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lunedì 30 giugno 2008

Sul nuovo codice dei Beni Culturali e del Paesaggio

Stralcio dell'articolo di BresciaOggi del 9 giugno 2008.



Il nuovo codice dei Beni culturali e del Paesaggio si trova sul dossier mensile di maggio, numero 5, della “Guida al diritto” del «Sole 24ore», curato da Rosa Maria Attanasio, Carmine De Pascale e Simona Gatti, schede e tabelle di Anna Corrado; un dossier estremamente aggiornato: decreti legislativi, i precedenti, la guida alla lettura e i commenti di autorevoli specialisti. I curatori scrivono che "il testo unico dei beni culturali e del paesaggio cambia per la terza volta".

Dopo l'emanazione nel 2004 del cosiddetto “Codice Urbani”, le prime correzioni furono introdotte con i Dlgs nn. 156 e 157 e oggi ampliate e aggiornate dai decreti n. 62 e n. 63 in vigore dal 15 aprile 2008. Il primo provvedimento riguarda i singoli beni, mobili e immobili, di valore culturale, l'altro il paesaggio». Gli interventi sui beni culturali hanno carattere di dettaglio e settoriale: sono fissati, ad esempio, i principi generali della circolazione internazionale delle cose d’interesse storico e artistico e sono previsti gli obblighi degli enti pubblici per la conservazione e l'ordinamento dei propri documenti.

Le innovazioni più rilevanti riguardano il tema del territorio dove viene ampliato e modificato il regime delle prescrizioni e il Soprintendente arriva ad avere un ruolo di primo piano visto che, fino al 2009 o comunque fino a che non saranno adeguati gli strumenti urbanistici, sarà titolare di un parere vincolante. Altra importante novità è l'iter per il rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche attraverso il quale il legislatore ha cercato di coniugare il rafforzamento della tutela e la semplificazione delle procedure. Invariata, invece, la norma sull'insanabilità degli abusi già eseguiti.

Il decreto n. 63 prevede due tipi di abusi: il primo sanabile, se vi è compatibilità paesaggistica; un altro assolutamente insanabile nel caso di volumi o superfici aggiuntive e ristrutturazioni. E’ quindi ribadito che la tutela e la valorizzazione del paesaggio e del patrimonio culturale «concorrono a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura». Viene anche affermato il concetto che tale patrimonio «è costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici. I beni del patrimonio culturale di appartenenza pubblica sono destinati alla fruizione della collettività, compatibilmente con le esigenze di uso istituzionale». [...]


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venerdì 27 giugno 2008

Passirano, nuovo sistema di raccolta dei rifiuti

Articolo del Giornale di Brescia del 26 giugno 2008. Nuovo sistema di raccolta dei rifiuti. Passirano, parte il «porta a porta».



È stata presentata a Passirano la nuova raccolta differenziata porta a porta, il progetto di Cogeme Gestioni che coinvolge anche Paderno, Cazzago San Martino, Castegnato, Rovato e Coccaglio. Nel corso di un incontro pubblico due incaricati di Cogeme espongono il progetto: per prima cosa verranno eliminati i cassonetti, e la raccolta e separazione dei rifiuti avverrà in casa. Finora nella parziale raccolta differenziata porta a porta, per esporre i rifiuti ci si ingegnava con cassette della frutta o scatole di cartone; ora per evitare infortuni sul lavoro agli operatori Cogeme e agevolare il compito della differenziazione agli utenti, ad ogni nucleo famigliare sarà consegnato un kit di contenitori.

C’è brusio in sala quando viene mostrato il gioco di «scatole cinesi» del corredo di riciclaggio: da un primo contenitore ne escono altri due, e da questi viene magicamente estratto un ulteriore paio di speciali secchi. Ognuno è adibito a differenti tipologie di rifiuti: plastica, vetro e alluminio, carta, rifiuto organico e indifferenziato. Le domande dei cittadini sono tante. Viene spiegato loro che la plastica considerata riciclabile è solo quella degli imballaggi e delle bottiglie, quindi no a bicchieri e piatti in plastica, giocattoli rotti.

Bisognerà separare anche la cosiddetta frazione organica (gli avanzi di pranzi e cene): il contenitore fornito, da sette litri, può sembrare insufficiente ma, con l’evaporazione dell’acqua contenuta nei cibi, il volume si riduce moltissimo nel giro di poco tempo. Nell’indifferenziato va messo tutto ciò che non è riciclabile. Ogni bidone dell’indifferenziato ha un chip, in modo da renderlo ricollegabile al proprietario del bidone stesso: il volume dell’indifferenziato e la frequenza con cui verrà effettuata la raccolta porta a porta saranno i due fattori determinanti per il calcolo dell’imposta. In caso di esigenze particolari, come famiglie con bambini che usano il pannolone o persone con problemi specifici, verranno attuate agevolazioni.

La distribuzione dei contenitori avverrà a metà luglio e due settimane dopo partirà la nuova raccolta. Il progetto pare aver convinto, o perlomeno incuriosito, il pubblico presente: qualche scontento si agita sulla sedia, certo, ma le casalinghe, abituate a organizzare e gestire la casa, sembrano quasi impazienti di sperimentare il nuovo equipaggiamento.



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giovedì 26 giugno 2008

Gli economisti? Cominciano a parlare di sviluppo sostenibile ...

Stralcio dell'articolo del Giornale di Brescia del 25 giugno 2008. Ieri il dibattito con Solow, Richard Ernst, Dennis Snower e Odifreddi



Pubblico ristretto, con lo «zoccolo duro» degli studenti della Summer School a seguire attentamente due Nobel, un economista e un matematico nella discussione sul tema «Crescita, sviluppo e sostenibilità». [...] L’idea di un contatto costante fra giovani di diverse nazioni è l’humus sul quale poter costruire le basi di un rinascimento sociale globale attorno al quale ieri hanno ragionato Robert Solow (Nobel per l’Economia 1987), Richard Ernst (Nobel per la Chimica nel 1991) e l’economista Dennis Snower, nel corso del dibattito moderato dal matematico Piergiorgio Odifreddi.[...]

Ha fatto un certo effetto sentire degli economisti cresciuti a robuste dosi di liberismo fare accenni «francescani» sulla necessità di cambiare strada nella valutazione della persona, che non solo sul mero denaro deve misurare il proprio stato di felicità. E ancora. Proprio Robert Solow ha aperto la strada ad una concezione nuova della crescita economica. Solow non rinuncia al ruolo «terapeutico» della crescita, ma apre alla necessità che le ricchezze del pianeta vengano suddivise equamente e che s’introduca una tassa sull’ambiente.

Questo - spiega - perchè ciò che inquina meno deve essere premiato. Ernst punta ancora più in alto, crede in una società fondata su nuovi valori, che siano più puntati sulla «misericordia» che sul «profitto». A questo punto nasce la divisione fra le menti economiche e quella pur scientifica, ma legata al laboratorio, di Ernst. L’invito a superare la scuola dell’egoismo dell’ultimo, viene ripresa e rielaborata da Solow e Snower che, in un’alternativa percorribile, suonano la sveglia di una crescita globale condivisa. Dare maggiori opportunità di ricchezza, nell’ottica di una corretta gestione, può salvare il mondo da molte attuali storture e sperequazioni. Una «next generation» in grado di coltivare ambizioni diverse dal possesso personale ha bisogno di tempo, almeno 100 anni prevedono Solow e Snower.

Nel frattempo diventa imperativo ridurre i consumi, perchè oggi i mercati non garantiscono un’equa distribuzione delle risorse e non limitano l’inquinamento ambientale. E affinché il progetto vada in porto i Nobel seduti attorno ad un tavolo discutono del concetto stesso di democrazia. Nel senso che solo una limitazione sensibile del primato indiscusso della maggioranza può essere la porta d’accesso alla soluzione dei problemi delle diversità e alla promozione dei diritti della minoranza. In tal senso i gruppi di interesse, in sostanza le lobbies, «sono un grande pericolo» che frena la costruzione di nuovi modelli sociali.

Peccato che questo insegnamento sia stato dimenticato dapprima proprio negli Usa... anche se pare che il modello sociale-economico proposto dai Nobel ad Iseo punti dritto verso un nuovo indirizzo: il «neoliberismo» potrebbe essere messo nel ripostiglio per ripristinare un più sano «liberismo condiviso». Far pagare una tassa sulle materie più inquinanti è un fatto che deve seguire regole globali. Proprio per questo lo scenario è davvero complesso: quale Stato sarà disposto a rinunciare alla propria sovranità in cambio di uno sviluppo mondiale sostenibile? Il momento è complesso: viviamo in un mercato globale, non in un sistema globale, quindi la domanda è: sarà accordo o guerra?
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mercoledì 25 giugno 2008

Il vortice dello sviluppo (non sostenibile)

Articolo pubblicato sul Corriere della Sera del 26 marzo 2008. Nelle sue lezioni sulla democrazia il politologo Giovanni Sartori denuncia la «crescita insostenibile», tra penuria idrica e crisi energetica. "Il mercato non salverà la Terra. Le teorie degli economisti sono vane dinanzi ai rischi demografici e ambientali".



Qual è il rapporto tra democrazia e sviluppo economico? Nel secondo dopoguerra ha trionfato la dottrina economicistica che sostiene che per trasformare i regimi autocratici in democrazie occorre una crescita di benessere, e che il benessere porta automaticamente con sé la democrazia. Insomma, la democrazia dipende dai soldi e nasce con i soldi. È proprio così? Direi di no. Cominciamo con il rapporto tra democrazia e mercato. È ormai assodato che una democrazia senza sistema di mercato è poco vitale. Ma non è vero il contrario. Un'economia di mercato può esistere e fiorire senza democrazia, o precedendo la democrazia: vedi Singapore, Taiwan, Corea del Sud, Cina. Altro quesito: se la democrazia produca benessere. Sì, ma anche no.

L'America Latina è stata impoverita anche dalla democrazia, perché la democrazia induce o può indurre a consumare più di quello che si produce o si guadagna. E le «democrazie in deficit» sono state e continuano a essere frequenti. Guardiamo allora all'aspetto nuovo del problema, al rapporto tra democrazia e sviluppo. Finora si è argomentato, per un verso, che il benessere promuove la democrazia e, dall'altro, che il denaro la corrompe e la compra. Ma finora il rapporto tra Stato e mercato vedeva uno Stato che variamente regolava e interferiva nel mercato. Ma recentemente, con la globalizzazione, si è creato lo «sviluppismo», una dinamica, un vortice che nessuno (neanche gli Stati) riesce a disciplinare né a frenare, uno svilupparsi a ogni costo, il più presto possibile, alla maggiore velocità possibile.

È bene che sia così? Sarebbe un bene se vivessimo in un pianeta sottopopolato e, diciamo, dieci volte più grande del nostro con risorse praticamente integre. Il guaio è che il nostro è un pianetino disperatamente sovrappopolato, nel quale la crescita non può essere illimitata, e che da qualche decennio è entrato nel vortice di uno «sviluppo non sostenibile», tale perché consuma più risorse di quante ne produca, e che attinge a risorse in via di esaurimento.

Ma di questo sviluppo non sostenibile il grosso degli economisti non si vuole nemmeno accorgere. Il loro mantra è che a tutti i problemi dello sviluppo infinito e della crescita a gogò provvederà il mercato, quando sarà tempo di provvedere. Ma no, proprio no. Dicevo dello sviluppo non sostenibile, e che questo problema non è affrontato e tanto meno risolto dai meccanismi di mercato.

Intanto, mercato e sistema economico non coincidono. Il mercato non contabilizza tantissime cose, per esempio i «beni collettivi», quei beni che nessuno paga e che sono pagati, di regola, dalle tasse. Gli esempi classici sono la polizia, la sicurezza, le strade. Se chiedo l'intervento della polizia, non è che poi ricevo il conto da pagare. Né pago per l'illuminazione stradale. Ma ci sono casi più complicati. Prendiamo gli alberi, una foresta. Sono beni collettivi? Nella misura in cui forniscono il servizio di pulire l'aria, di fornire legno e di proteggere la fertilità del suolo, direi di sì. Ma non per il mercato. Chi abbatte alberi mette in conto soltanto il costo del loro abbattimento. Il costo della distruzione di una foresta va in cavalleria.

Lo stesso vale per l'acqua. Quella di superficie che è canalizzata viene di solito fatta pagare, ma l'acqua freatica, l'acqua di falda, no; chi la estrae paga soltanto il costo dell'estrazione. Va bene finché il consumo dell'acqua di falda viene pareggiato dalla sua sostituzione naturale. Ma altrimenti il consumo in eccesso produce un danno collettivo che non viene pagato né contabilizzato.

Poi ci sono le cosiddette externalities, gli «effetti esterni». Chi inquina l'acqua o avvelena l'aria con «gas serra» produce danni che il danneggiante non paga e che il mercato non registra. Eppure si tratta di danni colossali, con costi di ripristino e di riparazione — che sicuramente si renderanno necessari — altrettanto colossali.

Il succo del discorso è che gli economisti si sono chiusi nel recinto del mercato, e che non avvertono che la crescita e la prosperità economica sono ormai crescite in deficit, pagate, in proporzioni sempre crescenti, da un collasso ecologico su scala planetaria.

Un ulteriore limite del mercato è che è lento, che è miope. Non anticipa i tempi, ma al contrario prevede e calcola solo a brevissimo raggio. Quando si dice markets do not clear, si sottintende che i mercati non sbrogliano i problemi in tempo, che affrontano i nuovi problemi quando è troppo tardi. Tra pochi decenni il petrolio diventerà insufficiente. Che cosa dice l'economista? Dice: va bene, quando il petrolio diventerà scarso, il prezzo salirà e renderà competitivi prodotti sostitutivi, per esempio metanolo e biodiesel ricavati da piante zuccherine.

Tante grazie! Dal momento in cui il petrolio arriverà, mettiamo, a 150-200 dollari al barile a quando lo potremo sostituire con i biocombustibili passerano 4-5 anni. Dovremo far crescere le piante, costruire le fabbriche, organizzare una rete di distribuzione, adattare le automobili. Che cosa faremo nel frattempo? Nell'affidarsi ai «miracoli» del mercato gli economisti ignorano anche che i biocombustibili non basteranno, anche perché le coltivazioni, diciamo, «petrolifere» si sviluppano a danno dell'agricoltura che produce grano e che ci sfama.

Non c'è abbastanza territorio per produrre contemporaneamente piante per la benzina e prodotti alimentari. Siamo saturi, eppure gli economisti non se ne accorgono.Un altro esempio. Non mi sono ancora imbattuto in un economista che affronti davvero il problema della scarsità già grave e sicuramente crescente dell'acqua. Secondo le regole di mercato, per rimediare occorre che l'acqua venga a costare quanto la desalinizzazione del mare. Ma l'agricoltura non potrà mai affrontare questo enorme costo di estrazione e anche di distribuzione.

Senza contare che ci manca l'energia (altro problema!) per mettere in moto questo processo. E così la vita stessa di un miliardo e anche più di persone si troverà, in tempi abbastanza brevi, in pericolo. È uno scenario terrificante. Il punto è che il mercato arriva tardi e male per fronteggiare i drammatici cambiamenti in corso, mentre dall'altro lato li accelera e li aggrava, innescando sempre più uno «sviluppismo cieco» destinato all'implosione. La terra è già popolata da sei miliardi e mezzo di persone, e il loro numero è ancora in crescita.

Per gli economisti e per i demografi la sovrappopolazione è un problema extraeconomico, che non li riguarda. Addirittura molti di loro sostengono che bisogna essere prolifici perché occorre una forza lavoro crescente, altrimenti l'economia ristagna o diventa difficile pagare le pensioni. Ma questo è un vortice senza fine. Lo sarà ancora di più quando saremo 9-10 miliardi.

Nel frattempo una crescita demografica fuori controllo ci sta inesorabilmente portando al disastro climatico e al collasso idrico. Senza che quasi nessuno (inclusi gli economisti) se ne avveda. Il paradosso è che il sistema economico di mercato ha per circa duecento anni promosso la liberaldemocrazia, mentre ora la minaccia con un'accelerazione fuori controllo, la cui implosione può travolgere anche la democrazia che aveva allevato. Un cataclisma climatico e ambientale può affossare, assieme a tutto il resto, anche la città libera.

Perché lo sviluppo non sostenibile è anche uno sviluppo inaccettabile. Che impone un ritorno a quel passato di carestie e di povertà che ci eravamo lasciati alle spalle.
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martedì 24 giugno 2008

In morte dell'ICI

Di Gilberto Muraro, tratto dal sito lavoce.info



L'abolizione dell'Ici è una vittoria dell'apparenza sulla sostanza. Proprio perché l'imposta riguarda l'80 per cento degli italiani, dovrebbe essere chiaro che gli stessi beneficiari dovranno pagare in altre forme quello che è presentato come un regalo. Il minor gettito dei comuni sarà compensato con trasferimenti dal centro. Ma mentre l'Ici si autoregola, un sussidio per definizione genera una domanda unanime di incremento. Tutto fa pensare che nella manovra su imposte nazionali per sostituirne una locale non ci sia alcun guadagno né di efficienza né di equità.

Abolire l’imposta comunale sugli immobili sulla prima casa. Silvio Berlusconi mantiene l’impegno elettorale, e fin qui merita un applauso; ma si tratta di un pessimo impegno. È stata una rincorsa al peggio (promessa di Berlusconi nel 2006, forte riduzione da parte del governo Prodi, e ora abolizione totale), da ricordare a lungo come esempio di cattiva manovra tributaria e come vittoria dell’apparenza sulla sostanza.


UN'IMPOSTA CON LE CARTE IN REGOLA
Per spiegare tale tesi va premesso che non c’è paese al mondo in cui la finanza locale non sia alimentata in buona parte dalle imposte sugli immobili, comprese le prime case. Il perché è intuibile. A differenza delle imposte sui redditi e sui consumi, l’Ici non fa litigare i comuni perché la casa sta con certezza da una parte o dall’altra. La casa è poi beneficiaria di una quota importante della spesa locale: spese per viabilità, trasporti, illuminazione, arredo urbano, sicurezza, e così via. L’Ici si presenta quindi in regola con il principio tributario del beneficio – si paga in relazione al vantaggio ricevuto dalla spesa pubblica - che nella finanza locale esercita ancora un grande ruolo.

Può inoltre essere resa moderatamente progressiva attraverso detrazioni alla base, che fanno sì che il pagamento cresca più che proporzionalmente con il valore. Si rispetta così anche il principio costituzionale della capacità contributiva: paga chi può, indipendentemente dai benefici individuali ricevuti, a parte che anche un’Ici strettamente proporzionale genera un gettito progressivo rispetto al reddito, perché i patrimoni risultano più concentrati dei redditi.

Non meno importante il ruolo dell’Ici ai fini della buona gestione della “res publica”. Al pari della tassa dei rifiuti solidi urbani, ma con un raggio di azione più ampio, consente infatti ai cittadini di farsi un’idea fondata del rapporto costi benefici dell’attività pubblica e quindi di giudicare correttamente il governo locale e di calibrare la domanda politica: chiedere più servizi e più tasse o meno servizi e meno tasse, se si ritiene di avere una giunta efficiente; oppure pretendere più efficienza e, in prospettiva, cambio di maggioranza, se si ritiene di avere una giunta incapace. In sintesi, l’Ici è l’ onere condominiale pagato dagli abitanti di quel vasto condominio che è la città: costoso ma educativo strumento di informazione e di partecipazione.


L'ILLUSIONE TRIBUTARIA
Ma ciò che sorprende e mortifica in questa storia è il risvolto psicologico. L’Ici sulla prima casa riguarda l’80 per cento degli italiani. Tutti felici, quindi. Ma proprio perché sono tanti, anzi sono quasi tutti i contribuenti dato che il restante 20 per cento è rappresentato in media da famiglie con bassi redditi, dovrebbe essere chiaro che gli stessi beneficiari dovranno in altre forme pagare ciò che viene loro presentato come un regalo. Tecnicamente si parla di “illusione tributaria”, ossia di errata percezione che fa credere a benefici superiori o a costi inferiori rispetto alla realtà.

Non è la prima e non sarà l’ultima, ma è probabilmente la più vistosa illusione tributaria che si ricordi in tempi recenti. Fa specie che a nessuno venga in mente di chiedere agli abolizionisti di destra e di sinistra come sarà compensato il minor gettito. Con trasferimenti dal centro,ovviamente. Quindi, senza sacrificare i servizi pubblici locali. Ma i conti tornano solo in un primo momento: in seguito, chi e come regolerà la dinamica del sussidio?

Un’Ici si autocontrolla, perché il sindaco deve soppesare la popolarità resa dai maggiori servizi con l’impopolarità creata dalla più pesante imposta. Un sussidio per definizione non basta mai sul piano politico e genera una domanda unanime di incremento, alimentando tensioni tra centro e periferia. E comunque, dove il governo troverà i fondi per i comuni? Si spera che nessuno voglia aumentare il debito pubblico, interrompendo quel cammino doloroso ma virtuoso di risanamento avviato da Tommaso Padoa-Schioppa. Ed è difficile pensare a drastiche e immediate riduzioni di spesa pubblica. Non restano quindi che le grandi imposte sui redditi, gli affari e i consumi.

Cambia poco se si ipotizza un aumento di tali imposte oppure se, immaginando un maggior gettito generato dalla crescita economica o dalla lotta all’evasione, si ipotizza una loro mancata riduzione. In ogni caso, si tratta di una manovra su imposte nazionali che sostituisce un’imposta locale. E tutto fa pensare che non ci sia alcun guadagno né di efficienza né di equità. Di sicuro, l’effetto è negativo sotto il profilo del federalismo fiscale sia perché si indebolisce l’autonomia locale sia perché affidarsi al prelievo nazionale significa accentuare e non riequilibrare il flusso di risorse che dal Nord va al Sud.

Detto tutto questo, va aggiunto che le prime stime di caduta del gettito, rispetto all’Ici già ridotta da Prodi, vanno da 1,7 a 2,1 miliardi di euro. Si tratta di una caduta importante, ma non tale da destabilizzare il sistema. Nessuna tragedia, quindi. Ma sia chiaro che è un passo indietro, non un passo avanti.
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lunedì 23 giugno 2008

Lo scempio: quel che non volevamo ma ci è stato imposto

Articolo di BresciaOggi pubblicato il 19 maggio 2008.



E' da poco uscito un libro «I beni culturali e il paesaggio». Il sottotitolo precisa ulteriormente il tema: «Le leggi, la storia, le responsabilità». Lo pubblica Zanichelli e lo hanno scritto due docenti, studiosi della materia, Francesco Bottari e Fabio Pizzicannella. Non entro nell’articolazione dell’ampia ricerca che mi sembra ben strutturata. Ma mi soffermo su alcune pagine che sono in perfetta sintonia con quanto sosteniamo, e con noi altri che amano la natura e i lasciti della storia.

«L'utopia urbanistico-architettonica della “città ideale” - scrivono i due docenti -, realizzata in alcuni borghi rinascimentali concepiti in mirabile armonia col paesaggio circostante, come a Pienza e in tante cittadine italiane, oggi appare una chimera anacronistica, del tutto impraticabile. Il nostro è il tempo degli scempi, ossia della dissoluzione del nesso che stringe in unità il patrimonio ambientale e quello monumentale.

In una triste rassegna dei guasti perpetrati negli ultimi decenni, Vittorio Sgarbi tenta una definizione del termine “scempio”, che riconosce acutamente in “tutto quello che non eravamo e siamo diventati, che non desideravamo ma ci è stato imposto”». Scempio sono le malinconiche brutture edilizie che sfigurano e distruggono sia l’ambiente naturale, sia la nostra civiltà architettonica. Gli intellettuali italiani hanno cominciato a denunciare i pericoli di una modernizzazione irrazionale del Paese fino dagli anni Cinquanta, prendendo posizione sullo sconvolgimento dei paesaggi e dei centri storici. E da subito sono stati denunciati il prevalere e il dilagare degli interessi particolari rispetto a quelli generali del Paese, le crescenti distruzioni di città e campagne, la scarsa applicazione delle leggi.

Ma vane sono state le sollecitazioni per educare l'opinione pubblica «alla cura e al rispetto dell'esistente come unico rimedio alla dilagante corruzione estetica. Solo una cittadinanza formata al gusto e alla bellezza può esigere che anche gli interventi più innovativi siano in armonia con l'antico». Tutte battaglie perse. Come del resto quelle che si stanno combattendo oggi. Non si è ancora affermata, infatti, una cultura della qualità architettonica e urbanistica. Il ritardo accumulato, osservano i due autori, «procura al territorio danni irrimediabili. Così, una miriade di costruzioni e stabilimenti industriali invadono non solo le periferie urbane, ma anche le montagne, le spiagge, le sponde dei laghi, le campagne e i centri rurali. La progressiva caduta della qualità costruttiva manifestatasi tra le due guerre e degenerata con la speculazione avviata negli anni Sessanta», appare irreversibile e irreparabile.


Del resto quanto sta ancora avvenendo anche da noi - ad esempio gli ecomostri in costruzione in alcune località del Garda, e non solo -, non cessa di stupire e amareggia coloro che amano il territorio e guardano preoccupati al futuro di un comprensorio che sta perdendo sempre più le sue caratteristiche di alta vivibilità.

Concludo con i dati significativi riportati dai due studiosi, i quali osservano che è «difficile immaginare quanto l'Italia abbia mutato il proprio volto in poco più di mezzo secolo»: quasi quadruplicati i vani di abitazione, comprese le seconde e le terze case; 1 milione e 200 mila ettari di terreno (per lo più agricoli) cementificati o asfaltati; litorali sommersi in trent'anni da circa 1 milione e 700 mila case abusive.

Già nel 1957, un decennio dopo la fine della guerra, il giornalista e scrittore Guido Piovene denunciò, nel suo «Viaggio in Italia» l’uragano cementizio che stava avanzando sconvolgendo il Paese. Scrisse, infatti, che poteva bastare un dato: «Su 7.000 chilometri lineari di costa, 2.600, per una fascia più o meno spessa, sono praticamente perduti o perché troppo edificati o perché gravemente inquinati». Una catastrofe che continua e di cui ancora pochi si accorgono.
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venerdì 20 giugno 2008

Mille euro al mese

Articolo di Gian Antonio Stella pubblicato sul Corriere della Sera del 30 maggio 2008.


Dieci a uno. È questo il rapporto tra l'assenteismo storico dei parlamentari italiani e quello dei loro colleghi americani: 31,4% la media di scranni vuoti negli ultimi tre decenni nelle nostre aule, 3,1% la media di assenze dei senatori di Washington. Che senso ha, davanti a numeri così, l'autodifesa imbarazzata o infastidita di quanti hanno spiegato ieri al Corriere come mai avevano esposto la straripante maggioranza di destra a una figuraccia sul primo voto che contava? «Ero un attimo al bagno... », «Ci siamo presi tre minuti di pausa...», «Ho scompensi di pressione dal caldo...».

Anche a Washington, in certi periodi, il clima è torrido. Eppure, dice uno studio di Antonio Merlo della University of Pennsylvania, la Camera dei rappresentanti ha lavorato nel 2007 per 164 giorni, il Senato per 180 e le aule erano sempre piene. Il tasso di assenteismo nell'arco dell'intera carriera dei 435 deputati (uno ogni 689 mila abitanti: da noi ogni 93 mila) è del 3,9%. Quelli che hanno marinato più del 10% delle votazioni sono il 4,4%. Quelli che ne hanno bigiate più 20% sono l'1,1.Quanto al Senato, i membri che saltano più di un decimo delle votazioni scendono addirittura al 4% e l'unico che ha marcato visita più di una volta su cinque (20,8%) è stato Barack Obama. Ma perché corre per la Casa Bianca.

Come solo la campagna presidenziale ha costretto John McCain e Hillary Clinton a rovinare il loro virtuoso «statino» con il 16% e con il 9% di assenze. Altrimenti, è sicuro, la loro media non sarebbe diversa da quella di un senatore celebre e pieno di impegni come Ted Kennedy. Che prima dei problemi fisici di questi giorni aveva «bucato» dal 1993 solo 206 voti su 4.044. Uno su venti.Numeri umilianti, per noi. Basti ricordare che molti leader arrivano a prender parte a una seduta su cento. Che alla prima convocazione dopo le ferie estive, anni fa, si presentarono al Senato in 14 con 252 assenti ingiustificati e molti «in missione in località turistiche italiane ed estere». Che un ministro, Carlo Giovanardi, si spinse a definire «qualunquista e miserabile» la consegna a Striscia la notizia di un filmato che mostrava 26 «pianisti» che votavano per colleghi assenti.

E come scordare che il governo Berlusconi II, nei primi quattro anni dopo il trionfo del 2001 che gli aveva dato 89 deputati e 49 senatori di vantaggio, riuscì ad andare sotto addirittura 65 volte? Dicono che la politica è complessa, che c'è il partito da seguire, che il collegio va accudito... Anche in America hanno il partito, il collegio, gli elettori... Ma sono stati eletti per andare in Parlamento e ci vanno. Per questo, visti gli scarsi risultati ottenuti con la regola che Montecitorio taglia di 206 euro la diaria «per ogni giorno di assenza del deputato da quelle sedute dell'Assemblea in cui si svolgono votazioni », forse è il caso di rovesciare tutto.

E di dare al parlamentare una busta paga iniziale di mille euro, da arricchire con aumenti e benefit e integrazioni generosi via via che venga accertata la sua solerzia, la sua partecipazione, la sua assiduità in aula e nelle commissioni. Alcuni, magari, arriveranno a prendere perfino più di oggi. Ma siamo sicuri che i cittadini, in quel caso, non tireranno affatto le monetine.
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giovedì 19 giugno 2008

L'urbanistica? Non tiene conto del paesaggio

Articolo di BresciaOggi di lunedì 16 giugno 2008. Il no al cemento di «Yseo nel cuore». L’urbanistica? «Non tiene conto del paesaggio».




«Per bloccare l’espansione urbanistica scriteriata in Franciacorta e nel basso Sebino bisogna contrapporre alla conurbazione degli abitati la conurbazione dei parchi già istituiti o in fase di istituzione». La traduzione? Gli strumenti urbanistici comunali devono tener conto dell’esistente, e non di ciò che si vuole realizzare.

Il concetto è stato ribadito nei giorni scorsi davanti a una sala strapiena dall’architetto Aurelio Pezzola, intervenuto nel castello Oldofredi di Iseo alla conversazione su «Cascine e nuclei storici» promossa dalla redazione del foglio «Yseo nel cuore». L’architetto Mauro Salvadori è entrato poi nello specifico quando ha suggerito che il recupero delle cascine avvenga a scopi turistico-ricettivi anzichè residenziali. «Un condominio in cascina - ha detto - ha un impatto più pesante rispetto a un agriturismo: richiede, per esempio, che le sterrate siano poi asfaltate».

Affinchè la tutela e la valorizzazione dei beni storici sia davvero efficace, secondo lui, occorre che la pianificazione urbanistica sia integrata coi contenuti paesistici. «Le scelte dei vari Pgt - ha insistito Salvadori - devono prescindere dalle possibili destinazioni d’uso e basarsi invece sull’analisi delle vocazioni del territorio». Prima di lui, l’architetto iseano Gianni Franceschetti aveva evidenziato che «la ricchezza di cui principalmente vive Iseo è la storia». E aveva raccontato come si viveva nelle cascine plurifamiliari che fino agli anni ’60 colonizzavano il territorio. «Un mondo quasi scomparso - ha sintetizzato Franceschetti -.

Erano 152 i contadini nel 1951, adesso si contano sulle dita di una mano».Per incoraggiare il recupero di cascine e nuclei rurali (81 quelli filmati e fotografati da Yseo nel cuore), Franceschetti ha proposto di esonerare gli eventuali investitori dal pagamento degli oneri di urbanizzazione. Poi Mauro Morganti, cultore di storia locale, ha svelato i misteri che si nascondono dentro ad alcuni toponimi iseani e ha invitato a salvarne la memoria con una tabellonistica esplicativa.


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mercoledì 18 giugno 2008

Non si può non limitare l'uso dei suoli

Articolo di BresciOggi del 12 giugno 2008. Il convegno. L’Italia è al top nell’urbanizzione: rischi e limiti. In Lombardia mangiati 94 metri al minuto. Il fenomeno deve essere frenato per salvaguardare il territorio e il patrimonio. E 20 comuni sposano la sostenibilità.


L’urbanizzazione si mangia 94 metri quadrati al minuto in Lombardia: è necessario fermarla per salvaguardare il patrimonio storico, paesistico e la produzione alimentare, ma i comuni con scarse risorse dimenticano che quel ritmo è insostenibile. Ridurre le aree agricole espone a rischi di degrado ambientale e crisi alimentare perché la trasformazione di un campo in un capannone è irreversibile.

Il convegno sul contenimento urbano iniziato l’8 maggio al Centro Paolo VI di Brescia e conclusosi venerdì pomeriggio a Provaglio in Franciacorta, ha rilevato una situazione che impone una gestione rigorosa dell’uso del suolo. Nel dopoguerra il fenomeno ha accompagnato la crescita demografica con colate di cemento senza regole per rispondere a un solo bisogno. Negli ultimi anni, la pressione demografica è svanita, ma la cementificazione, spinta dal mercato, ha avuto una fortissima accelerazione.

Il mattone bene «rifugio» non risponde a reali esigenze produttive o demografiche: appartamenti vuoti, capannoni sottoutilizzati, centri commerciali, infrastrutture, sottraggono quote crescenti sia di suolo agricolo, sia di territorio pregiato e da tutelare con cambiamenti irreversibili, che compromettono risorse e generano effetti quasi mai previsti e valutati dall’inizio.


Le cause? Il mondo produttivo non vuole vincoli, i comuni vogliono risorse, "ma" hanno affermato tutti gli esperti, «questo modello ha ripercussioni insostenibili su ambiente e società e, a lungo andare, sullo stesso sistema economico perché i costi delle trasformazioni durano più dei benefici derivanti ai bilanci comunali dagli oneri di urbanizzazione».

Il confronto tra le esperienze europee è il tema dell’Azione Cost Land management for urban dynamics (Gestione urbanistica delle dinamiche urbane), progetto di ricerca europeo, che a Brescia ha vissuto la seconda tappa. Maurizio Tira dell’Università di Brescia, chairman del progetto, e Bruno Zanon dell’Università di Trento, nominati dal governo, hanno messo a confronto con esperti di molti paesi europei, dal Portogallo all'Ucraina, dall'Olanda a Cipro, dalla Svizzera a Israele i diversi modelli di sviluppo.

Sono emersi dati preoccupanti sul consumo di suolo in Italia, con 1.000 metri quadrati urbanizzati per abitante in alcune aree, ma preoccupante è pure la mancanza di dati aggiornati e diffusi su tutto il territorio . Diverse le esperienze straniere dove gli usi del suolo hanno regole più rigorose: «In Svizzera l'urbanizzazione è pari a 375 metri quadrati per abitante» ha spiegato Jean Ruegg, dell'Università di Losanna (in Franciacorta, si è già a 450).

Regimi normativi e fiscali differenziati fanno sì che in Italia l'edilizia con margini di guadagno considerevoli, specialmente nelle zone più belle, eserciti una pressione insostenibile su comuni, con scarse risorse e poteri. «La fiscalità locale» ha concluso Federico Oliva, presidente dell’istituto nazionale di urbanistica «è uno dei temi della nostra proposta di riforma nazionale, forse la più importante per governare scelte urbanistiche con ricadute ambientali preoccupanti per perdita di natura e aree agricole».

Paolo Pileri del Politecnico di Milano ha sostenuto «La rinaturalizzazione delle aree agricole marginali, la compensazione ecologica preventiva possono mitigare gli effetti ma la politica non può che andare nel senso di una forte limitazione agli usi urbanizzati dei suoli».

Il convegno si è concluso nei giorni scorsi in Franciacorta, dove la Fondazione Cogeme Onlus, ha illustrato ai ricercatori il progetto-pilota «Franciacorta sostenibile», messo a punto con venti comuni con il coordinamento di Maurizio Tira, per pianificare i Pgt in funzione della sostenibilità e per un utilizzo consapevole del suolo.
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martedì 17 giugno 2008

Erbusco tutela campagna e vigneti

Articolo del Giornale di Brescia del 14 giugno 2008. La Giunta regionale ha accolto la proposta di estendere il vincolo paesaggistico sino ai margini dell’autostrada e alla località Spina. Concluso così l’iter iniziato nel 2002 con una prima richiesta del Wwf.



È stata definitivamente approvata in Regione la proposta di dichiarazione di notevole interesse pubblico delle aree territoriali collocate ai margini del tracciato autostradale e in località Spina di Erbusco. Nei giorni scorsi, infatti, la Giunta regionale si è espressa favorevolmente in merito all’estensione del vincolo paesaggistico (già presente su alcune porzioni del territorio comunale) sulle aree, urbanizzate o libere da edificazioni, che conservano «connotazioni paesaggistiche di rilevante interesse per il permanere delle caratteristiche proprie del paesaggio naturale e di quello agricolo tradizionale imperniato sulla coltivazione della vite».

Un provvedimento che, di fatto, si traduce nell’individuazione di alcuni criteri specifici volti a garantire le dovute cautele nella gestione delle trasformazioni paesistiche, architettoniche e urbanistiche dei territori in oggetto, provvedendo a salvaguardare la conservazione degli scorci panoramici ancora liberi (in particolare sui versanti collinari), la vegetazione esistente e le aree verdi, le murature e gli edifici rurali storici.

«L’ampliamento del vincolo garantisce un’attenzione maggiore, dal punto di vista paesistico, sociale ed economico, al territorio e alle sue trasformazioni - sottolinea il sindaco di Erbusco, Isabella Nodari -. Il vincolo, in virtù della delicatezza della Franciacorta, riconosciuta anche dall’assessore regionale al Territorio Davide Boni, va inteso come uno strumento migliorativo». Con il sì della Regione si chiude un iter iniziato nel gennaio 2002 con una prima richiesta di ampliamento del cono ottico già sottoposto a tutela ambientale avanzata dal Wwf e successivamente integrata, nel luglio 2004, da un’istanza presentata dal circolo Legambiente Ilaria Alpi.

Un iter lungo e complesso, anche a causa delle numerose osservazioni che i soggetti interessati hanno fatto pervenire in Regione in merito all’estensione del provvedimento di tutela, la cui valutazione ha richiesto tempi assai più lunghi del previsto (la pronuncia della Regione è attesa dal novembre scorso). Accolte parzialmente solo le osservazioni presentate dal Comitato per la tutela ambientale di Villa Pedergnano e dalla sezione lombarda del Wwf in relazione ai criteri di gestione paesaggistica delle trasformazioni.

Rigettata, invece, ogni ipotesi di revisione del perimetro dell’area sottoposta a vincolo, che comprende: la fascia territoriale collocata tra il lato sud dell’autostrada ed il limite dell’ambito di tutela del Monte Orfano; il territorio comunale principalmente agricolo in località Spina; tutto il territorio comunale a nord dell’autostrada, con esclusione delle aree situate a ridosso del confine con Cazzago San Martino e Rovato. Escluse, quindi, diversamente da quanto auspicato dalle associazioni ambientaliste, le zone industriali, in quanto «costituiscono una realtà a sé, che richiede studi di ridisegno urbanistico più che di tutela paesaggistica». Inclusa, invece, nell’ambito di tutela l’area dell’ex cava Noce a Zocco. Un provvedimento che, riconoscendo il valore simbolico dell’area, collocata nei pressi del complesso storico e architettonico di Villa Maggi, potrebbe scongiurare definitivamente l’ipotesi di discarica.
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venerdì 13 giugno 2008

La campagna frena la cementificazione

Articolo del Giornale di Brescia del,11 giugno 2008. Castegnato: presentato alla cittadinanza il nuovo Piano di governo del territorio che approderà in Consiglio comunale a luglio. Tutela degli spazi agricoli e rivoluzione della viabilità per «zona 30 km/h» in centro.



Una crescita moderata e razionale del paese per uno sviluppo che porti benefici ambientali e sociali alla collettività. È la sintesi del nuovo Piano di Governo del Territorio di Castegnato, presentato l’altra sera. Il documento, che «fotografa» e pianifica lo stato attuale ed il futuro del territorio comunale, stabilisce le linee guida per lo sviluppo del paese: tutela degli spazi agricoli e netta separazione da città ed altri centri abitati, sviluppo limitato ad ovest all’interno di una nuova strada di scorrimento che permetterà di aggirare il centro storico aumentandone la vivibilità, nuovo polo di interesse pubblico ad ovest dell’attuale via Franceschine con la possibilità di costruire una nuova scuola elementare, stazione della metropolitana leggera con ampio parcheggio di interscambio.

Il Pgt, che sostituirà il Prg oggi in vigore e risalente al 1989, sarà esaminato dal Consiglio comunale a luglio e potrebbe essere approvato dalla Provincia già entro la fine dell’anno. Nel frattempo, fino al 10 luglio, sarà aperta per la quarta volta la possibilità di far pervenire osservazioni e proposte dopo aver visionato progetti e documenti disponibili in municipio o sul sito internet del Comune di Castegnato.

Il Piano di Governo del Territorio è stato costruito partendo da alcune priorità, prima fra tutte la tutela del paese in quanto unità definita e separata da periferie ed altri comuni. Le aree a nord e ad ovest del paese rimarranno quindi agricole e vincolate, in modo da garantire gli attuali spazi di campagna ed i «coni ottici» di pregio paesaggistico. Principale novità, a nord, la costruzione della nuova stazione della metropolitana leggera che garantirà, una volta a regime, un treno verso il capoluogo ogni 15 minuti: previsto anche un parcheggio di interscambio da 200 posti a nord dell’attuale stazione che non dovrebbe avere ripercussioni sulla viabilità del paese semplificata dal sottopassaggio in via di ultimazione.

Grosse novità in arrivo invece sul versante ovest del paese: è infatti già prevista e finanziata una nuova strada di scorrimento che aggirerà ad ovest il paese collegandosi alle attuali via Serao e via Molino per raggiungere in futuro la località Baitella. Una volta a regime, le strade centrali entreranno a far parte di una grande «zona a 30 chilometri all’ora» a vantaggio di pedoni e di ciclisti ed a favore di una rinnovata vivibilità del centro. Nel lotto che si verrà a creare tra l’attuale limite ovest del paese e la nuova strada di scorrimento che segnerà il nuovo confine dell’abitato, verrà costruito poi un nuovo polo di interesse pubblico destinato ai servizi e forse alla nuova scuola elementare.

A sud, messa in sicurezza la Padana superiore con una nuova rotatoria in direzione Mandolossa, bisognerà attendere le bonifiche del sito Caffaro «Pianera» attualmente congelato.Il Pgt tiene conto anche dello sviluppo della popolazione programmato, che sarà contenuto entro un massimo potenziale di 9.000 unità nel 2018, circa 1.500 in più delle attuali. Un aumento controllato che sarà accompagnato da un adeguamento dei servizi, dall’acquedotto alla rete fognaria ed in particolare delle scuole.
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giovedì 12 giugno 2008

Il PGT di Provaglio

Articolo di BresciaOggi dell'11 giugno 2008. Lo strumento urbanistico in fase di definizione. On line il dibattito sul Piano di Governo.



L’amministrazione comunale di Provaglio ha attivato sul sito Internet del Comune (www.comune.provagliodiseo.bs.it, area “In Piazza”,) un forum dedicato al Piano di governo del territorio. Un’occasione per i cittadini per trasmettere le proprie proposte, per formulare eventuali quesiti e, in generale, per interagire con gli Amministratori comunali. In verità l’Amministrazione comunale sta da tempo lavorando alla definizione dello strumento urbanistico che sostituirà il vecchio Prg. Avviate le prime fasi all’inizio del 2007, si è proceduto all’elaborazione di un documento contenente gli obiettivi di conservazione, sviluppo e miglioramento del territorio comunale. Il documento è stato presentato ai cittadini nell’ambito di un’assemblea pubblica tenutasi lo scorso 29 febbraio.

Successivamente, ai primi di marzo del 2008, il quadro iniziale è stato completato con la presentazione della Valutazione ambientale strategica, ovvero la stima degli effetti del Pgt sull’ambiente naturale provagliese. «Il passo successivo – spiegano in Comune - è consistito nell’approvazione dei principi fondamentali del nuovo strumento urbanistico-edilizio, avvenuta nell’ambito del Consiglio comunale del 14 marzo scorso.

Durante la serata si è discusso, in particolare, sulla necessità di limitare l’uso ed il consumo del suolo ai fini di uno sviluppo sostenibile di Provaglio, Provezze e Fantecolo. Sono stati trattati i temi del potenziamento del sistema dei servizi e dell’incentivazione nell’utilizzo di risorse rinnovabili. Sono stati inoltre elencati e definiti gli aspetti critici da sciogliere nell’arco dei prossimi cinque anni, in particolare in materia di traffico e circolazione».

«Relativamente alla tutela del paesaggio e dell’ambiente si è sottolineata l’importanza di politiche locali tese a recepire gli strumenti attuativi della Riserva delle Torbiere, all’ultimazione del recupero ambientale delle cave dismesse ed alla tutela dei beni del paesaggio».
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mercoledì 11 giugno 2008

La svendita dei valori

Articolo di BresciaOggi del 19 maggio 2008. In Italia sono in svendita anche i valori.


«Viaggio nel Paese in svendita» è l'amaro sottotitolo del più recente volume di Aldo Cazzullo, intitolato «Outlet Italia» ed edito da Mondadori. Outlet, non luogo inteso anche come simbolo della perdita di valore in tutte le sue declinazioni. Esattamente. Io ho scritto la parola chiave outlet per raccontare l'Italia di oggi, perché l'outlet non è solo un luogo fisico che sostituisce la piazza. [...]

In svendita purtroppo in Italia non ci sono solo i capi difettati, ma anche i valori. Oggi l'educazione è vista come una forma di debolezza, la cortesia è un orpello che non si usa più. Si rivendicano in pubblico le cose che prima si facevano di nascosto in privato, come l'evasione fiscale. C'è una faccia tosta che quasi ci induce a rimpiangere l'ipocrisia.

Venezia è la metropoli che più si è ridotta nel numero degli abitanti e più è mutata nei confronti di chi ci è nato. Venezia ha anticipato i tempi di quel che sta accadendo in altre metropoli. E' una vetrina ed un investimento immobiliare, perché i prezzi delle case sono cresciuti in maniera esponenziale. Ma non è più una città a misura dei suoi abitanti. Anche Milano sta vivendo una situazione simile. Nel centro storico la sera non c'è quasi nessuno. La gente va in centro per lavorare e una volta spenta la luce dell'ufficio va a casa in periferia. O all'outlet. Quel che peggio è che a Milano sono in crisi le relazioni fra le persone. [...]

Quali sono oggi le dimensioni della mercificazione della politica in Italia? Sono notevoli. La politica è diventata la prosecuzione degli affari con altri mezzi. Gli stipendi scandalosi dei parlamentari e dei politici regionali non sono la causa di questo sistema, ma ne sono la conseguenza. Se nella provincia di Siracusa non c'è una clinica che non abbia un politico o la moglie d'un politico nel consiglio di amministrazione, vuol dire che il sistema è malato.

La tangente inquinava un affare, il conflitto d'interessi inquina il mercato. La politica è diventata una merce, un intreccio fra politica e affari. Uno dei segnali più inquietanti del degrado del nostro Paese è quello della mancata applicazione della pena. Ne sono convinto. Stiamo costruendo la società dell'impunità del male. [...]
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martedì 10 giugno 2008

Se il vino si scopre ecologico

Articolo del Giornale di Brescia del 7 maggio 2008.



Il futuro dell’enologia e della vitivinicoltura è strettamente legato a temi ambientali: gestione dei reflui e cambiamenti climatici saranno le condizioni che determineranno l’importanza e la sopravvivenza di un territorio viticolo. Sì perché nei prossimi anni, come hanno asserito i relatori del convegno svoltosi lunedì al Relais Franciacorta di Colombaro «Nuovi obiettivi per il vino di qualità, sostenibilità e rapporti con l’ambiente in un clima mutabile», non basterà solo fare del vino di buona qualità, ma servirà conoscere e valorizzare il paesaggio.

Pochi esempi hanno messo in luce le prospettive future: se infatti produrre una bottiglia di vino comporta emissioni di CO2 (anidride carbonica) pari a 10 chilometri percorsi da un’autovettura, si pensi a quanto gas nocivo viene prodotto in un territorio vocato alla produzione vinicola. Una viticoltura sostenibile tiene conto anche dell’importante risorsa dell’acqua: per produrre un litro di vino infatti, si utilizzano dai 0,3 ai 5 litri d’acqua.

Monitoraggio dei consumi d’acqua, gestione dei reflui con conseguente riduzione di anidride carbonica, modalità di stoccaggio e impianti di depurazione sono esempi portati da Joel Rochard dell’Istituto francese della vigna e del vino. Oltre a questi accorgimenti insegnati dai francesi, le altre relazioni del seminario, organizzato dallo Studio agronomico Sata e dalla Guido Berlucchi, hanno messo a fuoco le variabili climatiche che potrebbero incidere sulla produzione vitivinicola.

Bernard Seguin dell’Unité agroclimatique Inra, ha spiegato che il riscaldamento può influire positivamente ma anche negativamente sulla viticoltura: vendemmie anticipate, lavoro in vigna per meno tempo, aumento potenziale della qualità sono gli aspetti positivi ma non si può sapere se in futuro la resa sarà maggiore e minore; inoltre l’aumento di due gradi alcolici del vino, effetto del riscaldamento, conferirebbe ai vini caratteristiche diverse. Allora, se questo sarà lo scenario, diventerà necessario trovare terroir più indicati, con lo spostamento dei vitigni verso i paesi nordici, Danimarca, Svezia e Inghilterra.

Ma il cambiamento climatico è realtà o esagerazione? Per Luigi Mariani, della facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Milano, è un’esagerazione visto che già Columella nel I secolo d.C. nel De re rustica testimoniava la variabilità climatica. Le conclusioni sono state affidate a Pierluigi Donna, agronomo della Sata: «Per cominciare - ha detto - occorre partire da una consapevolezza della produzione, per giungere poi a un confronto tecnico e creare modelli per gestire le diverse situazioni».
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lunedì 9 giugno 2008

La tutela e la valorizzazione dei centri storici

Articolo di BresciaOggi del 3 giugno 2008. Dopo aver censito gli immobili di pregio «Yseo nel cuore» organizza una tavola rotonda. Un piano per salvare le antiche cascine.




Iseo deve puntare a ottenere il rango di «Città slow» anche attraverso la tutela e la valorizzazione delle cascine e dei nuclei storici. Lo sostiene il gruppo che scrive e pubblica il mensile «Yseo nel cuore». Un’associazione che, al vedere rasa al suolo «La casöla», gioiello di archittetura rurale, si è messo in testa di salvare il salvabile.

Ecco dunque Flaminio Pezzotti, Gianluca Serioli, Roberto Perini, Federico Mori ed Enrico Pernigotto passare al setaccio il territorio iseano fotografando e filmando veri e propri ruderi ma anche cascine e nuclei storici ancora ben conservati. Dalla «caccia al tesoro» è nata una mappa che evidenzia con la forza delle immagini di quale potenziale inespresso disponga il capoluogo e le frazioni di Clusane, Pilzone e Cremignane.

Trentotto gli edifici rurali e ventuno i nuclei antichi censiti. «Il nostro interesse è di tipo culturale ma anche economico- rimarca Flaminio Pezzotti-. E' ovvio che il turista preferisce soggiornare in un luogo che conserva la memoria del passato, piuttosto che in un posto anonimo, senza particolari attrattive». Ai redattori del foglio «Yseo nel cuore» si sono poi aggiunti Mauro Morganti, appassionato di storia locale, e gli architetti Aurelio Pezzola, Gianni Franceschetti e Mauro Salvadori.

Insieme daranno vita, il 13 giugno, alle 20,15, in castello Oldofredi, a una conversazione su «Nuclei storici e cascine». La data non è stata scelta a caso, visto che il Pgt è alla stretta decisiva. «La normativa non è incisiva - dice Mauro Salvadori, uno degli estensori del Piano di coordinamento territoriale adottato a suo tempo dalla Provincia -. A monte di qualsiasi scelta sulle destinazioni d'uso, va compiuta un'analisi delle vocazioni e quindi delle sostenibilità del territorio. Vanno individuate, quelle che non puoi permetterti di perdere perchè, con esse, perdi i caratteri identificativi dei luoghi in cui vivi».

Il Piano di coordinamento provinciale, rimanda per la normativa paesistica su scala locale ai singoli piani comunali. «E' dei giorni scorsi- rincara la dose Enrico Pernigotto - una nota inviata ai Comuni dalla Sovrintendenza. In riferimento alla stesura della Valutazione ambientale strategica, uno dei documenti che concorrono a formare il Pgt viene suggerita la seguente indicazione di metodo: la tutela storica e ambientale deve prevalere sulla pianificazione urbanistica».
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venerdì 6 giugno 2008

Dobbiamo farci inghiottire dal paesaggio

Stralcio di un articolo del Corriere della Sera del 28 maggio 2008-05-28. La sfida di Marco Casamonti con la cantina Antinori e un progetto per Lampedusa. «Dobbiamo farci inghiottire dal paesaggio. Così torneremo a costruire con armonia».



Prima di tutto c'è il rispetto della «preesistenza ambientale», espressione tecnicamente assai dotta per definire un'architettura in armonia con il paesaggio, soprattutto con quello italiano, «un patrimonio unico, di fatto il nostro vero petrolio, la nostra più grande ricchezza». [...]

Per Marco Casamonti (1965), fondatore con Giovanni Polazzi e Laura Andreini dello Studio Archea di Firenze (nonché direttore della rivista Area), il presente «ecosostenibile » è però, in particolare, quello della cantina da lui progettata per gli Antinori nel Chianti, 52mila metri quadrati realizzati appunto secondo una logica sfacciatamente ecosostenibile. E non certo perché il committente sia un filantropo, ma piuttosto perché «ha capito, sicuramente più di quelli che vogliono solo capannoni informi e bruttissimi, che investire in architetture armoniose può essere davvero redditizio». Anche se non immediatamente.

Non a caso, dunque, Casamonti [...] è tra i protagonisti di quel «Festarch» di Cagliari, che vede tra i temi più scottanti anche la «preesistenza ambientale». «Per buona parte del dopoguerra — dice — abbiamo costruito in modo irrazionale, consumando il territorio come se fosse un bene riproducibile, come se fossimo capaci di ricrearlo a nostro piacimento».

Non è così, è chiaro: «Ma ce ne siamo resi conto soltanto quando abbiamo cercato di riconvertire tutti gli spazi industriali dismessi in "realtà abitative" o in spazi nuovamente vivibili ». Solo di fronte a questa sorta di rottamazione di aree come l'Innocenti di Lambrate «abbiamo capito quali e quante occasioni avessimo sprecato in precedenza». Così ha finalmente preso corpo la consapevolezza della necessità di uno sviluppo ambientale «responsabile » e «responsabilizzato».

Anche se spesso si tratta di progetti molto più costosi, «per i quali è necessario superare l'ottica ottusa del semplice profitto per giungere a quel profitto, enorme in Italia, che ci può arrivare dal recupero e dal rispetto non invasivo del paesaggio ». Così è nata la Cantina Antinori: «Un luogo importante, ma invisibile; un punto privilegiato per vedere la campagna senza essere visti; qualcosa che facesse incontrare contemporaneità e tradizione, lasciando intatta la bellezza della collina sulla quale sorge; una cantina che fosse un edificio importante, ma non monumentale e che si nascondesse nel paesaggio». [...]

Le parole d'ordine? Ancora una volta «rispetto» e «ambiente». L'obbiettivo: «capire finalmente il ruolo chiave che anche un semplice porto turistico può avere nel sistema paesaggistico ». Di fatto, «realizzare nuove architetture in perfetto equilibrio tra terra e mare». Più ecosostenibile di così!

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giovedì 5 giugno 2008

Via libera alle case solo se certificate

Articolo del Giornale di Brescia dell'1 giugno 2008. In attesa di definire il Piano di governo del territorio, il Comune sceglie la linea dura: via libera alle nuove case solo se certificate. Sulzano, si costruisce con «Casaclima». Il sindaco Giuseppe Ribola: «Bisogna investire nel risparmio energetico».



Gli unici edifici ammessi in costruzione, secondo le nuove regole dettate nel Pgt, saranno «Casaclima» di tipo A. Una scelta radicale per il Comune sebino che, già dallo scorso anno, ha vincolato l’edificabilità sul proprio territorio secondo le norme di «Casaclima», una casa progettata per ottenere un significativo risparmio energetico. «Abbiamo avallato la sensibilità dell’ufficio tecnico, rappresentato dall’architetto Francesa Martinoli, che ha frequentato un corso a Bolzano sulle ’’Casaclima’’ e si è fatta portavoce per promuovere ed organizzare incontri oltre a creare una cultura nuova tra i tecnici del settore» spiega il sindaco di Sulzano Giuseppe Ribola.

Oggi, mentre il Comune sta definendo il Pgt, le scelte principali sono già state fatte: «Le aree edificabili sul nostro territorio sono già state individuate nel numero di quattro ma non ancora approvate dalla Provincia - continua il responsabile dell’ufficio tecnico Martinoli -: due di queste sono ’’ambiti di trasformazione per pubblica utilità’’, cioè aree verdi di completamento di proprietà comunale; una terza è in località Predabbio ed un’altra un lotto singolo (anche se per le ultime due si pone il dubbio dell’approvazione provinciale, ndr).

Per queste aree si chiede un ulteriore sforzo al privato in modo tale da avere un ’’edificio passivo’’, ovvero un immobile che, grazie ad un particolare involucro, ha un fabbisogno per il riscaldamento inferiore a 3 metricubi di gas metano al metroquadrato all’anno; in un appartamento di cento metri quadri, per esempio, si spendono 100 euro all’anno con una temperatura interna di 20 gradi». Nelle due aree di pubblica utilità inserite nel Pgt un’ulteriore novità sarà la mancanza di rete gas: per riscaldare l’acqua il calore verrà integrato dai pannelli solari mentre la cucina sarà completamente elettrica, «perché il metano diventerà una risorsa troppo preziosa» afferma convinta la Martinoli.

Sulzano inoltre si doterà, a breve, di uno sportello «Casaclima», il primo in tutta la Regione (uno simile è aperto ad Arzignano in provincia di Vicenza). Sarà lo stesso Comune, dove verrà consegnata la pratica secondo le disposizioni tecnico-organizzative, ad inoltrare la pratica direttamente a Bolzano; dopo trenta giorni arriverà il parere con la nomina del collaudatore. «Il privato, a Sulzano, è già partito dando fiducia alla ’’Casaclima’’, nelle aree definite dall’ex Prg è ora obbligatorio edificare Casaclima di tipo B (quando l’indice termico è inferiore ai 50kwh/mq l’anno) - afferma il sindaco -: ora tocca al pubblico dimostrare di credere nel risparmio energetico. Partiranno a breve due o tre iniziative pubbliche di ’’Casaclima’’ con interventi sul Palazzo Comunale, sulle scuole elementari e sul palazzo ex sede dell’Asl». Grazie a queste scelte Sulzano è diventato un esempio per i Comuni vicini, quelli più sensibili al tema del risparmio energetico.
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