti ambientali dei piani non si esaurisce con la stesura del Rapporto Ambientale, ma prevede un monitoraggio costante per poter correggere eventuali effetti negativi imprevisti ed essere in grado di adottare le misure correttive che si ritengono opportune.

Ma, soprattutto, l'intero processo della VAS deve essere caratterizzato dalla partecipazione e dalla condivisione delle parti interessate. E’ il punto nodale della VAS, non un elemento accessorio, voluto dala Direttiva comunitaria " ... per potenziare le forme di partecipazione nella definizione delle politiche pubbliche".

La Direttiva 42/2001 sostiene infatti che
“… cittadini più informati ed attivamente impegnati nel processo decisionale in campo ambientale costituiscono una forza nuova e potente, che permette di ottenere risultati ambientali”.

A conferma dell’importanza del ruolo assegnato ai “portatori di interessi”, l’articolo 9 della Direttiva prevede che, dopo l’adozione, le autorità e la popolazione siano informate degli esiti della decisione e siano messi a loro disposizione:
- il piano adottato;
- una dichiarazione di sintesi in cui si illustrano in che modo le considerazioni ambientali sono state integrate nel piano;
- una relazione su come si è tenuto conto del rapporto, dei pareri espressi, dei risultati delle consultazioni, nonché le ragioni che hanno portato a scegliere quello specifico piano, adottato alla luce delle alternative possibili che erano state individuate;
- le misure adottate in merito alla funzione di monitoraggio.


Le attività di consultazione e di partecipazione sono elementi fondanti della procedura VAS, ma anche, più in generale, dei processi di governance del territorio. Con il termine “partecipazione” si intende quindi una gamma di forme diverse di coinvolgimento (coinvolgimento attivo, negoziazione / concertazione, acquisizione di pareri e osservazioni). Tutte queste modalità devono essere compresenti nel processo decisionale e tutti i soggetti devono poter esprimere pareri e formulare proposte sulle tematiche in discussione nelle diverse fasi del processo, a partire dall’analisi preliminare del contesto per finire all’analisi dei risultati del monitoraggio.

Ma non è solo la normativa VAS ad occuparsi di partecipazione. Anche la Direttiva 35/2003/CE sulla partecipazione del pubblico nell’elaborazione dei piani e programmi in materia ambientale, è mirata principalmente a favorire la partecipazione del pubblico ai processi di pianificazione e programmazione riguardanti l’ambiente. Al pubblico, quindi, devono essere offerte “tempestive ed effettive opportunità di partecipazione alla preparazione e alla modifica, o al riesame, dei piani o dei programmi".

La Direttiva 35/2003 ricorda che "... il contributo dei cittadini non deve essere confinato a fornire osservazioni su documenti già formalmente adottati, in quanto, in tal caso, la possibilità di orientare ed incidere realmente sulle decisioni risulta fortemente limitata".


Preso atto che, ad esempio, sul Piano Paesistico di Passirano i cittadini sono stati invitati "a fornire le loro eventuali osservazioni solo ed esclusivamente su documenti già adottati", e che, per questo, "la loro possibilità di orientare ed incidere realmente sulle decisioni è stata fortemente limitata", sarà interessante verificare come sarà gestito ora il processo partecipativo dei cittadini nella predisposizione della Valutazione Ambientale Strategica di Passirano e del Piano di Governo del Territorio.


lunedì 10 settembre 2007

La distanza tra le parole e le cose

Prof. Antonio De Rossi - Facoltà di Architettura, politecnico di Torino


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Viviamo in una strana epoca.
Da un lato, decine e decine di convegni sul tema della sostenibilità ambientale, sulla valorizzazione delle specificità locali; un numero sterminato di libri e ricerche sulla qualità del paesaggio, di articoli sui giornali sul patrimonio storico e ambientale.
Dall’altro lato, la realtà concreta delle cose, delle trasformazioni. Una trasformazione del paesaggio italiano che negli ultimi anni – anche grazie alla particolare congiuntura determinata dal costo del denaro – ha comportato tassi di urbanizzazione del territorio simili e persino superiori in alcune aree a quelli dei micidiali anni ’60 e ’70. Non si tratta soltanto dei casi di Monticchiello in Toscana, del Millennium Park in Piemonte, o delle grandi opere infrastrutturali che stanno interessando il paese. Questi sono solamente gli epifenomeni di qualcosa di più profondo e allargato.


La trasformazione a cui faccio riferimento è minuta, diffusa, pervasiva, strisciante, e proprio per queste sue caratteristiche tende a essere sottovalutata, a essere percepita come un evento naturale, ineluttabile: un nuovo insediamento produttivo lungo la strada di scorrimento, un piccolo Pec residenziale lontano dal centro abitato in zona agricola, l’allargamento delle strade preesistenti per servire le nuove realizzazioni, il piazzale asfaltato in mezzo ai campi realizzato per rispettare gli standard urbanistici sui parcheggi, il nuovo ipermercato alle porte della cittadina, l’intubamento della bealera che disturba le nuove urbanizzazioni.


Un territorio – specialmente quello della cosiddetta città diffusa, della dispersione insediativa – in cui gli elementi strutturanti del paesaggio sedimentatisi nel corso della storia tendono progressivamente a scomparire, a dissolversi, per lasciare posto a una nuova organizzazione dello spazio fatta per “recinti” e per “corridoi” autonomi e specializzati. Un patchwork territoriale che visto dall’alto assomiglia sempre di più alla cartografia con i retini dei piani regolatori.


Questi nuovi territori urbanizzati sono infatti, per la stragrande maggioranza dei casi, dei “paesaggi legali”. Quello che lo sguardo osserva è quello che veramente si voleva ottenere.Questo patchwork territoriale contemporaneo è la concretizzazione fisica di uno scontro di razionalità e di strategie autonome e inconciliabili. Ognuna di esse è insieme limitata e assoluta: limitata perché costruita su semplificazioni e riduzioni, assoluta perché ambisce al controllo esclusivo di una porzione di spazio attraverso l’imposizione di confini.


In questi paesaggi manca infatti la dimensione generale, l’interesse generale. Tolti i grandi interventi di natura infrastrutturale, buona parte di quello che vediamo è infatti l’esito di una serie di decisioni locali, di atti di pianificazione comunali. Non esistendo in Italia una reale pianificazione di area vasta, intercomunale, ogni centro tende a riprodurre le medesime cose: la struttura commerciale, il nuovo Pip, il quartiere a villette nel verde.

Manca un “luogo” reale in cui rapportare le scelte delle singole realtà al tutto, a un quadro di coerenza d’insieme. Anzi, le tendenze legislative degli ultimi tendono a riversare le responsabilità pianificatorie sui singoli comuni, lasciando ai livelli istituzionali superiori una funzione essenzialmente d’indirizzo e sempre meno di controllo. Cosa teoricamente giusta, ma contraddetta dagli esiti osservabili sul terreno.


Provo a raccontare una piccola storia, per cercare di far capire come questo processo di trasformazione del territorio colpisca oramai ogni minima cosa, al di fuori di ogni logica di “senso”. Nel comune dove abito (la cui amministrazione ha recentemente organizzato un convegno sulla valorizzazione del paesaggio) esiste una piccola strada, dall’andamento sinuoso, che attraversa uno degli ultimi brani di paesaggio agricoli superstiti della zona. Questa strada è ogni giorno utilizzata da decine di persone che passeggiano, che fanno jogging, che vanno in bicicletta e persino a cavallo. L’amministrazione ha detto che la strada è troppo stretta. Gli abitanti sono d’accordo. In effetti due auto che si incrociano rischiano di scontrarsi.

Invece di allargare la strada esistente di un metro, l’amministrazione ha deciso di rettificarla e ricostruirla secondo un nuovo tracciato, con relativa opera di esproprio di terreni agricoli. Non solo. Per prevenire le critiche, è stata prevista lungo la nuova strada la creazione di una pista ciclabile: un metro da una parte e un metro dall’altra, che quando scomparirà la segnaletica orizzontale verrà presumibilmente utilizzata come carreggiata automobilistica.


Una pista ciclabile in mezzo ai campi che collega il niente col nulla. Quando provi a dire “Ma non era sufficiente allargare la strada di qualche decina di centimetri? L’andamento a curve del tracciato esistente non consentiva la convivenza tra automobili, ciclisti e pedoni senza la necessità di costruire una pista ciclabile?”, ti accorgi che stai parlando una lingua straniera, incomprensibile da quelli che ti stanno intorno. Nessuno capisce che quella strada esistente è parte integrante del paesaggio agricolo tanto quanto i campi che la circondano. E comprendi che in fondo la rettifica permette alle automobili di guadagnare 10-12 secondi. Lì sta in realtà il punto. E pensare che si tratta di una amministrazione per molti versi più attenta e sensibile di molte altre della zona.


E’ questa modernizzazione acontestuale, questa idea dello sviluppo per lo sviluppo, che sta progressivamente dissolvendo il paesaggio e il territorio che abbiamo ereditato. Una idea di modernizzazione a mio giudizio logora e vecchia, ma che continua a guidare la miriade di piccoli e grandi atti tecnici, fatti fisici, che ogni giorno trasformano il territorio. Il riferimento di questi atti fisici non sono le caratteristiche del luogo che andrà ad accoglierli, ma un ideale tardofunzionalista e tardomodernista oramai frusto e anacronistico.


Oggi però vanno di moda alcune prescrizioni, che nella mente dei decisori dovrebbero servire a diminuire gli impatti delle trasformazioni sul paesaggio. Le nuove residenze a villette dovranno utilizzare – si dice sempre più spesso – “forme e materiali tradizionali”. Ma non sarà questo maquillage di facciata quello che salverà il paesaggio. Anzi, il rischio della “folclorizzazione”, dell’annullamento delle vere specificità dei luoghi, è dietro l’angolo.


E’ sufficiente andare con regolarità in libreria, per accorgersi come ogni anno che passa aumentino esponenzialmente i libri dedicati al paesaggio. Libri che ad esempio raccolgono le vecchie immagini – foto, cartoline – dei luoghi, o fotografie aeree che ci mostrano bei paesaggi apparentemente incontaminati. Sono libri che segnalano una mancanza, e una nostalgia. E’ come se si stesse creando una sorta di “paesaggio parallelo”, cartaceo e virtuale, da opporre a quello della quotidianità. Sono in primis un architetto e un progettista. E ho sempre creduto nella possibilità da parte dell’uomo di modificare positivamente la natura.


Oggi però sono un po’ più pessimista. La trasformazione dei territori e dei paesaggi sta infatti viaggiando a una velocità sempre maggiore. E analogamente, aumenta vertiginosamente la distanza tra le parole e le cose, tanto che sembra impossibile riempire il baratro che si è venuto a creare. Ma forse sta lì, nella possibilità di riuscire a nominare le cose per come esse realmente sono, il primo passaggio da fare per cercare di ribaltare questa situazione apparentemente naturale, ineluttabile.



domenica 9 settembre 2007

Perchè, e per chi, si costruisce tanto?

Di seguito una sintesi dell’intervento presentato dal dr. Francesco Erbani al V Premio Cederna della Provincia di Roma, il 30 maggio 2007. Una lezione di urbanistica nel solco del difensore del paesaggio romano.

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Accade spesso di sentir parlare del paesaggio come pura categoria ideale, anzi come semplice effetto della percezione, come se i suoi valori fossero puramente immateriali, per cui ognuno si costruisce il proprio paesaggio, con un’operazione mentale.


E invece il paesaggio ha una sua concreta rappresentazione nella struttura del territorio. E' l’elemento che caratterizza il paesaggio italiano in genere, e che rappresenta il suo vero valore è proprio il fatto di essere un paesaggio fortemente antropizzato, cioè segnato dalla mano dell’uomo.


E a seconda delle zone d’Italia la mano dell’uomo ha definito assetti del territorio che rendono riconoscibili i luoghi, perché li fanno uno diverso dall’altro. La campagna toscana è diversa da quella siciliana non solo per la conformazione del terreno, ma anche per le tradizioni colturali, perché in Toscana prevale la coltivazione dei vigneti o dell’ulivo e gli appezzamenti di terreno sono (purtroppo forse erano) di dimensioni ridotte e quindi il paesaggio ne è condizionato e perché, invece, in Sicilia prevale la grande estensione coltivata a grano, con queste immense distese pianeggianti.


Questo patrimonio è a rischio. Basta gettare lo sguardo su qualche cifra. Nel 1951 Roma era edificata su 6 mila ettari, per arrivare a questa dimensione la città ha impiegato grosso modo duemilacinquecento anni. Gli abitanti erano un milione e seicentomila. Nel 2001, cinquant’anni dopo, si è arrivati a più di 41 mila ettari, sette volte di più del 1951. Ma la popolazione si è assestata sui 2 milioni e mezzo. […]


E’ un evidente paradosso. L’edificato di una città cresce quasi indipendentemente dalla crescita della popolazione.



L’edilizia cresce in tutta Italia. Stando ai dati citati recentemente da Vittorio Emiliani, ogni anno si perdono in Italia 380 mila ettari di suolo agricolo. Noi produciamo una quantità di cemento pro-capite che è più del doppio di quella tedesca.


In questa situazione, quali sono diventati gli elementi cospicui del paesaggio? Sono ....le gru!



Le domande che sorgono a questo punto sono: ma perché si costruisce tanto? Per chi si costruisce tanto? Ho citato Cederna: in effetti se si vanno a leggere le sue pagine, sebbene risalgano anche a cinquant’anni fa, una risposta la si trova. Cederna ebbe la fortuna (per un giornalista questa è una fortuna) di raccontare l’Italia proprio a partire da quel 1951 in cui prendeva il via quella spaventosa trasformazione che avrebbe sfigurato i suoi connotati. Ed ebbe la bravura di non limitarsi a raccontare l’Italia che vedeva modificarsi sotto i suoi occhi, ma di cercare le cause.

Rispondendo a quelle domande: perché si costruisce tanto e per chi?
Il meccanismo che agli occhi di Cederna regola questa trasformazione devastante è di diversa natura.
Culturale, intanto: l’Italia è un paese in cui la consapevolezza della qualità del proprio patrimonio non è adeguata all’entità e alle valenze di esso.
Economica, in secondo luogo: in Italia la rendita pesa moltissimo, e la rendita fondiaria e immobiliare, in particolare, assorbono tante risorse che altrimenti sarebbero destinate a un più corretto sviluppo.


Politica,
infine: una buona parte della politica non intende né progettare né regolare l’assetto di un territorio, è come inibita dalla forza che esprimono il mondo dell’edilizia e della rendita e si adegua ai suoi desideri, convinta che nel possesso di un suolo sia in qualche modo iscritta la possibilità di una sua trasformazione in senso cementizio e che questa possibilità vada al massimo contrattata, mitigata, ma non condizionata dalla tutela di interessi generali.


Negli anni Cinquanta, scrive Cederna, si costruisce dove e come si vuole purché lo esiga chi possiede un suolo. Non si costruisce perché c’è bisogno, o almeno non solo per questo, ma perché c’è qualcuno che ha la forza di imporlo.


Queste tre condizioni restano sostanzialmente inalterate nella storia italiana dagli anni Cinquanta a oggi. Le case si costruiscono, ma il problema dei senzacasa resta inalterato e anzi va aggravandosi sempre di più: nella città che dilaga con il suo cemento sui paesaggi raccontati da Goethe e da Chateaubriand sono censite ben trentamila famiglie che una casa non ce l’hanno e non se la possono permettere.


sabato 8 settembre 2007

"La vera tutela del paesaggio? Non si può contrattare con i Comuni".

Lettera del prof. Paolo Urbani, ordinario Dir. Amministrativo Università Roma Tre a Claudio Martini, Presidente della Regione Toscana

I lettori hanno imparato a conoscere Monticchiello e la Val D’Orcia, Montegrossi e la Val di Magra, Fiesole, Capalbio e Lucca, più per interventi urbanistici in contrasto con la tutela del paesaggio che per la loro storia millenaria. Il fenomeno, sia ben chiaro, è assai più ridotto qui, nella regione più bella d’Italia, di quello che si riscontra ormai in tutto il territorio nazionale, ma il problema resta.

Intellettuali come Alberto Asor Rosa e Vittorio Emiliani, e cittadini, si sono riuniti in comitati e chiamano in correità la Regione per l’assenza di controlli sui piani urbanistici e di vigilanza sugli usi del territorio locale. Le ragioni di questa trasformazione che coinvolge in primo luogo le aree rurali, sono almeno quattro.

La principale è legata all’eliminazione - nella legge regionale 5 del 1995 - del sistema di controllo preventivo sui piani regolatori da parte regionale, in ossequio all’abolizione nazionale del sistema dei controlli sugli atti degli enti locali e ad una forzata interpretazione del principio di sussidiarietà -secondo il nuovo titolo V della Costituzione - che considera la vicinanza delle istituzioni locali ai territori come la miglior cura dell’interesse pubblico.


L’auto approvazione dei piani regolatori e la mera verifica della loro coerenza ad atti di pianificazione come il piano territoriale di coordinamento provinciale (che di regola non detta prescrizioni ma solo indirizzi) hanno lasciato spazio a previsioni urbanistiche comunali spesso in contrasto con i principi dello sviluppo sostenibile. E questo sta accadendo in tutt’Italia.


Basterebbe citare due sentenze del Tar Toscana con le quali, prima la Provincia di Lucca (6287/04) e poi la stessa Regione Toscana (98/05), hanno tentato inutilmente di ottenere l’annullamento del Regolamento urbanistico del Comune di Lucca perché in contrasto con il Ptcp della provincia e con il Pit (piano d’indirizzo territoriale) regionale.
La legge regionale 1 del 2005 (“Norme per il governo del territorio”) prova a rimettere ordine nel sistema di controllo, ma affidandosi ancora una volta all’auto determinazione degli enti locali, pur se bilanciata da un sistema di concertazione che ancora le trasformazioni del territorio alla redazione degli statuti del territorio e ai contenuti del Pit. Si tratta di modelli di pianificazione in fase di elaborazione che pongono problemi interpretativi anche ad un giurista e che richiederanno del tempo per arrivare a regime.

Il secondo motivo risiede in un sistema di partecipazione alle scelte pianificatorie comunali che non ha nulla a che fare con le inchieste pubbliche dei Paesi anglosassoni, poiché l’amministrazione è restia a un’urbanistica effettivamente partecipata che potrebbe mettere in discussione la propria visione territoriale.

Il terzo motivo è legato alla crisi fiscale dello Stato che spinge i Comuni a considerare il territorio come fonte di reddito per rimpinguare le casse comunali attraverso la riscossione dell’Ici è degli oneri di urbanizzazione che, sganciati dalla Finanziaria del 2002 da qualunque reimpiego in opere e servizi pubblici, possono essere utilizzati per finalità generali

Il quarto motivo risiede nella perdita di senso - per le popolazioni locali - del paesaggio agricolo e nel progressivo omologarsi verso un non meglio definito paesaggio turistico fatto di seconde case, lottizzazioni intensive. La pressione speculativa tanto su coste e colline interne distrugge le campagne in nome di una mal interpretata modernizzazione fatta prevalentemente di case con piscine abitate tre mesi l’anno.

Il paesaggio naturale, ma anche quello opera dell’uomo, testimonianza di civiltà da tramandare alle generazioni future, non è più in grado di autogovernarsi in molti casi diventa territorio in attesa di trasformazioni edificatorie.


Nel frattempo però, in molti piani regolatori vigenti dei Comuni toscani, vi sono previsioni urbanistiche che andranno in attuazione negli anni futuri e che presto potrebbero costituire oggetto di nuovi “scandali” edilizi, come già si sono affrettati a dire i responsabili regionali. Come dire: il peggio deve ancora venire!

Eppure quei piani regolatori sono comunque passati all’attenzione degli uffici regionali. E’ possibile che una Regione che svolge funzioni di programmazione e quindi di previsione degli sviluppi futuri non si sia resa conto, calcolatrice alla mano, che i volumi edificatori previsti in quei piani, specie di piccoli Comuni, erano ben oltre lo sviluppo sostenibile?

Che fare? Una soluzione ci sarebbe, quella del nuovo piano paesaggistico in fase di elaborazione, per di più oggetto di un protocollo d’intesa con il Ministero dei beni culturali come prescrive il Codice del paesaggio. Soluzione che, individuando nuovi beni paesaggistici di rango regionale o beni “identitari” sul territorio regionale, tra cui il paesaggio rurale, ponga limiti a queste nuove cementificazioni: le scelte del piano paesaggistico prevalgono, immediatamente, secondo la legislazione statale, sulle previsioni dei piani regolatori sottostanti.
Ma non pare che questa sia una strada promettente se la Regione Toscana intende redigere il contenuto del piano paesaggistico in collaborazione con Comuni e Province attraverso intese e accordi, lasciando poi agli enti locali la possibilità di una disciplina paesaggistica integrativa contenuta nel piano paesaggistico regionale.
Ma le scelte sovraordinate non possono sempre essere ridiscusse con i destinatari di quelle tutele. Poiché gli enti locali si muovono nell’ottica degli interessi particolari contro gli interessi generali di collettività anche più ampie di quelle regionali, come testimoniano la risonanza internazionale della Toscana e le numerose presenze di cittadini stranieri che la frequentano per la qualità del paesaggio finora tutelato.

Mi domando se il presidente Soru, cui si deve il merito di aver sostenuto ad oltranza l’approvazione, un anno fa, del piano paesaggistico della Sardegna, avrebbe ottenuto lo stesso risultato di tutela qualora si fosse messo a “contrattare” con i Comuni costieri se era giusto o meno ridurre i 57 milioni di metri cubi previsti sulle coste sarde dai vigenti strumenti urbanistici comunali!


La tutela del paesaggio non si “contratta” poiché la sussidiarietà ambientale è spesso in contrasto con la ricerca del consenso. Il problema di fondo, a ben vedere, è tutto qui.



Sono in grado le Regioni e il Ministero dei Beni culturali di svolgere un’effettiva tutela e valorizzazione del paesaggio italiano? O dobbiamo ridurci a intendere la sussidiarietà come un nuovo localismo? Il ruolo delle Regioni o del Ministero può, quindi, essere decisivo per l’attuazione dei programmi di conservazione anche in funzione di accompagnamento, e di controllo.
Nel rapporto tra Regione e amministrazione centrale, lontane dagli interessi particolari, si gioca quindi la partita della tutela del paesaggio con i Comuni, non perseguibile solo nella sua staticità (pena in qualche caso la perdita di significato della tutela) ma nel suo evolversi, sempre e comunque, tuttavia, nel rispetto della effettiva conservazione.


giovedì 6 settembre 2007

Lettera aperta al Sindaco e agli Amministratori Comunali di Passirano

Il 6 settembre il Comitato di Monterotondo ha presentato al Comune di Passirano una lettera - indirizzata al Sindaco e agli Amministratori comunali - che di seguito riportiamo.


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Noi tutti firmatari della prima petizione per la modifica del Piano Paesistico comunale, abbiamo ricevuto la cortese nota del Sindaco con cui ci ha informato che la nostra proposta verrà discussa in sede di Consiglio comumale, insieme a tutte le altre pervenute entro il 4 agosto scorso.


In questo modo abbiamo visto rispettato il nostro diritto a presentare una mozione per la modifica del Piano Paesistico, ed il dovere del Sindaco, di rispettare lo Statuto del Comune di Passirano accogliendo e discutendo le mozioni promosse dai cittadini che rappresenta. Abbiamo letto con attenzione anche la lettera del Sindaco pubblicata sul Giornale di Brescia il 7 luglio scorso e l’editoriale, sempre a cura del Sindaco, di Passirano Notizie (periodico dell'Amministrazione comunale) dedicati al Piano Paesisitico comunale.

Ma questo non sposta i termini del problema. Il territorio di Monterotondo è per buona parte collinare e per il 90% agricolo, mentre il Piano Paesistico comunale, adottato dal Consiglio comunale del 15.05. 2007, invoca criteri urbani di classificazione (classe 2 e 3, sensibilità paesistica bassa o media) anche per aree ora agricole, alcune delle quali di indiscutibile pregio paesistico.

Lo scopo della nostra azione è di mantenere e possibilmente migliorare la qualità di vita urbana e tutelare l’eccezionale patrimonio paesisitico-ambientale rappresentato dalle nostre colline moreniche, evitando nel contempo ulteriori squilibri abitativi e urbanistici quali di recente sono stati realizzati nell’interesse di pochi, ma a danno dell’intera comunità.

Anche con riferimento alla nostra osservazione protocollata presso il Comune di Passirano a inizio agosto 2007 - diretta ad innalzare le classi di sensibilità paesistica della zona di Monterotondo, alla quale hanno aderito 415 cittadini - Vi invitiamo nuovamente a :

1-considerare tuttora agricola la cintura perimetrale di Monterotondo e il territorio distrettuale (Bettolino).

2- considerare la criticità dell’area delle colline moreniche in cui è collocato Monterotondo, ambito che – ribadiamo ancora una volta - la Regione Lombardia definisce di “eccezionale valore paesistico”. Giudizio, questo, che chi vive sul territorio condivide pienamente.

3-considerare l'assenza di una reale pressione demografica sia esogena che soprattutto endogena, salvo che si decida di inurbare completamente questa area di Franciacorta, a solo fine speculativo

4- prevedere una riqualificazione delle aree comunali degradate in questi ultimi anni per una impropria utilizzazione del territorio, e non abbandonarsi semplicemente ad una constatazione di degrado e declassificazione del territorio.

5- considerare che il degrado ambientale è dato anche dalla distruzione dei filari di piante e delle ripe di delimitazione dei campi, dal prosciugamento delle lame (naturali aree di raccolta dell’acqua del terreno), dal massiccio uso di diserbanti nei vigneti, che troppo spesso finiscono anche nel sottobosco e nelle falde acquifere, dai movimenti terra non autorizzati.

Questo deterioramento paesistico-ambientale, che poteva essere evitato con una piu convinta azione di controllo del territorio comunale, può essere ancora in parte recuperabile e per il futuro prevenibile ed evitabile.

Vi invitiamo, inoltre, ad utilizzare forme di informazione e di consultazione territoriale analitica per la stesura del Piano di Governo del Territorio (ex Piano regolatore), come già molti comuni fanno o hanno fatto, primo fra tutti il Comune di Milano, come si legge nell’articolo: “Nuovo piano regolatore: vogliamo scriverlo insieme alla città” “…l’urbanistica? si fa ascoltando la città…” (Corriere della Sera, Cronaca di Milano, 19.07.07, pagina 7).

Anche un Comune vicino a noi, Iseo, sta operando nello stesso modo: l’Amministazione comunale attraverso i suoi tecnici e in collaborazione con il Politecnico di Milano sta informando e consultando la popolazione (incontri per vie, frazioni, ecc.) prima di redigere il Piano di governo del territorio.

Ci auguriamo che le intenzioni manifestate dall’Assessore all’urbanistica su “Passirano notizie”, per il coinvolgimento dei cittadini nella fase preliminare di stesura del Piano di Governo del Territorio, si concretizzino in modo semplice e coerente. A tal fine potrebbe essere utilizzata la sala civica delle scuole primarie di Monterotondo che è stata concessa, fin da marzo 2007, al Comitato per Monterotondo come luogo di incontro per assemblee e incontri pubblici.

Invitiamo infine tutti coloro che sono interessati ad approfondire gli argomenti qui accennati a visitare il nostro Blog http://www.comitatodimonterotondo.blogspot.com



mercoledì 5 settembre 2007

La VAS nella pianificazione territoriale dei Comuni

Di seguito uno stralcio del documento dal titolo "Modalità per la Pianificazione Comunale" a cura della Direzione Generale Territorio e Urbanistica delle Regione Lombardia che si occupa, in particolare, della Valutazione Ambientale Strategica (VAS) nel processo di formazione del Piano di Governo del Territorio (PGT).


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L’art. 4 comma 2 della legge per il governo del territorio precisa che il Documento di Piano, in quanto atto che elabora gli obiettivi strategici e le politiche di sviluppo del territorio comunale, deve essere sottoposto a Valutazione Ambientale Strategica (VAS), di cui alla Direttiva 2001/42/CEE, con la finalità di promuovere lo sviluppo sostenibile ed assicurare un elevato livello di protezione dell’ambiente, tenendo conto anche della caratterizzazione paesaggistica dei luoghi.


Il percorso di formazione del Documento di Piano si articola nelle seguenti fasi: • fase di avvio del procedimento • fase di impostazione • fase di elaborazione • fase di adozione ed approvazione • fase di attuazione e gestione.


Relativamente alla fase di avvio del procedimento si prevede che, prima del conferimento dell’incarico per la redazione degli atti del Piano di Governo del Territorio (PGT), lo sviluppo di azioni di comunicazione, di pubblicizzazione e di sollecitazione della partecipazione attiva della cittadinanza, al fine di incentivare la collaborazione di chiunque abbia interesse, anche per la tutela degli interessi diffusi, a presentare suggerimenti e proposte.


La circostanza che la legge regionale espliciti la possibilità che l’Ente Comunale possa avvalersi di ulteriori canali e forme di pubblicizzazione, al di là dell’avviso di avvio del procedimento da pubblicarsi su un quotidiano o periodico a diffusione locale nonché attraverso le canoniche forme di comunicazione alla cittadinanza, testimonia dell’attenzione che deve essere prestata, da subito, agli aspetti di trasparenza delle procedure ed all’aspetto dell’informazione finalizzata all’ottenimento di una partecipazione concreta e propositiva dei cittadini.


E’ importante evidenziare i precisi nessi esistenti tra comunicazione, informazione e partecipazione quali cardini del percorso di Valutazione Ambientale che accompagna la formazione del Documento di Piano e, insieme, condizioni perché il percorso di valutazione stesso produca effetti significativi: il contributo derivante dalla partecipazione deve, pertanto, divenire parte integrante del percorso di Valutazione Ambientale Strategica (VAS) e fattore di legittimazione delle scelte di piano.



Nella fase di impostazione del Documento di Piano il processo di Valutazione Ambientale Strategica (VAS) contribuisce sostanzialmente all’elaborazione del quadro ricognitivo e conoscitivo, attraverso la raccolta delle proposte e delle istanze provenienti dalle consultazioni e dalla partecipazione diretta di attori e cittadini nonché assicurando, da subito, l’integrazione della dimensione ambientale al quadro di riferimento per lo sviluppo economico e sociale del Comune, attraverso le analisi preliminari di sostenibilità agli orientamenti pianificatori che il Documento di Piano va assumendo.

La fase di elaborazione del Documento di Piano è quella in cui vengono definite le strategie e gli obiettivi generali di sviluppo, gli obiettivi specifici con le politiche di intervento per le diverse funzioni insediative nonché individuati gli ambiti di trasformazione. Anche in questa fase si deve sviluppare un legame continuo e sinergico tra scelte di pianificazione e processo di Valutazione Ambientale Strategica (VAS).


In particolare la Valutazione Ambientale deve assicurare che obiettivi, politiche ed azioni vengano declinati mediante l’individuazione ed il confronto tra ragionevoli alternative al fine di determinare la stima degli effetti ambientali di ciascuna di esse e selezionare le scelte da operare. La Valutazione Ambientale deve inoltre garantire anche attraverso analisi ambientali di dettaglio, la coerenza interna delle relazioni tra obiettivi dichiarati, politiche di intervento individuate ed azioni da perseguire per attuare tali politiche e raggiungere gli obiettivi prefissati; nonché la coerenza esterna di obiettivi, politiche ed azioni con il quadro programmatorio di scala più vasta e quello conoscitivo del territorio comunale.



Nella fase di elaborazione del Documento di Piano, come ulteriore risultato dell’approccio integrato tra processo di pianificazione e valutazione ambientale, deve essere progettato il sistema di monitoraggio: elemento fondamentale di valutazione, nel tempo, degli effetti sul territorio derivanti dall’attuazione delle politiche e delle azioni esplicitate dal Documento di Piano.


La definizione del Documento di Piano viene accompagnata dal "Rapporto Ambientale", elaborato in sintonia con quanto previsto nell’Allegato I della Direttiva 2001/42/CE, in cui sono individuati, descritti e valutati gli effetti significativi che l’attuazione del piano potrebbe avere sull’ambiente nonché le ragionevoli alternative alla luce degli obiettivi e dell’ambito territoriale del piano.



Il "Rapporto Ambientale" in particolare deve descrivere gli indicatori ambientali di riferimento ed il sistema di monitoraggio previsto. Contiene inoltre la "Sintesi non tecnica", che, attraverso l’uso di un linguaggio chiaro e comprensibile, deve permettere a tutti i cittadini di avere un quadro informativo completo e trasparente delle scelte pianificatorie operate e del percorso seguito per arrivare alla definizione del Documento di Piano.



Preliminarmente all’avvio della fase di adozione ed approvazione del PGT, deve essere effettuato un momento valutativo del percorso compiuto in cui sia il Documento di Piano che il Rapporto Ambientale sono oggetto di analisi e valutazione da parte degli attori individuati nelle fasi iniziali, al fine di ricercare il più elevato livello di condivisione sugli obiettivi generali e di sostenibilità e sulle scelte contenute nel Documento di Piano e nel Rapporto Ambientale.


Lo svolgimento di questa attività consultiva porta alla redazione della "Dichiarazione di Sintesi" documento che, oltre a contenere il richiamo agli obiettivi strategici, agli effetti attesi ed alla loro tempistica di attuazione nell’arco temporale di validità del Documento di Piano ed i contenuti salienti del Rapporto Ambientale, dà conto dei risultati derivanti dalla partecipazione dei cittadini, degli Enti competenti e dalle consultazioni effettuate, motivando le scelte compiute anche in relazione al recepimento (o mancato recepimento) delle proposte avanzate e/o delle criticità segnalate.



lunedì 3 settembre 2007

Il semaforo intelligente: seconda puntata.

Alcune considerazioni a proposito del commento inviato il 2 settembre scorso al post “Il semaforo intelligente”, commento che, per comodità, si riporta integralmente :
“In occasione di un incidente stradale con ferito, in Via Silvio Pellico a Monterotondo abbiamo scritto per la seconda o terza volta (oltre alle varie interpellanza verbali degli abitanti) una lettera al Sindaco per segnalare la necessità di rallentare la velocità del traffico su via Silvio Pellico. Risposta...in pratica: Via Silvio Pellico a Monterotondo non è il luogo in cui avvengono più incidenti nel Comune quindi il problema non ha priorità! Si aspetta il cadavere di qualcuno per fare qualcosa? Quanto costa un semaforo intelligente o un dosso artificiale?"


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Iniziamo prendendo spunto dal nostro post del 25 giugno scorso dal titolo “La strada è di tutti?”.
L’autore del contributo, arch. Bracchi, affermava che “…l'assegnazione degli spazi alle singole categorie di utenza va fatta partendo da un concetto opposto a quello abitualmente in uso oggi e cioè: definire lo spazio minimo necessario ai flussi automobilistici destinando tutto il restante spazio agli altri, cioè a pedoni e ciclisti.
Bisogna lavorare sulla percezione dello spazio per diminuire la velocità, aumentare il grado di attenzione e garantire più sicurezza. Operare sul tracciato orizzontale e verticale, sull'orizzonte ottico, sui cambiamenti di ambiente.
Attenzioni ed accorgimenti questi, tratti da risultati consolidati nell'ambito di esperienze europee che si traducono con l'estensione delle zone a 30 km/h a vaste parti dell’abitato, a dimostrazione che é possibile cambiare radicalmente le cose in tema di sicurezza e qualità dell'ambiente urbano”.


Capito quale è il concetto di fondo - cioè che la strada è di tutti, e che vanno definiti spazi minimi per i flussi automobilistici riservando gli altri spazi all'utenza debole - notiamo, con un certo stupore, che la configurazione di via Silvio Pellico è in assoluto contrasto con queste indicazioni, ormai universalmente accettate e condivise da chi studia, organizza e predispone Piani Urbani del Traffico. Via Silvio Pellico (tratto urbano di una strada provinciale), infatti, è più ampia rispetto a molti altri tratti extraurbani della stessa strada.


E' ormai assodato che strade rettilinee ed ampie inducono gli automobilisti a percorrerle a velocità sostenuta. Proprio per evitare che questo accada, l’autore del post “La strada è di tutti?” invita a "lavorare sulla percezione dello spazio”, e ad intervenire per fare in modo che, nei centri abitati, l’automobilista (anche il più distratto) avverta immediatamente di trovarsi in un tratto stradale “diverso” dal solito, che non gli appartiene in modo esclusivo, che non è stato costruito per essere percorso ad alta velocità. Quando percorre tratti stradali come quelli di via Silvio Pellico, l’automobilista deve percepire che quella è una zona i cui “proprietari” sono degli utenti deboli (pedoni, ciclisti, bambini, anziani, ecc.), e lui, in quel momento, è solo un "inquilino”.


In sintesi: per ridurre la velocità di percorrenza dei veicoli è indispensabile restringere la sede stradale. E questa regola vale, a maggior ragione, nei tratti urbani!

Detto questo, tutti possono verificare che via Silvio Pellico - oltre ad avere una sede stradale troppo larga - non ha attraversamenti pedonali, né dissuassori di velocità, né nessun altro elemento che induca l'automobilista a rallentare. Il risultato di tutte queste anomalie? Troppi automobilisti, e motociclisti, che attraversano il centro abitato di Monterotondo a velocità ben superiore ai 50 km all’ora e che si "dimenticano" della sicurezza degli altri utenti della strada, dell'inquinamento acustico e della qualità della vita dei residenti!



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Attenzione, però! La situazione di pericolo che caratterizzava (e, purtroppo, caratterizza ancora) via Silvio Pellico, non era certo sfuggita agli estensori del Piano Urbano del Traffico che – al termine del loro studio, nel remoto 2000 - avevano invitato il Comune di Passirano a realizzare una rotatoria, anche di dimensioni ridotte, all’incrocio tra via Bruni e via Silvio Pellico.

Come abbiamo letto nel post “Il semaforo intelligente”, Sindaco e Giunta, però, avevano bocciato immediatamente quell’ipotesi, limitandosi ad affermare (siamo nel lontano 2004) che in via Silvio Pellico “… c’è la possibilità di installare un semaforo intelligente”.

Visto che le indicazioni contenute nel Piano Urbano del Traffico del 2000 sono state totalmente ignorate, e che il semaforo intelligente di cui si parlava nel 2004 - a distanza di 3 anni - non c’è ancora, si deve pensare che i nostri Amministratori abbiano scartato definitivamente qualsiasi progetto di modifica alla viabilità di via Silvio Pellico.

E' piuttosto improbabile, infatti, che quando è in gioco la sicurezza dei cittadini possano esistere impedimenti finanziari che, da soli, giustifichino ritardi di 7 anni nella realizzazione di interventi previsti anche da un Piano Urbano del Traffico. E' ancora più improbabile se, come nel nostro caso, le opere da realizzare sono dei banali dissuasori di velocità, o l'installazione di un semaforo intelligente.
Perchè stiamo parlando di interventi che, come tutti possono immaginare, non richiedono certo investimenti faraonici. Ma solo volontà politica.



Lo sviluppo sostenibile è il principio ispiratore della Valutazione Ambientale Strategica (VAS)


A partire dagli anni Ottanta, l’attenzione della Comunità Internazionale verso il problema della tutela ambientale non si esaurisce ma si intensifica, e questo sia perché si avverte la consapevolezza che sono necessari sforzi maggiori e impegni concreti, sia perché nel momento in cui si intravede una soluzione, attraverso la definizione di un nuovo modello di sviluppo (lo sviluppo sostenibile), si viene a manifestare un conflitto di interessi tra gli Stati industrializzati e quelli in via di sviluppo e si fa molto problematico riuscire a trovare un equilibrio tra i due interessi - apparentemente contrapposti - della tutela dell’ambiente e del diritto allo sviluppo.


Sotto il primo profilo, la soluzione al problema del degrado ambientale viene individuata da un Comitato di ricerca promosso dalla Commissione delle Nazioni Unite per l’Ambiente e lo Sviluppo (UNCED) che ha concluso i suoi lavori con la pubblicazione del Brundtland Report (1987). Questo Rapporto ha sottolineato la gravità del problema, mettendo chiaramente in luce che il progressivo deterioramento dell’ambiente è diretta conseguenza di uno sviluppo economico incontrollato e che determinati danni all’ambiente, quale ad esempio il fenomeno dei cambiamenti climatici, rischiano di essere tramandati sistematicamente alle generazioni future.


Ha inoltre messo in evidenza l’esistenza di una stretta connessione tra lo sviluppo economico, il deterioramento ambientale e ha infine individuato la necessità di promuovere forme alternative di sviluppo, capaci di sostenere la crescita economica, sia nel breve che nel lungo periodo, e nel contempo la salvaguardia dell’ambiente e la preservazione delle risorse naturali. Uno sviluppo di questo genere è stato definito sviluppo sostenibile.


Questa definizione riecheggia la concezione neoclassica dell’ambiente come ‘capitale naturale’, che in quanto tale può essere utilizzato per la produzione attuale ma deve altresì essere conservato per consentirne l’impiego futuro.
Il grande contributo che reca l’idea della sostenibilità è dato dal fatto che consente di cambiare l’approccio alla gestione del problema ambientale. Si impone un approccio globale, in base al quale l’ambiente venga considerato al pari delle altre componenti del sistema economico. La sostenibilità sottolinea l’imprescindibile esigenza di rendere compatibili i modelli di sviluppo economico e sociale con gli imperativi della protezione ambientale.


Per raggiungere l’obiettivo dello sviluppo sostenibile è necessario promuovere il passaggio da un modello di economia di mercato (free market economy), caratterizzata dal massimo sfruttamento dei fattori di produzione, ad un’economia ecologica di mercato (environmental market economy) in cui anche l’ambiente figuri come un fattore di produzione.


Il Rapporto Brundtland individua una serie di principi e di strumenti che vengono suggeriti al fine di perseguire l’obiettivo dello sviluppo sostenibile, che ci interessa segnalare in quanto ispiratori della filosofia della valutazione ambientale sia di impatto che soprattutto strategica. Così, il principio di prevenzione è chiaramente un principio chiave nella valutazione ambientale, in quanto la previsione degli effetti di un certo strumento di sviluppo, sia esso un progetto o uno strumento di programmazione, è finalizzata a scegliere la soluzione ottimale tenendo in considerazione anche la componente ambientale; il principio della condivisione di responsabilità tra i diversi attori del panorama economico, inclusi i privati cittadini, presuppone la partecipazione e l’informazione dei privati alle scelte sia a livello di singole opere, che al livello più alto di strumenti di pianificazione e persino di politiche.


Il suggerimento di impiegare non soltanto strumenti normativi per perseguire l’obiettivo della sostenibilità è una esplicita dichiarazione a sostegno di altri metodi, di carattere tecnico ed economico per esempio, che possano garantire una adeguata considerazione della componente ambientale nelle scelte politiche di altri settori.


La nozione di sviluppo sostenibile rappresenta la chiave di volta di un nuovo modello di policy making, al contempo economico ed ambientale, che la Comunità Internazionale ha posto al centro dell’attenzione con una serie di documenti adottati in occasione del primo Earth Summit, la Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente e lo sviluppo, Rio de Janeiro, 3-14 giugno 1992. Il 17° tra i Principi della Dichiarazione di Rio riconosce l’importanza della valutazione di impatto ambientale.


domenica 2 settembre 2007

La Valutazione Ambientale Strategica (VAS)

A proposito dell’avvio della procedura di Valutazione Ambientale Strategica (VAS), decisa dal Comune di Passirano nei giorni scorsi, di seguito riportiamo un contributo che cerca di fornire alcuni elementi utili per inquadrare il tema.


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La Valutazione Ambientale Strategica (VAS), nata concettualmente alla fine degli anni ’80, è un processo sistematico di valutazione delle conseguenze ambientali di proposte pianificatorie, finalizzato ad assicurare che queste vengano incluse in modo completo e considerate in modo appropriato, alla pari degli elementi economici e sociali all’interno dei modelli di “sviluppo sostenibile”, a partire dalle prime fasi del processo decisionale.


In altri termini, la VAS ha il compito di fornire indicazioni in campo ambientale sui diversi gradi di idoneità alla trasformabilità del territorio. La VAS valuta le possibili conseguenze sulle risorse naturali che deriverebbero dall'eventuale applicazione del piano di sviluppo oggetto di valutazione. La VAS, quindi, ha tra i suoi fini quello di dimostrare l'impatto delle azioni di trasformazioni del territorio previste, fornendo importanti informazioni ai decisori.


L’adozione da parte del Parlamento e del Consiglio dell’UE della direttiva “Concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull’ambiente” (n.2001/42/CE del 27/06/01, meglio nota come direttiva sulla VAS) individua nella valutazione ambientale un “... fondamentale strumento per l’integrazione di carattere ambientale nell’elaborazione e nell’adozione di piani, in quanto garantisce che gli effetti dell’attuazione dei piani ..... siano presi in considerazione durante la loro elaborazione e prima della loro adozione”.


Da sottolineare la differenza tra valutazione di compatibilità e quella di sostenibilità. Nelle valutazioni riguardanti la pianificazione territoriale-urbanistica spesso si assiste ad una sottolineatura delle valenze ambientali, trascurando in tutto o in parte i concetti di sviluppo sostenibile. Ma quando nella valutazione non vengono considerate anche le valenze economiche e sociali, non si dovrebbe parlare di valutazione di sostenibilità ma invece di valutazione di compatibilità ambientale.

La VAS quindi non è solo elemento valutativo ma “permea” il piano e ne diventa elemento costruttivo, gestionale e di monitoraggio. È importante sottolineare che i processi decisionali politici sono fluidi e continui, ragione per la quale la VAS deve intervenire al momento giusto del processo decisionale. Occorre quindi certamente approfondire gli aspetti tecnico-scientifici, ma senza perdere il momento giusto e rendendola inutile anche se rigorosa, ricordando che la VAS è uno strumento e non il fine ultimo.


Sempre più, negli ultimi tempi, l’attenzione si è spostata quindi dalla metodologia all’efficacia. La VAS permette di giungere ad un processo in cui il piano viene sviluppato basandosi su di un più ampio set di prospettive, obiettivi e costrizioni, rispetto a quelli inizialmente identificati dal proponente. La VAS viene vista come uno strumento di supporto sia per il proponente che per il decisore: inserendo la VAS nel processo lineare “proponente-obiettivi-decisori-piano”, in effetti si giunge ad una impostazione che prevede il ricorso a feedback in corso d’opera, così da meglio calibrare l’intero processo.


In effetti la VAS deve essere vista più come uno “strumento” di formulazione del piano che come un documento in senso stretto. La preparazione del report finale è forse la parte meno importante della VAS. Tale report dovrebbe essere visto soprattutto come una documentazione, del processo utilizzato e dei contenuti che ne sono scaturiti, resa disponibile per future revisioni.


Il rapporto finale di VAS deve essere un documento conciso, con indicazioni chiare sui seguenti argomenti:
- la proposta ed il contesto politico e pianificatorio di riferimento,
- le alternative possibili,
- le loro conseguenze ambientali e la loro comparazione,
- le difficoltà incontrate nella valutazione e le incertezze dei risultati,
- le raccomandazioni per l’attuazione della proposta, ordinate secondo una scala di priorità,
- le indicazioni per gli approfondimenti e per il monitoraggio dopo che la decisione è stata presa.



La compensazione preventiva

Compensazione preventiva è la rappresentazione sintetica di una precisa politica ambientale che si basa su un semplicissimo principio secondo il quale occorre ridare alla natura ciò che le viene tolto attraverso qualsiasi azione umana che comporti un consumo di suolo. La compensazione preventiva consiste allora nel prevedere che ogni tipo di trasformazione urbanistica sia collegata alla realizzazione di interventi di qualificazione ecologico-ambientale da realizzarsi prima della stessa trasformazione edilizio-urbanistica.

Evidentemente le opere di compensazione preventiva sono a carico di chi vuole realizzare una trasformazione urbanistica secondo misure che tengano conto:
a. della dimensione delle aree di trasformazione urbanistica,
b. del loro stato di rilevanza naturale e paesistica
c. del livello di naturalità da raggiungere nelle aree di compensazione.
Gli interventi di realizzazione di aree verdi all’interno delle aree di trasformazione urbanistica (ad esempio parchi di vicinato e di quartiere) non sono considerabili delle compensazioni ambientali in quanto la loro finalità è prevalentemente sociale, sebbene ad esse si riconosca sicuramente un qualche valore ambientale.

Il principio chiave
Un esempio può chiarire meglio. Realizzare una semplice lottizzazione (utilizziamo questo termine per ora) implica un consumo di suolo che nel suo stato pre-lottizzazione sarà caratterizzato da una determinata copertura alla quale è associabile un certo valore di naturalità e anche di rilevanza paesistica. Concentriamoci qui sulla naturalità. La realizzazione della lottizzazione avrà un certo impatto ambientale sul lotto (impatto diretto) in quanto andrà a deliminare quel determinato valore di naturalità, il quale concorre al generale valore di naturalità di un’area più ampia (si aprono qui altri temi: valore ecosistemico, valore di unicità, valore di scarsità di risorsa, etc. che ora non consideriamo).


La realizzazione di aree verdi interne o limitrofe al lotto risponde a principi di qualificazione e dotazione di spazi, nel caso specifico di spazi verdi, che vengono realizzati proprio per rispondere ai requisiti di fruizione, di abitabilità ed ambientali (nel senso di un ambiente sociale) e non per mantenere il valore di naturalità esistente precedentemente alla realizzazione edilizia. Queste aree verdi non concorrono per intero a rigenerare il valore naturale posseduto inizialmente dall’area. Possono in parte concorrere a tale rigenerazione, ma molto difficilmente la realizzano.


Allora per rigenerare il valore natura perso occorre appositamente generare un intervento ambientale (che possiamo chiamare rinaturazione) necessariamente in un’altra area posta nel comune ove avviene la trasformazione urbanistica: chiamiamo tale area, area di compensazione (è evidente che tale criterio localizzativo risponde prevalentemente ad un’esigenza di gestione amministrativa semplificata. Si presuppone che la localizzazione potrà essere individuata grazie ad uno studio agroecopaesistico del territorio del comune).
La dimensione dell’ area di compensazione dipenderà sia dal valore natura sottratto dalla trasformazione urbanistica sia dal valore natura già posseduto dall’ area di compensazione.

In entrambi i casi il valore natura può essere stimato invia approssimativa attraverso la conoscenza delle coperture del suolo. Un apposito fattore di compensazione condensa tale relazione. Il fattore di compensazione potrà opportunamente tenere conto dell’eventuale maggior valore naturalistico immesso nell’area di trasformazione urbanistica. In tal modo ad una trasformazione urbanistica corrisponde un intervento di rinaturazione.


Perchè preventiva?
Perché si intende promuovere un nuovo modo di considerare il territorio e l’ambiente. Si intende promuovere una nuova cultura ambientale e sociale al tempo stesso. Si intende favorire un comportamento virtuoso tale per cui si antepone una sorta di diritto di natura o naturale alle ragioni e alle istanze legittime di trasformazione urbanistica. Insomma il territorio è un bene prezioso (fiumi di parole sono stati spesi) ed è quindi doveroso che chi provoca la diminuzione del valore naturale si premuri di ripristinare tale valore compensando così la diminuzione che inevitabilmente produrrà.

Tale compensazione potrà realizzarsi in un luogo differito, garantendo un bilanciamento di natura che non sarà mai a somma zero, ma che almeno produrrà nuovo valore ambientale. Evidentemente ed irrinunciabilmente tale compensazione si deve concretizzare prima della trasformazione urbanistica, mantenendo sempre allo stesso livello di naturalità l’unità territoriale di riferimento (che qui consideriamo il comune). Anteporre la realizzazione della compensazione alla trasformazione induce maggior certezza sulla effettiva realizzabilità. Il permesso di costruire (o l’analogo titolo) deve quindi essere condizionato a tale compensazione.


Il ruolo chiave
Non può che essere il comune a gestire la compensazione preventiva perché il comune ha titolo nel conferire i permessi di costruire; perché il comune, attraverso i propri strumenti di governo del territorio, è il primo e più diretto responsabile delle politiche ambientali e paesistiche sul proprio territorio; perché il comune conosce le esigenze del proprio territorio; perché il comune risponde direttamente ai propri cittadini-fruitori della qualità ambientale del territorio in cui essi vivono; perché il comune ha un proprio piano paesistico; perché il comune amministra il procedimento di conferimento del titolo a costruire; perché il comune è solitamente il principale proprietario di aree pubbliche che possono essere rinaturate; etc.


Il principio di accompagnamento
La compensazione preventiva innesca competenze ambientali, ecologiche, naturalistiche, agroambientali, storiche che potrebbero essere inedite in un comune. Avviare un processo di compensazione preventiva richiede allora sia un piano (che sia titolare di un disegno strategico) sia la possibilità di farsi accompagnare verso visioni e soluzioni sostenibili e congrue, sia la necessità di monitorare in continuo i progressi effettuati.

In particolare con il termine accompagnamento si intende definire una particolare modalità operativa attraverso la quale il comune:
a. concepisce un piano di compensazione preventiva durante la messa a punto del proprio Piano di Governo del Territorio (PGT);
b. si fa seguire nel percorso di negoziazione delle compensazioni con il richiedente il permesso di costruire;
c. verifica efficacia e fattibilità delle azioni di compensazioni;

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Le esperienze di altri Paesi. La compensazione ambientale a livello comunale introdotta in Germania: definizione e riferimenti normativi.
Volendo riassumere il termine compensazione ambientale introdotta in Germania in una frase, si può dire che “ciò che viene tolto alla natura le deve essere ridato”. I primi passi in questa direzione si sono mossi nel 1998 apportando modifiche al codice delle norme costruttive (Baugesetzbuch (BauGB)). In questo modo è stato introdotto l’obbligo della cosiddetta “compensazione” di qualsiasi intervento sul territorio che ne modifichi l’assetto.

Con ciò si intende, che interventi di nuova costruzione sul territorio possono essere eseguiti solamente se il danno creato alla natura viene “pagato” attraverso un intervento a favore dell’ecosistema. Gli interventi di compensazione possibili possono essere di bonifica, di protezione o di tutela dell’ambiente e devono essere proporzionali alla gravità della compromissione della natura e del paesaggio causata dall’intervento sul territorio.

Si sono subito presentati problemi nell’esecuzione della nuova imposizione: come fare a valutare il danno alla natura provocato da un intervento sul territorio? Come attribuire una misura di compensazione ad un intervento? Quali misure sono lecite per la compensazione? Nell’affrontare questi temi sono nate le parole chiave del bilancio ecologico tedesco: “Flächenpool” ed “Ökokonto”, che tradotti significano “riserva di aree” e “conto ecologico”.


La riserva di aree (o conto verde o deposito).
Come accennato, ciò che viene tolto alla natura le deve essere restituito. Questa restituzione non deve essere eseguita sul luogo dell’intervento, ma può avvenire su aree compromesse ecologicamente che richiedono un risanamento o una particolare cura. L’idea è quella di dare ai comuni la possibilità di sviluppare progetti di risanamento e riqualificazione ambientale sul territorio, di metterli in atto e di usare i benefici che ne derivano per compensare gli interventi. Si crea una riserva di aree su cui vengono compiuti degli interventi a favore del sistema ecologico, che è contrapposta all’insieme di aree destinate agli interventi di nuova costruzione.

Il Comune può dunque compensare gli interventi sul suo territorio tramite una loro attribuzione univoca ad una misura di compensazione. È da sottolineare che la compensazione riguarda solamente le aree di nuova costruzione, non si deve tenere conto di urbanizzazioni precedenti. Possono essere prese in considerazione per la compensazione solamente le aree il cui valore biologico può essere migliorato. Gli interventi di compensazione possono essere compiuti in un momento precedente a quello dell’intervento di costruzione sul territorio, non possono essere eseguiti successivamente.


Il conto ecologico
Quando il valore ecologico di un’area di compensazione è stato migliorato e si è raggiunta la funzionalità ecologica perseguita si può procedere all’attribuzione dell’area a un intervento. Il conto ecologico è da vedere come un conto bancario, in cui il Comune immette le aree di compensazione, che costituiscono l’attivo del conto e le preleva nel momento in cui ha bisogno di compensare un intervento. Una volta che un intervento è associato a una compensazione, questa non è più disponibile nel conto e i costi che ne derivano per la cura sono a carico di chi esegue il progetto.


“Il contesto”
In Germania l’introduzione del modello presentato è resa possibile grazie alla sinergia di molti fattori:
• innanzitutto la regolazione degli usi del suolo si configura come obiettivo condiviso da tutti gli schieramenti politici. Nel 1985 il tema dell’occupazione del suolo è entrato nell’agenda politica del governo federale e degli enti locali, riconoscendo per la prima volta la necessità di invertire la tendenza di sottrazione dei suoli al territorio.
Nel 1998 è stata Angela Merkel, allora Ministro dell’Ambiente di un governo di centrodestra, a porre l’obiettivo di disgiungere lo sviluppo economico dall’occupazione del suolo nel suo programma di politica ambientale. Gli obiettivi posti sono poi stati ripresi anche dal successivo governo di centrosinistra, varando la legge per la tutela dei suoli nel 1999.

• l’introduzione del modello è resa possibile dalla normativa tedesca: l’uso parsimonioso del terreno è contenuto nel codice dell’edilizia e dell’urbanistica e l’introduzione nel 2002 del concetto di tutela preventiva, nonchè il rafforzamento della pianificazione paesistica costituiscono una base solida di lavoro.
Di fondamentale importanza è anche la regolamentazione degli aspetti fiscali, con l’introduzione di “oneri ecologici”, che permettono ai comuni di riscuotere i soldi spesi per le misure di compensazione, una volta attribuite agli interventi di costruzione.

• in terzo luogo esiste in Germania una tradizione di catalogazione dei beni ambientali presenti sul territorio, che permette di conoscere con precisione le aree che necessitano di interventi di riqualifica, nonché il valore ambientale dei suoli destinati a urbanizzazione.