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martedì 29 aprile 2008

Il treno di Monterotondo

Notizie tratte da un articolo del Giornale di Brescia pubblicato a febbraio 2008.



La prima tratta di quella che verrà ad essere la ferrovia della Valle Camonica fu quella che collegava Brescia ad Iseo, via Monterotondo, fortemente voluta dall’on. Zanardelli, ed inaugurata il 21 giugno 1885.
La tratta fu affidata in gestione alla Rete Adriatica. Nel 1904 la Società Nazionale Ferrovie e Tranvie (Snft) studiò la fattibilità del collegamento ferroviario del capoluogo con Edolo, sfruttando in parte la tratta esistente. Poco dopo ebbero inizio i lavori e nel 1907 il treno giunse a Pisogne, raggiungendo due anni dopo il capolinea di Edolo. Nel frattempo sia ad Iseo che a Pisogne vennero realizzati pontili per l’eventuale trasporto di carri ferroviari su chiatte, permettendo così il collegamento diretto con entrambe le sponde del Sebino. Nel 1909 la Rete Adriatica lasciò la gestione della tratta tra Brescia ed Iseo, così che tutti i 101 chilometri della linea, fino ad Edolo, passarono in gestione alla Snft. Nel 1911, visti i buoni risultati fino ad allora conseguiti, venne aperto il tratto Iseo-Rovato (in comunicazione con la linea Milano-Venezia) e nello stesso anno venne realizzato un collegamento tra Bornato/Calino, sulla linea per Rovato, e Paderno Franciacorta, sulla linea per Brescia, che nel 1931 andò a sostituire totalmente la variante originaria via Monterotondo che venne smantellata. Durante gli anni della prima guerra mondiale la linea vide un intenso traffico militare, in materiali e uomini, diretto al fronte dell’Adamello. Dopo la crisi del ’29 si assistette ad una decisa ripresa dei traffici, interrotti allo scoppio della Seconda guerra mondiale, durante la quale la linea subì notevoli danni, soprattutto per i bombardamenti aerei. A guerra finita si alternarono periodi di crisi e di ripresa, finché nel ’56 venne chiusa la Rovato-Cremona (aperta nel 1932) e nel 1975 venne soppresso il traffico passeggeri sulla diramazione per Rovato. Nuovo impulso venne dato nel 1988 con il passaggio dalla gestione Snft al consorzio Brescia Nord, costituito dalla Snft stessa, provincia di Brescia e Ferrovie Nord Milano; queste ultime poi nel 1993 ritirarono le quote della Snft e della provincia.
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lunedì 28 aprile 2008

Il mattone è in crisi

Articolo di BresciaOggi del 23 aprile 2008. Il rapporto dell’Agenzia del territorio decreta la fine del ciclo economico. Affari in calo del 7,1%.


Mutui e caro-mattone affossano il mercato immobiliare italiano: dopo anni di crescita sostenuta, nel 2007 le compravendite segnano un -7,1%. A testimoniarlo il rapporto 2007 dell’Agenzia del territorio, che evidenzia un crollo preannunciato già nel 2006, quando il mercato si era attestato a un debole +1,3%. Il trend negativo è legato a «fattori strutturali legati al ciclo immobiliare, che è evidentemente arrivato alla sua fase conclusiva.

Tra questi», fa notare l’Agenzia del territorio, «sicuramente sono da considerare i tassi di interesse per i mutui, passati mediamente dal 3,5% del 2003 al 5,3% del 2007, ed il livello raggiunto dal prezzo degli immobili».Nonostante il rialzo dei tassi e il ciclone americano il mercato dei mutui in Italia pare tenere. Nel quarto trimestre 2007 ha registrato un lieve aumento (+3%), secondo quanto segnala il bollettino statistico di Bankitalia, dal quale emerge che, dopo la crisi subprime esplosa ad agosto, le famiglie italiane hanno chiesto e ottenuto finanziamenti per l’acquisto della casa pari a 17,784 miliardi, contro i 17,232 miliardi dell’analogo periodo 2006.

Nel 2007 - tornando ai dati dell’Agenzia del Territorio - il volume di compravendite complessivo è stato di 1.699.664 transazioni con un decremento del 7,1% sul 2006. Il calo delle compravendite risulta generalizzato per i diversi settori, ma la sua elevata entità è legata soprattutto al calo (-10,6%) della maxi-categoria che comprende box e alberghi, posti auto e fabbricati per istituti di credito. Una categoria che ha sofferto le norme introdotte col decreto Bersani del 2006 che chiedeva maggiori cure nel predisporre gli atti di compravendita di questi immobili. Anche se con cali meno accentuati tutti gli altri comparti (residenziale, terziario, commerciale, produttivo e magazzini) nel 2007 riportano però una diminuzione degli atti di compravendita.

Il settore residenziale con 806.225 transazioni diminuisce del 4,6%; il terziario, 21.732 compravendite, è in calo del 2,6%; il commerciale con 50.136 atti risulta in calo del 4,8%, in linea con il residenziale. Il settore produttivo (16.812 operazioni) cala del 3,5% e il mercato dei magazzini, infine, con 114.610 compravendite, si ridimensiona sensibilmente con calo del 5,2% . Osservando gli andamenti semestrali si nota un tendenziale che mostra un decremento medio pronunciato, pari a -11%. Il settore residenziale (393.450 compravendite nel secondo semestre 2007) risulta in sensibile calo (-5,8%), maggiormente accentuato per i capoluoghi (-7,4%).

La quotazione media di riferimento delle abitazioni risulta pari a 1.557 euro con un incremento del 2,6% rispetto al semestre precedente e del 5,5% su base annua. I prezzi delle case restano dunque alti e aumentati mediamente del 30% dal 2004 ma il trend di crescita è in frenata e nei comuni capoluogo la crescita delle quotazioni risulta quasi dimezzata negli ultimi due semestri.


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sabato 26 aprile 2008

PGT, nessuna cementificazione

Articolo pubblicato il 25 aprile 2008 sul Giornale di Brescia. Provaglio d'Iseo: rifiutate le 300 osservazioni al nuovo strumento urbanistico. Parla il sindaco Martinelli.



Delle circa 300 osservazioni pervenute in questi mesi al comune di Provaglio d’Iseo, in merito alla stesura del PGT, tutte sono state rifiutate. «Saranno prese in considerazione solo quelle legate ad esigenze familiari dimensionate mentre le altre verranno scartate - aveva spiegato il sindaco Giuseppina Martinelli - abbiamo avuto richieste assurde che vedrebbero edificato tutto il territorio, compresa la collina, dove esiste il vincolo del parco dei tre colli, unificate le frazioni al capoluogo e nessuna separazione tra zona industriale e centro abitato; inoltre non abbiamo ancora fatto previsioni di crescita della popolazione per i prossimi anni». La valutazione ambientale strategica, parte fondamentale del Piano di Governo del Territorio, è già stata invece approvata da enti e comuni limitrofi e presentata ai cittadini in un’assemblea pubblica mentre gli obiettivi strategici sono stati definiti nelle linee guida per la stesura del Pgt. La carta delle valenze mostra come a Provaglio d’Iseo sia presente per lo più una classe paesistica alta, ciò significa una buona qualità ambientale, mentre solo le zone produttive e con elementi di degrado (per esempio l’area dell’ex discarica e la cava cessata) comportano elementi di vulnerabilità e di criticità ambientale. Ad aprile sono stati chiamati ad esprimere le proprie opinioni e proposte i gruppi e le associazioni locali, i tecnici, gli artigiani e gli imprenditori attivi sul territorio e dallo scorso 22 aprile è stato attivato un forum dedicato all’argomento del Pgt sul sito internet del comune www.comune.provagliodiseo.bs.it area «In Piazza», «Il Piano di Governo del Territorio», ulteriore opportunità per trasmettere proposte, formulare quesiti e interagire con gli amministratori.
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giovedì 24 aprile 2008

Le informazioni che il resto del mondo ignora

Lettera al Direttore del Giornale di Brescia, pubblicata mercoledì 23 aprile 2008.




Ringrazio il Giornale di Brescia che mi permette di far conoscere ai suoi lettori la situazione che il territorio del comune di Rodengo Saiano sta vivendo. Un piccolo paese della Franciacorta che sta conoscendo ormai da troppi anni un consumo del territorio fuori da qualsiasi logica di buonsenso ma sicuramente alimentato da ben altri interessi. Ho sempre creduto che prima di cementificare una zona agricola o una qualsiasi area verde, in considerazione del fatto che indietro non si può tornare, fosse necessario un attento programma di sviluppo in funzione delle esigenze della popolazione che sul territorio abita. Evidentemente l’Amministrazione di Rodengo Saiano è in possesso di informazioni che il resto del mondo ignora. In presenza di una dinamica della natalità nazionale (dati avvalorati da molteplici ricerche) che prevede un aumento di popolazione minimo se non addirittura un decremento vorrei tanto sapere a chi pensano di vendere tutte queste abitazioni? Penso che i problemi del territorio di Rodengo Saiano siano ben altri e le indico due esempi: la viabilità visto che il territorio è attraversato da due tangenziali e da una strada provinciale, e la sicurezza come del resto molti comuni della zona. Amareggiato nel vedere un territorio snaturalizzato con le ruspe non mi rimane che sperare che i soldi ricavati vengano utilizzati per fronteggiare i problemi veri.
(Lettera firmata)




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mercoledì 23 aprile 2008

Un aumento di 6.200 abitanti all'anno: che arrivano da fuori

Articolo pubblicato sul Giornale di Brescia di mercoledì 23 aprile 2008. Presentata la ricerca sulle dinamiche demografiche per l’area coperta dalla «rete Cogeme». Ogni anno nasce un nuovo Comune: un municipio "virtuale" da 6mila abitanti, in minoranza italiani.



Un Comune nuovo ogni anno. Una «municipalità virtuale» i cui abitanti (in questo caso assolutamente reali) sono oltre 6.200. Inserito in una macroarea che punta decisa verso i 350mila abitanti. Sono forse questi i risultati più interessanti della ricerca sulle dinamiche demografiche inserita nel più ampio volume denominato «Popolazione e salute», progetto promosso dalla Fondazione Cogeme Onlus.

Come territorio di riferimento sono stati scelti i 69 Comuni appartenenti alla rete di Cogeme, espressione dell’area dell’Ovest Bresciano come di parte del Sebino e della Valcamonica. A cavallo tra le province di Bergamo e Brescia. L’indagine, che prende in considerazione gli aspetti «sociali» del fenomeno demografico, parte dall’attestazione di come, nel quinquennio che va dal 2001 al 2006, la popolazione residente abbia fatto registrare un notevole incremento, passando dalle 311mila alle 342mila unità: un +10% distribuito tra territorio bresciano (con una crescita, nei 50 Comuni targati Cogeme, di 28.126 unità) e bergamasco (19 Comuni con una popolazione aumentata di 3.335 persone).

Numeri a parte, lo studio della Fondazione Cogeme si è sforzato di chiarire al meglio le caratteristiche di questo incremento. Un processo che va non semplicemente letto, ma interpretato. «La residenza - spiega il sociologo Gabriele Ringhini - è un concetto che è diventato pura teoria. Oggi si deve parlare di non residenzialità. Quanto alla popolazione assistiamo ad una crescita costante, frutto di un processo di migrazione domestica». Quello che stupisce è che tale aumento «non va addebitato alla maggiore natalità quanto, semmai, ad un sistema di riproduzione sociale. Ovvero sono nuovi utenti che arrivano da fuori ed aumentano il numero dei residenti».

Tralasciando momentaneamente aspetti come la struttura della popolazione per fasce d’età o per stato civile, è indubbio che un approfondimento di questo tipo non può prescindere dal «nodo stranieri». Attualmente la popolazione totale della rete territoriale Cogeme è composta al 90% da italiani e al 10% da stranieri. Un valore, quest’ultimo, che testimonia un tasso di presenze che è quasi doppio di quello nazionale (dove la media è del 6,2%).

Di fronte a questi numeri diventa quasi obbligatorio porsi di fronte alla questione dell’integrazione. Un concetto che Ringhini invita a rivedere. «Non vorrei che i dati sugli stranieri fossero eccessivamente enfatizzati. Credo infatti che stiano sempre più interiorizzando usi e comportamenti della nostra società. Credo inoltre che, nel giro di cinque-sei anni, il concetto di straniero non esisterà più».

Si arriva così al «nuovo Comune» che ogni anno nascerebbe all’interno della rete Cogeme: un municipio virtuale, come già sottolineato, la cui popolazione ammonterebbe a 6.256 abitanti (la stima sull’aumento annuo dei residenti da qui al 2011), la gran parte straniera. Indicatori importanti con cui gli amministratori del territorio dovranno confrontarsi.
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martedì 22 aprile 2008

I conti dei Sindaci

Stralcio di un articolo di Gianni Trovati pubblicato il 17 marzo 2008 su "Il Sole24Ore".


Due domande: siete in grado di dire se nel corso dell'ultimo mandato la Giunta del vostro Comune ha arricchito o impoverito il vostro patrimonio di cittadini? E quando siete andati a votare per per rinnovarle la fiducia o mandarla a casa, avete scelto anche sulla base degli effetti che le scelte amministrative hanno avuto sulla ricchezza, in senso lato, del Comune?

Se entrambe le risposte sono negative, siete in Italia. E non è colpa vostra. Perchè da noi i bilanci degli Enti Locali, come accade a molti enti pubblici, non si fanno leggere. E anche quei pochi che si buttano nel mare di grafici e tabelle che dovrebbero illustrare i risultati dell'Amministrazione ne escono senza le informazioni che cercavano. Il fatto è che la chiarezza dei conti non è mai stata in cima ai pensieri del legislatore, e non sembra aver occupato troppo nemmeno i pensieri degli amministratori locali. [...]



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sabato 19 aprile 2008

Il pressapochismo? Non paga più

Improvvisazione, superficialità, pressapochismo: questi i tre ingredienti utilizzati dalla Giunta di Passirano nella stesura del nuovo Regolamento della Biblioteca che il Consiglio Comunale doveva approvare nella seduta di giovedì 17 aprile 2008. Ma l'approvazione del Consiglio non è arrivata, perchè la struttura portante del nuovo Regolamento è stata completamente demolita dal Consigliere Martinelli, che con il suo intervento in Consiglio Comunale ha chiaramente evidenziato i molti i difetti del testo proposto dalla Giunta.

L'evidente imbarazzo della maggioranza è continuato per alcuni interminabili minuti, ed ha avuto fine solo quando il Sindaco ha proposto al Consiglio di rinviare l'esame del nuovo Regolamento a data da destinarsi.

A questo punto delle due l'una: o il Regolamento presentato dalla Giunta è frutto di un lavoro serio ed approfondito (ma allora come si spiegano i tanti difetti messi a nudo dal Consigliere di opposizione?), oppure quel testo altro non è che il risultato di un frettoloso ed acritico lavoro di "copia-incolla".


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Nell'articolo di BresciaOggi titolato "Pd, quanti sbagli" pubblicato giovedì 17 aprile 2008 - guarda caso, lo stesso giorno del Consiglio Comunale di Passirano - il deputato del PD Pierangelo Ferrari, tra l'altro, dichiara "... il nord, la parte più moderna e dinamica del paese, non chiede solo un'innovazione di prodotto politico, ma chiede soprattutto un'innovazione di processo e di rappresentanza".

Un'analisi che gli esponenti del PD di Passirano probabilmente non condividono, se, come sembra, il pressapochismo continuerà ad essere l'incontrastato protagonista della politica locale.



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venerdì 18 aprile 2008

La città ha perso la memoria

Stralcio di un articolo di Stefano Boeri pubblicato il 17 aprile 2008 su "La Stampa".



Si apre oggi a Ferrara, e si chiude domenica, la prima edizione di «Cittàterritorio Festival»: quattro giorni d’incontri in cui architetti, storici, urbanisti, economisti, sociologi, studiosi d’estetica si confrontano sulla realtà urbana del terzo millennio. [...]

Per secoli, studiosi di ogni disciplina hanno provato a definire la città ricorrendo a metafore (la città come una macchina, come il corpo umano, come una rete, come un testo..). Hanno anche utilizzato categorie astratte di misurazione: la dimensione, l'estensione, l'altezza, la demografia, l'infrastrutturazione, l'attrattività. Niente da fare. «Città» è un termine che - forse perché comprende noi stessi che cerchiamo di definirlo - è sempre sfuggito ad una definizione apodittica.
Eppure tutti noi, vivendo e attraversando quotidianamente i suoi spazi e i suoi paesaggi, sappiamo bene cosa sia, oggi, una città. Ad esempio sappiamo che a distinguerla dal resto del territorio è soprattutto una densità fisica determinata dalla compressione di costruzioni (edifici, volumi, architetture) in un unico territorio. Ma è anche una densità di infrastrutture. [...]


I nodi di una città rappresentano il punto di coagulo - negli spazi fisici - delle infrastrutture e dei flussi. Ma non solo: i nodi ci aiutano anche a cogliere l'altra fondamentale dimensione dell'urbanità: quella simbolica. Per esistere, oggi più che mai, una città deve costituirsi come un'entità riconoscibile e condivisa per le moltitudini sempre più variegate dei suoi cittadini. Non esiste città senza quella misteriosa alchimia di luoghi, di ricordi intimi, di memorie condivise capace di volare nell'immaginario collettivo e di saldare in una parola o in una sensazione - magari sfuggente - tutte queste cose insieme. [...]


Siamo nel vivo di una formidabile trasformazione delle logiche di evoluzione delle città europee. Nel vivo di una transizione che (per usare una metafora che associa la città ad una lingua) riguarda sia la sintassi che la grammatica dei nostri spazi di vita. Io credo che il modo più efficace per descrivere questa transizione (che ci sta portando verso una nuova condizione urbana, dai confini ancora incerti) sia di usare i concetti di «differenza» e «variazione». La città moderna, nata con la rivoluzione industriale e con le sue infrastrutture, si basa su una sintassi chiarissima che opera per «differenze» tra le parti del grande organismo urbano. Il centro storico medievale è un insieme distinto dall'insieme delle zone costruite durante il Rinascimento. Le aree degli isolati regolari costruiti nel corso dell'800 sono diverse dalle frange della periferia costruita dallo Stato nel dopoguerra; che sono a loro volta diverse dai quartieri di villette che cingono la campagna urbanizzata.

Fino a qualche anno fa, uscendo dal centro verso l'esterno delle nostre città, noi percorrevamo un viaggio nello spazio e nel tempo; dal passato verso il presente. Attraversavamo in sequenza pezzi distinti di città e ogni zona aveva un perimetro chiaro. Ogni parte era omogenea e distinta nettamente dalle altre. E dentro il perimetro di ogni parte omogenea di città, agiva il principio di «variazione»: gli edifici, simili per storia e funzione, variavano tra di loro secondo elementi secondari (altezza, finiture, materiali, arredi esterni…) che però non smentivano il carattere distintivo complessivo della parte urbana.

Differenza tra parti omogenee, variazione tra edifici simili all'interno della stessa parte. Ecco la sintassi della città moderna, che ha assorbito e regolato secoli di evoluzione urbana. Oggi, ma sarebbe meglio dire da qualche decennio, tutto questo è cambiato. La «città per parti» è intaccata, sommersa, contraddetta, da un modo del tutto diverso di crescere della nuova città. La città contemporanea non cresce più per parti omogenee, ma piuttosto per singoli edifici. Migliaia di costruzioni singole, una diversa dall'altra, che occupano nuovi territori e scompigliano le parti consolidate della città moderna.

Se viaggiamo in una porzione nuova di città vediamo scorrere una serie di oggetti eterogenei: la palazzina residenziale, l'autolavaggio, il capannone industriale, il quartiere di villette a schiera, lo svincolo, il centro commerciale, il borgo storico, il call center… monadi solitarie anche se sono accostate e ammassate nello stesso fazzoletto di territorio. E se cerchiamo le somiglianze tra queste edifici, non riusciamo a costruire degli insiemi geograficamente continui (delle parti omogenee) bensì delle costellazioni di edifici sparsi, accumunati dalla stessa radice tipologica (le villette con le villette, i capannoni con i capannoni).

Il punto è che questi due modelli evolutivi - quello della città moderna e quello della città contemporanea - oggi si sovrappongono, confliggono negli stessi spazi. Perché in fondo rappresentano le società urbane che le determinano e coabitano negli stessi spazi. La città contemporanea riflette - anche nelle sue parti più centrali e storiche - la nuova grande energia molecolare che alimenta le società urbane: una moltitudine di soggetti e istituzioni che hanno le risorse giuridiche, economiche e politiche per cambiare piccole porzioni di spazio. E che lo fanno.

Qui sta il senso primo della transizione epocale che stiamo vivendo. Le città italiane, le città europee non sono più la scena di un gioco tra pochi grandi soggetti (i latifondisti, le amministrazioni pubbliche, i potentati politici, le banche, le grandi famiglie industriali…) che governano grandi porzioni omogenee di territorio. Sono diventate il campo di azione di una moltitudine di attori spesso attenti solo al loro piccolo spicchio di spazio, spesso spregiudicati e a volte arroganti, disposti a tutto.

Qui sta uno dei grandi paradossi della contemporaneità: che la democratizzazione delle società urbane sta frammentandolo in tanti sottosistemi lo spazio collettivo delle nostre città. Una società abitata da una moltitudine di minoranze sta costruendosi un territorio a sua immagine e somiglianza.
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giovedì 17 aprile 2008

I compiti del difensore civico

Lettera al Corriere della Sera pubblicata il 17 aprile 2008, con risposta del giornalista che ha scritto l'articolo citato dal lettore.


Ho letto l'articolo dal titolo «Il difensore civico fine di un'illusione» (clicca qui), accompagnato da un catenaccio altrettanto esplicito ed inequivocabile: «Ha perso potere, non tutela più i cittadini». Riteniamo doveroso, avendone per altro avuto specifico mandato dal Coordinamento Regionale dei difensori civici della regione del Veneto che ho il privilegio di presiedere, contestare puntualmente le affermazioni. E' certamente vero che i difensori civici sono, nel nostro Paese, poco conosciuti, ma ciò è dovuto al fatto che, a differenza del resto d'Europa, poco o nulla ha fatto il nostro legislatore per compiutamente istituzionalizzare tale figura, reputandola ovviamente una specie di contropotere. Stante lo stato delle nostre istituzioni ovviamente non può suscitare grande entusiasmo un organo di controllo radicato sul territorio: i tacchini non hanno mai cercato di anticipare il Natale!

L'ironizzare poi sul fatto che non possa essere «il miglior amico del cittadino "in quanto" in molti casi è solo l'ennesima poltrona su cui far accomodare la politica», sono affermazioni che si commentano da sole: qualunquistiche, perché non documentate personalmente o quanto meno statisticamente; infondate, perché posso affermare che nessuno dei difensori civici regionali in carica rientri tra tali categorie, ovviamente diffamatorie per l'intera categoria. Dichiarare inoltre che il difensore civico sarebbe «difensore del potere» è quanto di più falso si possa immaginare, essendo il difensore civico, per sua intrinseca definizione, non il difensore del potere, ma colui che tutela i cittadini «contro il potere», salvo ovviamente un clamoroso quanto difficile tradimento del proprio mandato.

Non corrisponde poi assolutamente al vero che i compiti e i poteri dello stesso «non siano codificati da nessuna parte»; al contrario tutti gli statuti comunali, le leggi regionali, e quelle nazionali definiscono puntualmente gli ambiti, le competenze e i poteri dei difensori civici, alcuni dei quali veramente pregnanti: basti pensare alla garanzia del diritto di accesso agli atti amministrativi, in alternativa al ricorso ai tribunali amministrativi, e l'esercizio dei poteri sostitutivi qualora la pubblica amministrazione non ponga in essere atti obbligatori per legge.

Per concludere, il danno arrecato all'Istituzione che ogni giorno, gratuitamente e tempestivamente, assiste migliaia di cittadini nei loro diuturni e spesso confliggenti rapporti con la pubblica amministrazione, oltre ad essere grave e, per i motivi suddetti, ingiustificabile, svilisce e addirittura rischia di vanificare le risorse e gli sforzi profusi per far conoscere e apprezzare dai naturali fruitori, e cioè i cittadini, una Istituzione che certamente oggi è considerata insostituibile per la tutela e garanzia, non giurisdizionale, dei diritti.
Avv. Vittorio Bottoli, Difensore civico della regione del Veneto.


Certo, ci sono anche difensori civici che fanno il loro dovere e funzionano bene. Ma resta il fatto che sono in pochi a rivolgersi a loro. E che a nominare il controllore è il controllato.
Lorenzo Salvia



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martedì 15 aprile 2008

Il baratto ecologico

Articolo del Giornale di Brescia del 19 marzo 2008. Le proposte di un «baratto ecologico» per invertire la tendenza



Chi più ne ha, più ne spreca. O ne ha sprecato, visto che la ricerca sul consumo del territorio condotta da Legambiente Lombardia e Politecnico di Milano si interrompe al 2004. Una «death line» oltre la quale non è stato possibile andare perché nessuna Amministrazione, ente, associazione, ha commissionato la lettura delle immagini Arpa, scattate dal satellite e capaci di mostrare di anno in anno l’avanzamento del cemento. Quella del confronto fotografico non è ovviamente l’unica via per arrivare alla mappatura completa, ma di fatto i documenti di cui le varie amministrazioni dispongono, permettono solo visioni previsionali.

Quale sia la situazione attuale, dunque, non è dato sapere con certezza. Un fattore questo che, secondo Legambiente risulta «sintomatico» dell’interesse sul tema. «Può essere scomodo porsi domande relative al valore del suolo, da un lato ambientale, paesaggistico ed agricolo, ma allo stesso tempo fonte di rendite speculative connesse alla sua trasformazione in terreno edificabile». Due le proposte concrete che arrivano da Legambiente e dagli studiosi del Dipartimento di Architettura e Pianificazione dell’ateneo milanese.

La prima è la costituzione dell’Osservatorio Nazionale sul Consumo del Suolo, promosso dall’Inu, l’Istituto nazionale di urbanistica la cui attività verrà ufficializzata in occasione del Congresso nazionale Inu del 17-19 aprile ad Ancona. L’istituto avrà come compito quello di monitorare l’onda lunga dell’urbanizzazione a livello nazionale diventando punto di riferimento e confronto per le diverse amministrazioni locali.

Il secondo strumento è di tipo legislativo e viene formulato come un’integrazione alla Legge regionale del 2005 relativa al consumo del suolo. Gli articoli che vengono proposti si riferiscono ad una limitazione del consumo e ad una «compensazione ecologica preventiva». La norma prevede che per ogni tipo di urbanizzazione (escluse le infrastrutture energetiche e idrauliche) si abbia per un mq di superficie oggetto di trasformazione urbanistica una cessione di verde ecologico pari a due mq.

Secondo questa logica le aree da cedere sarebbero la compensazione ecologica dovuta per i consumi di suolo prodotti da realizzare entro il Comune dove si è edificato e andando ad aggiungersi alle aree per servizi pubblici o di interesse pubblico così come previste dal piano dei servizi.



sabato 12 aprile 2008

La tutela degli interessi dei cittadini

Consiglio Comunale del 29.11.2007. Oggetto: Adozione Piano di Recupero in variante al Prg, ai sensi dell'art. 25 della L.R. 12/2005 e dell’art. 2 della L.R. 23/1997.


Il Consiglio Comunale udita la relazione introduttiva dell’Assessore Boniotti, che illustra il Piano di Recupero e le opportunità derivanti dal convenzionamento con l’operatore privato; (omissis)

Uditi gli interventi dei consiglieri comunali, di seguito succintamente riportati:
- Consigliere Martinelli, che riferendo che la Società che ha presentato l’istanza ha già dato avvio all’intervento di recupero, domanda quale sia il ruolo del Consiglio Comunale se i richiedenti hanno già la concessione;

- Assessore Boniotti, che spiega che i richiedenti hanno utilizzato lo strumento della manutenzione straordinaria per alcuni interventi, mentre hanno attivato il Piano di Recupero per il convenzionamento e la contrattazione sulle monetizzazioni;

- Consigliere Barucco, che chiede se è stata presentata una DIA. Fa presente che le Norme Tecniche di Attuazione fanno preciso obbligo del Piano di Recupero in determinati casi. Ritiene grave che ci sia una DIA difforme dalle NTA ed esprime dubbi che quello attivato sia un intervento di manutenzione straordinaria;

- Assessore Boniotti, che fa presente che la L.R. 12/2005 codifica gli interventi e quello posto in essere rientra nelle codifiche regionali. Il dubbio è legittimo in quanto la L.R. 12/2005 ha previsioni in parte diverse dal DPR 380/2001 nazionale;

- Consigliere Barucco, che ritiene che il risultato della contrattazione, che porta al Comune di Passirano € 62.000,00 oltre gli oneri concessori, non sia proporzionata all’edificazione che viene consentita. Ritiene che il Piano di Recupero sia da respingere perché non fa gli interessi dei cittadini del Comune di Passirano. Dà lettura di un intervento che chiede di allegare;

- Assessore Boniotti, che replica che gli interessi dei cittadini di Passirano sono tutelati dall’ottenimento di un’opera pubblica che giudica non di poco conto. Sul valore di mercato concorda con il Consigliere Barucco, ma precisa che l’Amministrazione Comunale deve muoversi a seconda degli strumenti attuativi che ha a disposizione e che il Piano consente. Il valore al metro cubo citato dal Consigliere Barucco viene preso in considerazione in forma diversa di programmazione negoziata. Sottolinea che nel caso in esame ci si trova però di fronte ad uno strumento urbanistico diverso, ovvero un Piano di Recupero e che la cifra che viene convenzionata, pari a 22.000,00 €, è stata calcolata in funzione del numero teorico degli abitanti. L’Assessore ritiene che siano stati sfruttati al meglio gli strumenti a disposizione in modo da ottenere un beneficio per la comunità, a maggior ragione pensando che è un’unica unità abitativa;

- Consigliere Barucco, che si dichiara non soddisfatto della risposta ottenuta dall’Assessore.

Visti i pareri favorevoli espressi dal responsabile del servizio per la regolarità tecnica e dal responsabile del servizio finanziario per la regolarità contabile;
Con voti favorevoli n. 11, contrari n. 3 (Martinelli, Turra e Barucco) e astenuti n. 2 (Mingardi e Pagnoni E.), legalmente resi da n. 14 consiglieri votanti, su n. 16 presenti, espressi dagli aventi diritto nei modi di legge e verificati dal presidente che ne proclama il risultato

Delibera

1)Di approvare la premessa narrativa quale parte integrante della presente deliberazione;
2)Di adottare il Piano di Recupero (P.R.) afferente il fabbricato contraddistinto nel vigente P.R.G. in zona centro storico (omissis)
6)Di incaricare il Responsabile dell’Area Tecnica per l’esecuzione della presente deliberazione ed assunzione dei relativi adempimenti conseguenti agli artt. 6 e 7 L.R. 23/97 e L.R. 12/’05 in materia di procedimenti di adozione e approvazione dei piani attuativi.
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venerdì 11 aprile 2008

La parola discriminante è sostenibilità

Lettera la Direttore del Giornale di Brescia, pubblicata il 19 marzo 2998. «Si fa presto a dire Bassa, meno a fare qualcosa per questa terra».


Vorrei portare un piccolo contributo sulla discussione in atto sulla nostra terra la Bassa Bresciana, perché certamente, si fa presto a dire Bassa, meno presto si riesce a fare qualcosa per la Bassa. Ma cos’è oggi la Bassa, un paesaggio? Un ricordo? Un luogo dell’anima? Un pensiero? Una zona agricola? Una zona industriale? Forse, la Bassa è un po’ di tutto questo, è il risultato di una serie di operazioni non pensate, non programmate, non controllate, che qualcuno dice abbiano creato valore economico, posti di lavoro, altri dicono abbiano danneggiato irrimediabilmente un paesaggio, un territorio.

Certamente nella vita è difficile essere dei puri, non impossibile, ma molto difficile, bisogna essere quindi realisti. Sicuramente anche la Bassa non poteva rimanere «fuori tempo», fuori dalle modifiche richieste dall’economia, ma sicuramente poteva rimanere nel suo ambito, nella sua vocazione e la vocazione di questa terra è una vocazione agricola. La storia economica di oggi, attualissima del 2008, dimostra che le aziende agricole, che si sono attrezzate, che hanno investito sui giovani, ancora sulla famiglia, propongono dati economici positivi.

Poi, verso questa terra siamo tutti dei peccatori, chi non lo è scagli la prima pietra. Verso il nostro territorio, verso il nostro paesaggio, tutti abbiamo commesso delle scelte sbagliate. È però altrettanto vero, e l’esperienza della Fondazione del Castello di Padernello, della Fondazione della Pianura Bresciana di Cigole, la Fondazione del Dominato Leonense di Leno dimostrano che sono possibili scelte alternative, diverse, difficili, ma possibili. Queste scelte dicono anche che il pubblico e privato possono lavorare insieme e farlo bene.

Ci sono scelte che parlano di cultura, di storia, di natura, di ambiente, di turismo locale e che queste scelte possono fare economia, lenta difficoltosa, ma economia. Ci sono scelte che parlano di seminare colture diverse dal mais, in questa nostra terra assetata d’acqua, è possibile trovare delle soluzioni diverse, così come insegnano e dimostrano la semina del monococco e del farro. Le scelte effettuate hanno fatto lavorare insieme diverse realtà, diverse associazioni, che ora operano tutte per un obiettivo comune, hanno trasformato un problema in una opportunità. Questo poteva essere un buon metodo per lavorare insieme per la nostra Bassa. Ma sicuramente il valore aggiunto che la Fondazione di Padernello ha mostrato è quello del metodo «del pensare e del fare».

Abbinare al pensiero il fare, rimboccarsi le maniche e fare, percorrere la strada intrapresa con coerenza, con convinzione, con impegno, con entusiasmo, con forza. Io credo che pur fortemente lacerata questa nostra Bassa abbia ancora un futuro, ma l’avrà solo se riusciremo a fare delle scelte diverse, pensate, valutate, perché la nostra terra ha in sé tutti i pregi, tutti i valori, tutti i doni di un paesaggio ancora affascinante. - E allora la parola chiave, la parola «discriminante» è sostenibilità. Da una parte tutti gli operatori economici dovranno pesare e valutare quale impatto abbiano le scelte operative sul nostro territorio, se siano cioè sostenibili, sostenibili dal nostro paesaggio, dalla nostra terra, dall’altro chi effettua immediatamente scelte diverse, alternative dovrà dimostrare che le stesse diano una sostenibilità economica, che possano essere una reale alternativa alle operazioni sino ad oggi effettuate.

Allora, forse solo così, facendo delle scelte consapevoli, meditate, potremo tornare ad avere un paesaggio che è un dono, che se avrà voglia potrà donarci ancora una volta un’ancora di salvezza. Mettiamocelo bene in testa, noi non salviamo nessun territorio, nessuna terra, è lei che ci salva. - Ed allora è vero che la forza delle idee è una forza irrefrenabile, mettiamola in campo, mettiamo in gioco nuove idee, nuovi progetti, veri, sostenibili, perché l’esempio è contagioso. Cominciamo ad esempio con rimettere tante piante, non solo tagliarle.

E mi piace terminare con una frase che il prof. Quaresmini cita spesso: «Se il sogno viene fatto da una sola persona rimane tale, ma se molte persone fanno lo stesso sogno, c’è buona probabilità che si realizzi». - Allora forse, può darsi che questa nostra «Bassa» ci dia ancora una possibilità di salvezza.

(Domenico Pedroni - Vice presidente della Fondazione Castello di Padernello, Borgo San Giacomo)





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giovedì 10 aprile 2008

L'accanimento della distruzione

Lettera al Direttore pubblicata lunedì 31 marzo 2008 su BresciaOggi.



«Italia Nostra» ha dedicato il numero 431 del proprio mensile al dossier «L’agonia dei laghi. Inquinamento, acque basse, cementificazione e tutto il resto». Il Garda è ben presente. Ne scrivono Vittorio Messori, Cesare Lievi, Giovanni Martinelli, Guido Franz e Gabriele Lovisetto, Giovanni Zenucchini, Cristina Milani. I testi fotografano una situazione ben nota; soprattutto Franz e Lovisetto passano in rassegna gli ecomostri, da quelli di Moniga alla strada abusiva su una collina di Manerba, alle deturpazioni del porto di Dusano; mentre Cristina Milani ricorda la scandalosa storia dell’Hotel Benaco. Naturalmente ci sarebbe anche altro da denunciare, vale a dire quanto sta ancora accadendo a Salò, Gardone Riviera, Toscolano, Gargnano.

Il saggio del soprintendente Luca Rinaldi fa poi il punto sotto il profilo legislativo segnalando le carenze della Regione Lombardia. C’è pure una nota della vicepresidente nazionale, la bresciana Rossana Bettinelli, architetto che a Gardone Riviera è stata nella Commissione edilizia dal settembre 1999 all’ottobre 2003! Desidero soffermarmi sull’articolo di Vittorio Messori, giornalista e storico ben noto, grande firma del mondo cattolico con forte presenza sul “Corriere della Sera”. Messori ricorda di aver scelto con la moglie, quindici anni fa, di lasciare Milano per trasferirsi a Desenzano e di aver visto in questi tre lustri cambiamenti paesaggistici che sono causa di sofferenza nel «constatare quanto diffusa e pervicace sia l'insipienza umana, quanto lontano possa giungere la stupidità».

E aggiunge: «Mese dopo mese, anno dopo anno, ciò che vediamo è l'accanimento nel distruggere un capitale unico e irripetibile, quello di un territorio che ha assicurato per millenni vita e benessere con i suoi frutti e poi, a partire dal Settecento con la sua bellezza», pur non essendo incluso nel classico Grand Tour. Afferma che la sua formazione di storico lo porta «ad amare i paesaggi plasmati dal lavoro dei secoli», di esecrare «l’astrattezza degli schemi ideologici», di non «detestare il turismo». Ma, dai molti viaggi in Europa, ha imparato «che lo sfruttamento turistico del territorio è possibile soltanto se non significa una distruzione che qui, sul Garda, si direbbe masochistica, tanto è inutile e idiota.

Le due litoranee gardesane, l’orientale e l’occidentale, presentano ormai uno scenario ininterrotto degno di un hinterland metropolitano, con uno spreco agghiacciante. Uno dei territori più belli e, dunque, più preziosi d’Europa, distrutto non per edifici di pregio o, almeno, a servizio di un’ospitalità di classe, bensì per capannoni commerciali in cemento armato, industrie estensive, depositi di sfasciacarrozze, distributori di benzina, rimesse di autocarri, esposizioni di mobili, baracche da cocomerai. Il tutto, fiancheggiato da una serie confusa e variopinta di cartelli sgangherati, di insegne invadenti, di targhe fatte in casa.

Dietro a questa “linea dell’orrore”, sulle colline, vigne e oliveti sradicati, prati fioriti distrutti, terrazzamenti antichi spianati, rii tappati non per far posto a “hotels de charme” o a ville con parco, ma alle conigliere in serie per i quindici giorni di ferie di tedeschi, di olandesi, di cremonesi e mantovani. Gente, tra l’altro, che si porta da casa anche le casse di minerale e che qui – per il soggiorno di un paio di settimane all’anno – non lascia soldi ma soltanto rifiuti.

Sul lago, poi, colate di cemento per costruire moli e rimesse per i gommoni e le barchette in plastica (rigorosamente con scoppiettante e fumoso motore) per i fuggevoli ospiti delle conigliere sullodate». E conclude: «L’indignazione per tanto massacro è vinta dallo sbalordimento. Che cosa spinge persone ragionevoli, come si immagina siano in genere sindaci e assessori, a permettere, magari a favorire, la dissipazione sistematica, a freddo, di quell’oro verde-blu costituito dal loro territorio?». Ben lo sa Messori: la divinità che si chiama denaro.




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mercoledì 9 aprile 2008

Il Comune di Passirano giudicato dai cittadini

Articolo del Giornale di Brescia dell'8.4.2008.


Dopo l’esperienza provagliese, anche Passirano propone un «questionario di valutazione sul grado di soddisfazione degli utenti». Tramite una sorta di pagella, tutti i cittadini hanno la possibilità di giudicare l’efficienza e l’adeguatezza dei servizi offerti dagli uffici comunali. «Come nel privato, anche nel pubblico è importante offrire un servizio adeguato e soddisfacente, in grado di venire incontro ai cittadini» ha spiegato il sindaco Daniela Gerardini.

A partire da aprile, compilando in forma anonima il questionario, i cittadini potranno rispondere a domande circa la professionalità, la cortesia e la disponibilità del personale e la chiarezza delle informazioni ricevute. Verranno poi sottoposti al giudizio degli abitanti di Passirano la disponibilità del materiale informativo sulle iniziative del Comune relativamente ai servizi offerti dall’ufficio, l’adeguatezza dell’orario di apertura degli sportelli e la facilità di accesso; sarà inoltre possibile segnalare disservizi o eventuali suggerimenti. Il questionario prevede diversi gradi di voti che, come a scuola, andranno dall’insufficiente all’eccellente.

«È importante conoscere, al di là dei singoli giudizi o delle lamentele, l’effettivo grado di soddisfazione dei cittadini, per eventualmente migliorare i servizi, modificare gli orari di apertura degli sportelli o semplificare certe operazioni. L’iniziativa, la prima nel suo genere a Passirano, è stata accolta positivamente dal personale degli uffici che, rivestendo un compito di responsabilità, si sono dimostrati interessati all’occasione di un feed-back da parte dei cittadini utenti».
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martedì 8 aprile 2008

Il difensore civico. La fine di un'illusione

Articolo del Corriere della Sera pubblicato il 4 aprile 2008. Ha perso potere, non tutela più i cittadini.



Potrebbe essere il miglior amico del cittadino. Un po' consigliere, un po' moderno tribuno della plebe: un aiuto nella quotidiana lotta contro anagrafe, asl, provveditorato, e tutte le magagne di una pubblica amministrazione lenta, distratta e borbonica. E invece i difensori civici non li conosce quasi nessuno: 600 in tutta Italia, un piccolo esercito semiclandestino. Forse perché nel viaggio che dal nord Europa lo ha portato fino in Italia il difensore civico ha cambiato faccia. Altro che miglior amico del cittadino. In molti casi è solo l'ennesima poltrona su cui far accomodare la politica, una sala d'attesa per onorevoli trombati, una casella per far quadrare i conti nel pallottoliere della lottizzazione.

Scelto dalla politica, parte integrante della burocrazia. Difensore del potere, delle sue logiche non sempre logiche ma non di chi le subisce. E allora nessuna sorpresa se pochi sanno che esistono e pochissimi si rivolgono ai loro uffici.Invenzione svedese di inizio '800, il difensore civico è arrivato in Italia nel 1974, in Lazio, Liguria e Toscana. Oggi c'è in più di 500 Comuni, su totale di 8 mila, in quasi tutte le province che sono un centinaio, e nella maggioranza delle Regioni con l'eccezione della Sicilia, che non ci pensa proprio, e poi di Calabria, Puglia e Molise che l'hanno previsto nello statuto ma non l'hanno mai nominato.

Servono a qualcosa? I loro compiti e poteri non sono codificati da nessuna parte, e questo è già un primo problema. Possono avere una funzione di stimolo della pubblica amministrazione: chiedono informazioni a tutti gli uffici, che sono tenuti a rispondere entro 30 giorni, anche se molti sforano (non c'è sanzione) oppure si tengono sul vago. Possono richiamare i funzionari che hanno sbagliato con i decreti di cattiva amministrazione che però sono una vera rarità. Ma il loro campo d'azione non si ferma ai singoli casi e può arrivare a cambiare anche le regole. Il divieto di usare i cellulari nelle corsie degli ospedali, la comunicazione preventiva di bocciatura che le scuole fanno prima della pubblicazione dei quadri: sono piccole novità introdotte proprio dopo una loro segnalazione.

Eppure a guardare i dati sulle pratiche aperte dai loro uffici, il bilancio è quello di un fallimento. Solo 281 richieste presentate in un anno al difensore civico della Regione Campania, 318 nel Lazio. Meno di una al giorno, meno di una ogni 200 mila abitanti. E se al Nord i numeri salgono un po', la sostanza non cambia. Anche a Varese, città in cima alla classifica generale, il rapporto tra numero di domande presentate e numero di abitanti si ferma ad un misero 0,58%. È vero, non c'è bisogno di una segnalazione formale e quindi non tutta la loro attività lascia tracce in queste tabelle: basta una telefonata, una mail, il difensore può muoversi anche d'ufficio magari sulla base di un articolo di giornale.

Ma ha senso mantenere in piedi strutture del genere — con un compenso che può arrivare fino a 100 mila euro lordi l'anno nelle città più grandi — se questo è l'impatto che hanno sulla vita di tutti i giorni? «In effetti — spiega Giuseppe Fortunato, presidente dell'Associazione nazionale difensori civici, e componente del garante per la privacy — non abbiamo avuto il successo sperato. E ormai siamo arrivati ad un bivio, o si cambia o si muore». I problemi sono due, secondo Fortunato: «In molti casi il difensore civico non viene considerato autonomo dal potere politico e quindi il cittadino non si fida ».

Sospetto fondato, basta vedere come viene nominato. Quasi sempre a sceglierlo è il parlamento locale: il consiglio regionale per il difensore regionale, il consiglio provinciale per il difensore provinciale, e così via. Non viene richiesto un titolo specifico ma una generica «competenza giuridica». Sono pochissimi i casi in cui viene scelto in base ad una graduatoria per titoli. E le conseguenze le riconosce lo stesso Fortunato. «Molto spesso il difensore civico finisce per avere un atteggiamento troppo vicino alla pubblica amministrazione e al potere politico. E allora tanto vale nominarlo assessore, magari alla trasparenza, ma non prendiamo in giro la gente. Credo che sui 600 difensori italiani non più di un centinaio interpretino in modo corretto il loro ruolo. Buona parte degli altri finiscono per essere schiavetti del potere».

E se lo dice lui, che li rappresenta, c'è da credergli. Ricca di piccoli difensori locali, l'Italia è l'unico Paese tra i 25 dell'Unione europea a non averne uno nazionale. Più di 400 associazioni — da quelle dei consumatori agli ambientalisti — hanno firmato un appello al Parlamento per chiederne l'istituzione. Si tratta solo di aggiungere un altro posto a tavola? «No — risponde Fortunato — sarebbe un salto di qualità, riusciremmo a diffondere la cultura civica nel nostro Paese». Ecco, la cultura civica.

La leggenda racconta che l'idea del difensore civico mosse i primi passi in Svezia all'inizio del '600 dopo il naufragio del Vasa. Il vascello andò a fondo appena fuori dal porto di Stoccolma perché il re Gustavo non aveva ascoltato i consigli dei progettisti e fece piazzare a bordo troppi cannoni, addirittura 64. Anche il re sbaglia, capirono gli svedesi: l'autorità non è assoluta, può essere messa in discussione. Quattrocento anni dopo gli effetti si vedono. Nel 2006 Lars Danielsson, braccio destro del premier svedese, si è dimesso perché il difensore civico nazionale ha criticato il suo comportamento durante i soccorsi per lo tsunami in Asia. Da noi? Immaginiamo (perché non accade quasi mai) che un difensore richiami un dipendente pubblico: l'unico risultato sarebbe una risata con i colleghi al bar.


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lunedì 7 aprile 2008

La cantina? Rispetti l'ambiente

Articolo del Giornale di Brescia pubblicato il 4 aprile 2008



La cantina del futuro dovrà essere ecologicamente corretta, per i consumatori attenti che richiedono la patente ambientale anche ai produttori di vino, affinchè rispettino l’ambiente e assicurino uno sviluppo sostenibile del territorio. Per seguire questa tendenza rilevata da Winenews è nato il decalogo per la perfetta cantina ecologica, tema di dibattito anche a Vinitaly.

Si parte dalla struttura che deve seguire i dettami della bio-architettura, con cantine interrate o con speciali prese d’aria che consentono un sistema di ventilazione naturale e per diminuire l’impatto acustico devono prevedere l’insonorizzazione delle zone di lavoro. I viticoltori ecologicamente corretti devono praticare la viticoltura biologica o biodinamica senza elaborazioni chimiche o manipolazioni genetiche, né Ogm, fertilizzanti o pesticidi chimici di sintesi. Attraverso l’inerbimento si devono impegnare per la riqualificazione del territorio e devono ridurre i consumi idrici mediante irrigazione a goccia, utilizzando energie rinnovabili come sole e le biomasse per produrre direttamente in casa l’energia da re-impiegare nelle aziende, con pannelli fotovoltaici e impianti termici.

Da perseguire anche il risparmio idrico, con sistemi di raccolta e conservazione delle acque, la riduzione delle emissioni e l’inquinamento dell’aria e dell’acqua con un fitodepuratore o con un depuratore biologico a fanghi attivi e la raccolta differenziata, passando per una corretta comunicazione a dipendenti, fornitori e clienti circa il proprio impegno ambientale e dotandosi di certificazione ambientale.



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sabato 5 aprile 2008

Il disinteresse

Articolo di Federico Guiglia pubblicato su BresciaOggi del 4 aprile 2008.




Il pasticcio risolto dell’ipotizzato rinvio delle elezioni per consentire l’ammissione dell’ormai soprannominata «Dc di Pizza» aveva un suo fondamento almeno psicologico: questo voto politico è talmente poco «sentito» dagli italiani da aver reso per qualche ora non assurda la prospettiva, pur incostituzionale alla radice, di poterlo addirittura spostare. Restano appena otto giorni, oggi compreso, di campagna elettorale: eppure, l’Italia non s’è ancora scaldata per palazzo Chigi.

I cittadini sembrano più rassegnati che entusiasmati per l’appuntamento che inciderà sulle loro vite nei prossimi cinque anni. Alla diffusa apatia, o forse al ragionevole disincanto, contribuisce in gran parte la delusione provata negli ultimi anni per il Palazzo. Sarebbe arduo trovare oggi, tra gli elettori del centro-destra, schiere di nostalgici per i cinque anni del già sperimentato governo-Berlusconi. Così come risulterebbe difficile scovare, tra gli elettori del centro-sinistra, amanti inconsolabili dei diciotto mesi d’esecutivo-Prodi. Senza pianti né rimpianti, i cittadini si avviano al voto privi, oltretutto, della possibilità di sciogliere almeno una parte dei dubbi per l’incredibile mancanza di scontri televisivi diretti tra i due maggiori contendenti. Di più: le partecipazioni dei politici alle tribune registrano ascolti deludenti.

Il sentimento dell’anti-politica questo ha prodotto, che gli italiani non intendono più illudersi di niente né per nessuno. Neanche quegli italiani, moltissimi, che confermeranno le loro preferenze di sempre. Ma lo scarso coinvolgimento non è l’unica e visibile conseguenza della fine delle illusioni. Qui si rischia anche un insolito e non quantificabile fenomeno di astensione nei giorni 13 e 14 aprile. Elettori assenti per indifferenza o per indignazione. D’accordo, sempre paventiamo l’astensione e sempre veniamo smentiti. Nessun popolo d’Europa né d’America va così in massa a votare come il saggio popolo italiano. Tutto lascia supporre che il malumore non rovinerà la bella tradizione elettorale. Però stavolta ci sono persone, e non ininfluenti come Beppe Grillo, e con argomenti forti, le quali teorizzano l’astensione come forma di civile protesta.


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venerdì 4 aprile 2008

Elettori come bonzi

Articolo di Beppe Severgnini pubblicato sul Corriere della Sera il 3 aprile 2008.



Mi auguro che l'ammissione della «Lista Pizza» non obblighi a rinviare le elezioni politiche italiane. I vignettisti del pianeta si divertirebbero come pazzi, e ne avrebbero motivo.Non solo. La campagna elettorale è stata talmente soporifera che non riusciremmo a mantenerci civicamente svegli per altri venti giorni: nelle piazze dovrebbero portare cuscini e coperte. Alcuni commentatori hanno notato la mollezza languida; altri hanno sottolineato lo scarso interesse di questa strana vigilia. Non si eccita neppure Bruno Vespa. Sono i Giorni del Grande Sbadiglio. Qualche novità, però, s'è intravista. Sono emerse nuove categorie in tempi brevi; e questo, considerata la velocità moviolistica della politica italiana, è una novità.

I bonzelettori (o votanti atarassici). Voteranno per dovere, per abitudine o per antipatia verso l'alternativa: ma hanno rinunciato a ogni illusione. Non conoscono i programmi e non chiedono coerenza. Casini dice che Berlusconi è «un pericolo pubblico sulle tasse» dopo essere stato con lui per 15 anni? Boselli spara a zero sugli ex compagni di coalizione? Guzzanti e Dini insieme in lista dopo essersi scannati su Telekom Serbia? Eh, va be'.

I bonzeletti (o candidati gratificati). Sono in buona posizione nelle liste (bloccate), e si preparano a entrare in Parlamento. Di fatto non verranno eletti: sono stati nominati. Si godono la campagna elettorale come gli attori di Hollywood si godono il tappeto rosso nella notte degli Oscar: con la differenza che là, almeno, qualcuno perde. Il candidato, un tempo, mostrava un ovvio nervosismo, un'incertezza che lo rendeva umano. Non più: ha conquistato la sicumera dell'onorevole prima di diventarlo.

I prestigiatori. L'abilità con cui i leader hanno fatto sparire la concorrenza interna, a costo di rinunciare ad alleati preziosi, è stupefacente. Penso a Illy (Trieste), Chiamparino (Torino), Penati (Milano), Cofferati (Bologna): chi li ha visti? Ho incontrato a Cagliari Renato Soru, che mi ha assicurato d'essere felice per come viene utilizzato in Sardegna da Walter Veltroni. Se mi avesse detto di voler nominare Flavio Briatore assessore al turismo, gli avrei creduto di più.

I guelfurbi. Se le flessioni di fronte alla Chiesa fossero uno sport olimpico, l'Italia potrebbe ritenersi già sul podio. Questi servilismi, oltretutto, non sono richiesti; mi chiedo se siano graditi. I guelfurbi (guelfi + furbi) non hanno la brusca fermezza degli antichi precedessori. Sono opportunisti spirituali. Applaudono la guerra, e difendono la vita. Bazzicano donnine, e s'atteggiano a paladini della famiglia. Mentono, e sventolano i comandamenti. Entrano in chiesa, ma solo se ci sono i fotografi. I guelfurbi sono in aumento, e la faccenda si sta facendo irritante.




giovedì 3 aprile 2008

A Brescia città cementati 70 campi di calcio all'anno

Articolo del Giornale di Brescia del 19 marzo 2008.




Brescia contro i Comuni di prima fascia. La scorpacciata di suolo finisce 70 campi di calcio contro 150. In un anno, secondo i dati forniti dalla ricerca del Politecnico di Milano, il territorio del Comune di Brescia urbanizza 37 ettari l’anno, Milano ne conta 61, mentre complessivamente Flero, Rezzato, Concesio, Borgosatollo, Cellatica, Roncadelle, Gussago, Castel Mella, Botticino, Collebeato, Castenedolo, Bovezzo, Nave e San Zeno, totalizza 75 ettari l’anno. «La cosa di cui si deve tenere conto è che il suolo che si va a consumare - dice Paolo Pileri, docente del Politecnico - è che si tratta, per il 90% di aree libere, ovvero prati, vegetazione naturale, campi, piccoli boschetti, un avanzamento di urbanizzazione dunque che procede solo in minima parte recuperando zone dismesse.

È chiaro che i dati che possediamo si bloccano al 2004, ma non ci sembra così peregrino ipotizzare il processo non si sia bloccato, anzi». «Sì, è un peccato che la ricerca si blocchi proprio nell’anno in cui è entrato in vigore il Piano Territoriale di Coordinamento - commenta l’assessore provinciale al Territorio, Francesco Mazzoli -. Il dato è indubbiamente preoccupante e il risultato si evince anche dalla documentazione che ci forniscono i Comuni, gli enti che più hanno il polso della situazione. Sul tema comunque c’è un grande interessamento perché si ha la consapevolezza che il consumo di suolo è un fattore che deve essere monitorato e controllato, la parola d’ordine da qui un avanti deve essere ’’pianificazione’’, consapevoli che esistono più strumenti per arrivare ad una gestione migliore del territorio».
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mercoledì 2 aprile 2008

Le risposte complesse

Una mozione può trasformarsi in comunicazione? Una comunicazione può diventare nota? Una nota può essere alternativamente nota, appunto, ma anche osservazione? E, ancora, un'osservazione può tramutarsi, a sua volta, in mozione?



14 maggio 2007 - 345 cittadini sottoscrivono una mozione sul Piano Paesistico
A maggio 2007 viene presentata al Comune di Passirano una mozione sottoscritta da 345 cittadini. La mozione - che naturalmente la Segreteria del Comune di Passirano protocolla come tale - richiede all’Amministrazione una maggior tutela paesistica del territorio. Ricordiamo che il comma 5 dell'art. 54 dello Statuto del Comune di Passirano prevede che "... queste inizative devono essere esaminate dal competente organo entro 30 giorni dalla data della loro presentazione, e che la procedura di mozione si deve chiudere in ogni caso con un parere espresso".


7 luglio 2007 - Per il Sindaco la mozione è una comunicazione
Con lettera inviata dal Sindaco di Passirano al Direttore del Giornale di Brescia, pubblicata il 7 luglio 2007 (per leggerla clicca qui), i cittadini vengono informati che "In data 14 maggio, giorno precedente lo svolgimento del Consiglio Comunale, perveniva al protocollo del Comune la comunicazione citata dal Comitato sottoscritta da 345 cittadini". [...]
A questo proposito, già nel nostro post del 7 luglio 2007 "La risposta-non risposta viaggia con 50 giorni di ritardo" (per leggerlo clicca qui) sottolineavamo che "... non si tratta di una comunicazione, come scritto nella lettera al Direttore del Giornale di Brescia, ma di una mozione".


20 luglio 2007 - La mozione non è più comunicazione. E' diventata nota e, immediatamente dopo, osservazione. Di seguito riportiamo uno stralcio della lettera inviata dal Sindaco di Passirano a tutti i firmatari della mozione del 14.5.2007 di modifica del Piano Paesistico Comunale. La lettera inizia così: "Facendo seguito alla Vostra nota dell’11.5.2007, pervenuta al protocollo comunale in data 14.5.2007 n° 3723, con la quale si chiedeva un innalzamento delle classi di sensibilità paesistica [...] è stata comunque accolta dalla Giunta Comunale e considerata a tutti gli effetti come prima osservazione effettiva al Piano Paesistico Comunale attualmente in adozione".


22 febbraio 2008 - L'osservazione si è trasformata in mozione
La mozione diventa ... mozione. Tant'è che a pagina 3 del documento che contiene le controdeduzioni alle osservazioni presentate al Piano Paesitico, votate in Consiglio Comunale il 22 febbraio 2008, si scrive testualmente: "Facendo seguito alla mozione firmata da 345 cittadini elettori presentata il 14.5.2007 prot. n° 4953" [...].
Durante il Consiglio Comunale del 22 febbraio 2008, inoltre, prima che i Consiglieri procedessero alla votazione delle osservazioni, l'Assessore alla Pubblica Istruzione ha dato lettura di un suo documento. Eccone uno stralcio: "Soffermandosi sulla mozione presentata dai 345 cittadini di Monterotondo con la quale si richiedeva l’innalzamento delle classi di sensibilità in una precisa articolazione del territorio [...]".



Scusate, ma arrivati a questo punto, i cittadini a chi devono credere? Al Sindaco che scrive al Giornale di Brescia che "... a maggio 2007 perveniva al protocollo del Comune la comunicazione del Comitato sottoscritta da 345 cittadini", o al suo Assessore che smentisce il Sindaco durante un Consiglio Comunale?

E, soprattutto, siamo certi che il balletto delle definizioni non sia stato messo in scena per cercare di evitare quel che il comma 5 dell'art. 54 dello Statuto del Comune di Passirano prevede espressamente? E cioè "... che queste inizative devono essere esaminate dal competente organo entro 30 giorni dalla data della loro presentazione, e che la procedura di mozione si deve chiudere in ogni caso con un parere espresso"?

Qualcuno ha detto che la politica deve essere in grado di dare risposte semplici a problemi complessi. A Passirano, invece, le cose funzionano ... al contrario. Come mai?



martedì 1 aprile 2008

L'incontrollato consumo di territorio

Lettera al Direttore del Giornale di Brescia - inviata dal Sindaco di Collebeato, Giovanni Marelli - pubblicata il 1° aprile 2008.





Il Giornale di Brescia del 19 marzo scorso dedica quasi un’intera pagina al tema dell’incontrollato consumo di suolo che sta rapidamente depauperando la nostra regione, ed in particolare la nostra provincia, di una risorsa già scarsa, indispensabile peraltro alla riproduzione stessa della vita. Ritengo assolutamente meritorio da parte del giornale porre all’attenzione del pubblico un argomento cruciale ma purtroppo assai trascurato: non mi pare che, ad esempio, le forze politiche in competizione per le prossime elezioni, nazionali e locali, ne abbiano fatto oggetto di approfondimento e dibattito, e tanto meno di proposta.

Proviamo a farlo noi, dal nostro piccolo osservatorio. Innanzitutto, i dati, che sono impressionanti: tra il 1999 ed il 2004 l’espansione urbanistica ha consumato circa 1.000 ettari di terreno l’anno nella sola provincia di Brescia. In cinque anni si tratta di circa 5.000 ettari, cioè 50 chilometri quadrati, un’estensione pari a dieci volte la superficie del mio comune. Ripeto, in soli 5 anni. Se consideriamo che la superficie dell’intera provincia è di circa 4.700 kmq, e che oltre la metà è costituita da montagne, laghi ecc, lo spazio fisico sul quale, di fatto, si sviluppano le attività umane divoratrici di suolo può essere stimato in 2.000 kmq circa, in parte già urbanizzati.

Ne consegue che nell’arco di alcune decine di anni, se i ritmi di crescita rimangono questi, avremo consumato pressoché tutto il territorio disponibile. Non solo la Franciacorta o la Valtenesi, ma anche la Bassa, apparentemente sconfinata, si presenterà come un’unica grande conurbazione, intervallata qua e là dagli ultimi stentati campicelli. Purtroppo non è lo scenario di un film horror, è la prevedibile probabilissima evoluzione di una realtà che abbiamo già sotto gli occhi. Il meccanismo è analogo a quello già visto su altri fronti del degrado ambientale: l’effetto serra sta cambiando il clima, ma nessuno pare in grado di diminuire sul serio le emissioni, che continuano a crescere. La foresta dell’Amazzonia si riduce anno dopo anno, ma passato lo sconcerto momentaneo si continua come prima.

Anche nel caso del consumo del suolo, al lodevole impegno degli esperti che elaborano i dati e di Legambiente che denuncia il fenomeno, potranno seguire convegni dove amministratori e urbanisti si affanneranno a sottolineare un problema di cui essi stessi sono almeno una delle cause. Parrebbe quindi non esserci soluzione, se non l’adattamento della specie a sopravvivere in un ambiente completamente artificiale, ricoperto di case, capannoni, centri commerciali ecc. I prodotti agricoli necessari alla sopravvivenza possiamo sempre comprarli in Cina o in India come già in parte avviene...

Oppure si potrebbe avviare una riflessione più seria sulle cause del fenomeno. Nonostante un andamento demografico improntato ad una sostanziale stabilità (senza gli immigrati la crescita sarebbe addirittura negativa) gli stili di vita che adottiamo, improntati alla crescita indefinita dei consumi, sono in ultima analisi i veri responsabili dello spreco dissennato di una risorsa ormai scarsa e non riproducibile come il territorio. Se non si comincia a ragionare sull’abitare e sul produrre, sulla mobilità e sul divertimento, sui consumi e sui rifiuti non si potrà uscire da un circolo vizioso il cui approdo è già segnato.

Questo non significa arresto dello sviluppo e ritorno all’età della pietra, come qualche critico, invero un po’ grossolano, potrebbe a questo punto obiettare. Significa mettere in discussione, come da più parti anche autorevoli si comincia a fare, la sacralità della crescita del prodotto interno lordo come unica misura del benessere di un Paese e dei suoi abitanti. Tuttavia, perché alla fine la riflessione non suoni disarmante e disperante, non possiamo sfuggire al nodo del «che fare», qui e ora, a partire dalle nostre piccole Amministrazioni locali, per contrastare un fenomeno i cui effetti devastanti sono ormai sotto gli occhi di tutti.

Partiamo dai prossimi piani di governo del territorio, consapevoli che le comunità locali hanno esigenze di crescita e sviluppo a cui va data risposta. Queste risposte vanno pianificate a partire dai bisogni reali dei cittadini e non dalle spinte speculative, che spesso servono anche ai Comuni per fare cassa. In questo modo, ogni consumo di suolo avverrà dopo attenta riflessione, con la piena coscienza del gesto che si compie. Ne consumeremo meno e lo consumeremo meglio, tenendo conto delle generazioni future e della qualità della nostra stessa vita attuale.

Introduciamo davvero il criterio della compensazione ecologica preventiva suggerita da Legambiente e dal Politecnico di Milano. Per ogni ettaro utilizzato, ve ne siano altri definitivamente acquisiti al patrimonio ambientale indisponibile della collettività. Non significa tracciare ipotesi sulla carta, ma avviare un processo lungo e faticoso che coinvolga i cittadini, i privati proprietari di aree e tutti i soggetti a vario titolo interessati. Il risultato finale, se vi saranno le forze disponibili e la convinzione di chi amministra, sarà quello di avere sensibilmente ridotto la velocità del processo in atto, e di avere creato contesti urbani più vivibili per tutti. Sarebbe tra l’altro un modo per tornare a fare politica davvero, con i cittadini chiamati a scegliere finalmente tra alternative di sostanza.

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