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mercoledì 28 novembre 2007

Il pubblico interesse giustifica la modifica dei provvedimenti urbanistici

Tratto da "L'esperto risponde", allegato al quotidiano "Il Sole-24 Ore" del 18 novembre 2007



Premesso che il quesito posto all'esperto del "Il Sole 24-Ore" è firmato da una cittadina di Passirano, riportiamo di seguito il testo della sua lettera.


"Io e mio cugino siamo proprietari di un terreno di 16.950 metri quadrati complessivi, diventato nel 2005 area edificabile. Siamo in possesso del progetto approvato dal Comune che prevede l'edificabilità di 8.000 mq cubi, di cui 1.600 per edilizia economico-popolare e altre direttive per quanto concerne la realizzazione di verde pubblico, parcheggi, e realizzazione di una rotatoria. Abbiamo provveduto alla rivalutazione del 4%, stiamo pagando regolarmente l'Ici e non abbiamo ancora provveduto alla vendita di tale area. Ad aprile è cambiata l'amministrazione comunale e quest'ultima ci dice di voler ridurre i metri cubi da edificare. Può la nuova giunta comunale cambiare un progetto approvato dall'amministrazione precedente?"


Ecco il testo della risposta del dr. Massimo Sanguini

"La pubblica amministrazione può sempre modificare i propri provvedimenti, non come conseguenza del cambio dell'esecutivo, ma nel perseguimento del pubblico interesse cui è vincolata la propria attività. Per far ciò, ovviamente, l'ente pubblico deve fornire adeguata motivazione, in particolare quando si impone un sacrificio al privato che aveva fatto legittimamente affidamento sulla determinazione dell'amministrazione, specie se concordata. In tal senso, si è pronunciata anche la giurisprudenza amministrativa, secondo cui le previsioni contenute in un piano di lottizzazione approvato dal Comune possone essere disattese da quest'ultimo attraverso provvedimenti di variante al PRG e a condizione che siano prospettate congrue ed esaustive motivazioni di interesse pubblico (Consiglio di Stato, sezione IV, 30.9.2002 n° 4980, e nello stesso senso TAR Abruzzo 5.3.2004, n° 212).

Ciò vale a maggior ragione nel caso di specie, non essendo neppure necessaria una variante al PRG, in quanto risulterebbe approvato solo il progetto di lottizzazione ma non il piano di lottizzazione. Ne consegue che, appunto, l'amministrazione comunale può ben chiedere la modifica del progetto, non perchè è cambiata la Giunta, ma solo perchè possono essere cambiati gli obiettivi che la nuova amministrazione si è prefissata per il perseguimento dell'interesse pubblico".


martedì 27 novembre 2007

Referendum contro la cementificazione

di Anna Salvioni – Articolo pubblicato martedì 27 novembre 2007 sul Giornale di Brescia


Cologne: dopo la raccolta di 1.200 firme la lista Civica chiede una consultazione sul futuro urbanistico.


Prima l’esposizione delle osservazioni, poi la raccolta delle firme e ora la richiesta di un referendum sul futuro urbanistico di Cologne e sulle aree per attrezzature pubbliche. Sono queste le azioni fondamentali messe in atto, negli ultimi tempi, dal gruppo di opposizione “Civica colognese” di fronte alle scelte amministrative di realizzare nuove costruzioni.

“Il 25 settembre scorso – hanno spiegato dal gruppo guidato da Franco Boglioni – sono state consegnate al sindaco le 1.200 firme che abbiamo raccolto tra i cittadini, tutti concordi nella preoccupazione per l’incessante cementificazione cui è stato sottoposto il nostro comune e che sta cambiando la natura della nostra comunità, sia dal punto di vista della fruibilità del territorio, che da quello estetico, oltre all’evidente constatazione che la maggior parte dei servizi comunali risultano ormai palesemente inadeguati alla nuova dimensione raggiunta dal paese”.

A luglio e settembre la lista si è fatta promotrice della petizione “Salvaguarda e migliora il tuo paese”, mirata a raccogliere consensi per sollecitare la Giunta a modificare […] la destinazione di una porzione di area non ancora edificata e rientrante nel piano di recupero ex Edera, a parcheggio e verde, evitando la costruzione di nuove case. […]

“In un primo contatto avuto in consulta urbanistica, abbiamo riscontrato freddezza e derisione nei confronti di chi ha firmato la petizione”, hanno concluso dalla Civica. “Considerata la chiusura della Giunta […], ora chiediamo la convocazione di un referendum popolare per il futuro del paese”.





I Sindaci e il tesoro da 3 miliardi di euro l’anno

Di Gianni Trovati – Articolo de “Il Sole-24 Ore”



Per i Comuni le concessioni edilizie sono un tesoro. Nel 2005, ultimo anno su cui sono disponibili tutti i consuntivi per elaborare conti aggregati, lo scrigno ha riservato ai sindaci 3,2 miliardi di euro, cioè il 41% in più di quanto conteneva 5 anni prima. Ad offrire di più sono i cittadini del Trentino alto Adige, che nel 2005 hanno versato per questa voce più di 100 euro (il doppio della media nazionale), seguiti da toscani ed emiliani, mentre dall’altro capo della classifica friulani e calabresi se la sono cavata con poco più di 20 euro a testa.

Su questo tesoro ad ogni Finanziaria si gioca un braccio di ferro tra Comuni e Governo. Con un rituale preciso lungo il quale dapprima l’Esecutivo evita la proroga che concede agli enti di utilizzarne una quota per finanziare le spese correnti, e poi la concede in varia misura per soddisfare le rchieste pressanti delle Autonomie.

Per quel che riguarda il 2008 ad oggi siamo a metà del balletto. Il Ddl Finanziaria licenziato dal Senato concede la possibilità di destinare alle spese correnti il 25% dei proventi, cioè la metà rispetto all’anno scorso (quando un’altra fetta del 25% poteva essere dedicata alla manutenzione ordinaria del patrimonio immobiliare dell’ente). Di fatto rispetto al 2006 e 2007 (nel 2005 la quota svincolata era del 75%) si tratta di un riposizionamento di oltre 800 milioni di euro, che devono imboccare la strada obbligatoria degli investimenti.

Ma il balletto non è finito, perché a Montecitorio i Comuni tornano alla carica con un emendamento che chiede di replicare il regime previsto l’anno scorso, e di congelarlo fino al 2010. Anche per dare ai bilanci pluriennali un grado di certezza che la continua altalena delle proroghe (non solo su questo tema) ha sempre negato, minando alla radice il significato stesso dello strumento.

Le continue deroghe contrastano con un principio basilare delle contabilità, non solo pubblica, che vieta di finanziare le spese ricorrenti con entrate di carattere straordinario. Un principio, in realtà, che per i proventi da concessione edilizia incontra una fortuna alterna nella stessa normativa, che a questi proventi assegna una collocazione in bilancio più che incerta.

All’origine del problema c’è il Dpr 380/2001 che ha trasformato il via libera comunale alla costruzione da concessione a permesso, e ha sistemato il relativo introito in entrate tributarie del Titoli I. Il Siope, cioè il sistema informatico con cui la Ragioneria generale dello Stato monitora i conti locali, lo ha riportato più coerentemente tra le entrate in conto capitale del Titolo IV (che, quindi, non possono essere utilizate per le spese correnti).

Ma è anche da segnalare che la Commissione Bilancio al Senato sta discutendo una risoluzione per collocare tout court i proventi tra le entrate correnti. A sottolineare la sua importanza nell’equilibrio dei bilanci c’è anche l’attenzione crescente riservata a questa entrata da parte della Corte dei Conti. Che nelle relazioni annuali sui bilanci chiede ai comuni le serie storiche per evitare che qualche ente ritocchi artificiosamente la voce per far quadrare conti riottosi al pareggio, e che nel 2007 (Dlgs 113) è chiamata a vigilare con le procure regionali su tutte le occasioni in cui gli enti concedono a privati lavori a scomputo sotto la soglia comunitaria.



lunedì 26 novembre 2007

Il concetto di eccellenza nel governo di un Comune

di Oriano Giovanelli, Presidente di Legautonomie


- Prima breve premessa. Parlare del concetto di eccellenza significa entrare in un campo di valutazione in cui l’elemento soggettivo è ancora molto grande rispetto a parametri di valutazione oggettiva; questo rappresenta già un primo problema perché sarebbe di contro importante far crescere un sistema di valutazione riferito a parametri condivisi, confrontabili e verificabili; penso alla produzione di ricchezza, alla coesione sociale, alla qualità ambientale, ai tempi di risposta, all’economicità delle gestioni e così via. Però ancora non è così ed è a mio avviso un segno di arretratezza, né possono supplire a questa mancanza le rilevazioni pur interessanti che annualmente vengono fatte di diverse testate giornalistiche. Quindi le considerazioni che farò saranno assolutamente soggettive.

- Seconda breve premessa. Quando parliamo di eccellenza ci riferiamo ad un’idea di performance amministrativa dove c’è anche il peso di una forte componente di azione politica, il confine fra politica e amministrazione è del resto così labile e mutevole che bisogna mentalmente assumere un atteggiamento dinamico, non due linee parallele ma due linee sinuose che si intersecano e si allontanano, in questa sede comunque non diamo un giudizio politico in senso stretto. Può esserci un Sindaco politicamente eccellente perché amato dai suoi concittadini e poi un risultato amministrativo mediocre. La politica a volte segue percorsi che sfuggono alla razionalità; quindi non parliamo di questo.

- Il concetto di eccellenza nel governo di un Comune ha subito negli ultimi anni una forte evoluzione, direi un cambio radicale. Fino ai primi anni ’90 si potevano ascrivere sotto la dicitura “eccellenti” quei comuni che, pur nelle diversità di dimensione e collocazione geografica, si impegnavano su temi ricorrenti. Erano quelli che attrezzavano il loro comune con servizi estesi e di qualità nel campo dell’educazione all’infanzia, nel campo del sociale, case di riposo per gli anziani, centri diurni per i portatori di handicap ecc. e sapevano spingersi anche oltre le strette competenze previste dalla legge per affrontare nuove domande poste dalla società, dalle famiglie, dalle persone.

Erano i Comuni che si dotavano di buoni piani regolatori per il governo della forte spinta alla crescita urbana, che lavoravano per evitare che i nuovi quartieri nascessero privi dei principali servizi e di luoghi di aggregazione. Erano comuni attenti al ruolo della cultura nella città. Erano i comuni che attrezzavano in modo efficace aree industriali e artigianali per andare incontro alla domanda delle imprese o per attrarre imprese nel loro territorio. Erano i comuni delle municipalizzate per la gestione del servizio gas, nettezza urbana, trasporto pubblico, servizio idrico, farmacie.
Erano comuni animati dalla volontà di fare, che riuscivano a motivare le strutture tecniche, per lo più selezionate per via politica, e a dare risposte in tempi decorosi. Erano i comuni che puntavano alla coesione sociale anche attraverso forme di coinvolgimento dei cittadini, di partecipazione, di informazione.

Ecco, questi mi sembrano i parametri che hanno segnato la crescita del ruolo dei comuni e ci hanno consegnato un patrimonio di grande valore. Un patrimonio cresciuto e caratterizzatosi grazie ad una qualità della spesa delle risorse messe a disposizione dallo Stato centrale e ad una azione che si dipanava prevalentemente all’interno dei confini amministrativi del comune.

- Oggi le condizioni interne agli enti e soprattutto nella società sono cambiate in modo così forte che anche quelle amministrazioni comunali che hanno nel passato raggiunto risultati positivi, se non interpretano adeguatamente le novità rischiano di scivolare verso una pur gloriosa autoconservazione e pian piano arretrare.
Provo a citare alcune di queste novità. Innanzitutto il fatto che oggi un comune mediamente deve contare sul 70% di risorse proprie e quindi non da trasferimenti statali o regionali. Questo significa che una amministrazione non si qualifica più solo per la qualità della spesa ma anche per la qualità del prelievo tributario e fiscale. E’ chiamata a porsi il problema dell’equità, è chiamata a fare i conti con la razionalità del prelievo rispetto al quale i cittadini misurano le prestazioni e i servizi, è chiamato a porsi il problema dell’evasione. E’ chiamato a porsi il problema della qualità della pianificazione delle risorse a fronte degli obiettivi.

E’ chiamato a prestare molto di più attenzione alla rendicontazione, a dare cioè ai cittadini gli strumenti di valutazione per renderli compartecipi dei risultati e delle difficoltà. Un esempio è l’avanzo di amministrazione. Se in passato produrre avanzo sulla spesa corrente a fronte dei trasferimenti dello Stato poteva voler dire presentarsi ai cittadini con la buona novella di avere disponibilità di risorse “fresche,certe e immediate” da riconvertire in investimenti, oggi presentarsi a cittadini con un avanzo vuol dire prestarsi alla critica di aver prelevato più del necessario e del non essere stati capaci di spendere per gli obiettivi per i quali quelle risorse erano state chieste ai cittadini stessi. Un comune che produce avanzo di amministrazione non è più eccellente.

Un altro esempio si può fare sui servizi educativi o sociali. Difendere i servizi esistenti è certamente una operazione importante, ma se questi servizi esistenti non soddisfano più la quantità della domanda o la qualità della stessa a fronte della presenza di bambini immigrati da inserire negli asili nido o nelle scuole materne, o non riesce a sostenere l’assistenza domiciliare o i servizi per i non auto sufficienti, si apre un problema, si crea un giudizio negativo. E non basta al cittadino che il comune si trinceri dietro alla scarsità delle risorse se a rimaner fuori dai servizi sono proprio quelli che ne avrebbero più bisogno.

Quello che il cittadino si aspetta è la capacità di rivedere i servizi, di industriarsi cercando forme di gestione nuove, comunque che si arrivi a dare una risposta o si dimostri un dinamismo nel cercarla. Allora se in passato il sistema pubblico dei servizi era un indiscutibile fattore di eccellenza, oggi conta molto meno se quel sistema dei servizi è tutto pubblico, se coinvolge il terzo settore, o vede l’intervento del privato “accreditato”. E’ il risultato rispetto ad una domanda nuova, il rapporto fra tariffe-certezza-qualità del servizio che qualifica l’eccellenza anche in questo settore più della capacità di conservare l’esistente.

Anche per quanto concerne il governo del territorio siamo di fronte a novità consistenti. Fare un buon piano regolatore continua ad essere una azione virtuosa, ma quando i problemi infrastrutturali, ambientali, delle aree produttive, della collocazione dei grandi servizi commerciali, vengono concretamente messi sul tappeto e vissuti criticamente e con sofferenza dai cittadini ci si accorge che quello strumento è inadeguato, perché i problemi scavalcano i confini amministrativi e alle persone e alle imprese interessa la loro soluzione e non il confine di competenza del Sindaco e del Consiglio Comunale. Allora l’eccellenza in questo caso sta nella capacità di farsi protagonisti di un governo territoriale di area vasta che fronteggi le novità e non condanni i cittadini a subire gli effetti di una crescita urbana che deborda dai confini comunali, pur in presenza di un ottimo piano di governo del territorio.

Per non dire dei servizi a rete. Dove sta l’eccellenza se i servizi gestiti anche in modo scrupoloso dalle ex municipalizzate non reggono alla prova dell’economicità, danno luogo a incrementi tariffari forti, si dimostrano inadeguati rispetto alla capacità di produrre almeno gli utili necessari a garantire gli investimenti necessari all’ estensione delle reti o una adeguata manutenzione di quelle esistenti; ed è più eccellente un comune che si impegna per stare dentro alle dinamiche di quello che inevitabilmente diventa sempre più un mercato aperto o quello che difende caparbiamente la propria dimensione municipale?

Ma anche tutte queste considerazioni non esauriscono il tema della sfida che un comune deve affrontare per essere eccellente. Ciò che viene chiesto oggi ad un comune va ben al di là del fare anche in modo diverso le cose che ha sempre fatto. Il terreno di giuoco è completamente nuovo.

Due esempi le politiche per lo sviluppo e l’innovazione tecnologica. Che il nostro paese ha problemi a crescere economicamente e a competere nel nuovo scenario globale è, purtroppo, noto a tutti. Che per uscire da questa situazione assieme alle politiche comunitarie e a quelle statali siano sempre più rilevanti le politiche locali è noto almeno agli addetti a lavori. Quello che è meno noto è come si fa a far svolgere ad un comune un ruolo attivo per lo sviluppo di un territorio, quando non basta più evidentemente assecondare la domanda di aree artigianali e industriali, o creare un contesto socio culturale favorevole all’impresa.

I comuni eccellenti questo in passato lo hanno fatto per lo più con intelligenza sia laddove c’era la grande industria, sia laddove sono nati i “distretti”, lavorando prevalentemente all’interno del loro territorio, con un rapporto diretto con gli imprenditori e facendo leva pressoché esclusivamente sulla propria macchina amministrativa, in considerazione del fatto che ciò che a loro veniva chiesto era nella loro disponibilità.

Nella crisi attuale ripetere quel metodo di lavoro significa andare verso la sconfitta certa. Detto che approfondire questo tema sarebbe troppo lungo in questa sede, il fatto è che al comune per agire positivamente sullo sviluppo di un territorio vengono chieste più cose, diverse da quelle del passato e che non sono nella sua cassetta degli attrezzi ma deve andare a cercarsele mettendosi in rete con il territorio e con realtà che pur non facendo parte del territorio possono essere funzionali allo sviluppo del territorio stesso.

Se vuole che le sue decisioni siano efficaci, producano risultati deve condividere prima l’analisi, gli obiettivi e le azioni per perseguirli con gli attori fondamentali che animano il territorio, che si tratti di altre istituzioni, di università, camere di commercio, soggetti privati, mondo associativo.
Allora l’eccellenza non si misura più sulla qualità delle decisioni proprie del comune ma da come riesce ad orientare, a far decidere un’intera comunità a seguire una certa strada piuttosto che un'altra, a valorizzare tutte le risorse effettivamente disponibili che spesso sono molte di più di quelle che siamo portati a credere.

Se lo sviluppo dipende non più da una netta divisione dei ruoli fra azione amministrativa e azione imprenditoriale, l’eccellenza sta nel saper produrre integrazione, mettere in rete le risorse, andare tutti insieme allo scopo pur seguendo ognuno le proprie funzioni e perseguendo i propri interessi. Questa non è solo un’azione di coordinamento politico, è un’azione professionale che cambia il carattere della struttura amministrativa dell’ente e le professionalità che la compongono.

Il discorso sull’eccellenza si fa ancora più intrigante se parliamo di innovazione tecnologica, cioè di quella potenzialità senza pari che in tempo reale ci introduce in ogni piega della dimensione locale e ci proietta in un mondo che improvvisamente sta dentro ad uno schermo. Ricordo ancora quando nei primi anni ’80 i comuni eccellenti meccanizzarono l’anagrafe e così tagliarono nettamente i tempi di risposta per quel tipo di servizi. Sembra preistoria.

Che fa un comune eccellente oggi di fronte alle nuove tecnologie? Fa un sito, un portale, favorisce l’accesso ai documenti dell’amministrazione, mette in rete la possibilità di accedere ad alcuni servizi (sono ancora pochissimi quelli che lo fanno davvero), apre forum on line di discussione con i cittadini sulle questioni della città, magari implementa con le potenzialità delle tecnologie un percorso di bilancio partecipato, mette in rete il piano di governo del territorio, fa lo sportello unico per le attività produttive, cambia il modo di lavorare e di integrarsi dei propri uffici, si mette in rete con gli altri uffici della pubblica amministrazione.

Se facesse tutto questo in tanti farebbero oohh!!!! E non solo i bambini. Eppure, come è ben comprensibile, saremmo ancora lontanissimi dall’eccellenza. Un comune non può disinteressarsi per le cose dette prima dell’arretratezza tecnologica delle imprese e di norma il comune sa che le imprese da sole non c’è la fanno soprattutto quando sono di dimensioni piccole e piccolissime. Il comune non può disinteressarsi della promozione nelle reti lunghe della globalizzazione delle virtù e delle opportunità che il suo territorio offre ed è ad esempio un bel problema se le sue strutture alberghiere del territorio non sono al passo con i tempi in tema di nuove tecnologie.

Il comune non può non occuparsi di fare dei propri cittadini una comunità tecnologica, che non è una forma di abbrutimento, ma la rimozione di una delle più pericolose barriere alla piena esigibilità di diritti e opportunità. Il comune non può non sapere che se vuole una città giovane deve portarsi al livello dei giovani nella capacità di percepire e agire le potenzialità delle nuove tecnologie, negli Stati Uniti e credo non solo è un percorso che comincia alla scuola materna. Le nuove tecnologie allontanano davvero come mai prima la frontiera dell’eccellenza, una bella sfida davvero che vale la pena raccogliere.

Ecco, sulla base di queste considerazioni e tante altre potrebbero essere svolte, ho cercato di mettere a fuoco come cambia il concetto di eccellenza e chi si ostina a fare le stesse cose sempre nello stesso modo anche se ha un passato glorioso alle spalle rimarrà indietro, per questo sono convinto che il futuro è di chi cambia.

sabato 24 novembre 2007

Il degrado del paesaggio italiano

Articolo pubblicato su "Il Sole-24 Ore"




II vicepremier Francesco Rutelli contro l'«Italia dei geometri». Le categorie professionali contestano le critiche sostenendo che il paesaggio italiano è stato rovinato per mancanza di pianificazione e politica mirata. Un concorso di colpa per la scarsa tutela del patrimonio ambientale e architettonico del Bel Paese.
In occasione del seminario del Fai tenutosi ad Assisi, il ministro per i Beni e le attività culturali ha sottolineato che «gli architetti e gli urbanisti del dopoguerra hanno perso una battaglia storica, magari anche per colpa della politica. Non sono riusciti a imporre una leadership culturale e quindi una cifra stilistica alla trasformazione del territorio». Di fatto, aveva concluso Rutelli «hanno vinto i geometri che hanno accondisceso in modo incompetente, sbrigativo e dozzinale a ogni bisogno del committente. Con i risultati che vediamo».
Un duro attacco che per una settimana ha scatenato critiche da parte delle diverse categorie. «Il degrado? È colpa degli architetti e non dei geometri - ha dichiarato Ilario Tersio - presidente del collegio dei geometri - perché sono loro che hanno competenza per i piani regolatori». D'altro canto l'urbanista Pier Luigi Cervellati in un'intervista rilasciata in questi giorni ha dichiarato che «urbanisti e architetti non hanno mai perso la battaglia culturale sul paesaggio, perché non l'hanno mai combattuta veramente. Noi architetti e urbanisti, siamo tutti responsabili non solo dello scempio del paesaggio agrario italiano ma anche di quanto avviene nei centri storici».
Il dibattito aperto da Rutelli contro la crescita dei valori immobiliari, la fragilità della pianificazione e la scarsa qualità architettonica ha puntato i fari su una questione che chiama in causa tutti: progettisti, imprese, committenti, mezzi di comunicazione e potere incluso. Un tema caldo che evidenzia l'assenza di una regia, nazionale e regionale, di programmi pluriennali di governo del territorio. […]

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Fin qui l'articolo del "Sole-24 Ore". Quel che deve far riflettere è che nessuno tra geometri, architetti, progettisti, committenti, imprenditori edili e politici - che ora si rimpallano le diverse responsabilità – ha cercato di negare l'evidenza. Perchè tutti sappiamo che è in atto "… lo scempio del paesaggio italiano". E nonostante questo, continuiamo a far finta che non sia così.


venerdì 23 novembre 2007

Più cemento per fare soldi

di Davide Carlucci - Articolo pubblicato il 10 novembre 2007 sul quotidiano La Repubblica

Diminuiscono le risorse dei Comuni, che puntano sulle cubature per fare cassa. «I trasferimenti dello Stato si assottigliano, si ventila anche una diminuzione dell´Ici, i piccoli centri che necessitano di opere pubbliche non hanno alternative se non l´aumento indiscriminato delle cementificazioni» denuncia il sindaco di Bereguardo, nel Pavese, ormai invaso dalle villette dei milanesi. Centinaia di paesi rischiano di venire inghiottiti dalle metropoli che s´estendono. Negli ultimi 10 anni – calcola il Centro di ricerche per l´edilizia – si sono prodotti 3 miliardi di metri cubi di cemento.

Il "bel riguardo", quel "bello sguardo" che si apriva ai Visconti prima e agli ufficiali napoleonici quattro secoli dopo dal castello di Bereguardo, ora rischia di dissolversi per sempre. Il comune pavese ha bisogno di liquidità. Il maniero visconteo deve difendersi ora dalle infiltrazioni, le scuole non bastano più ad accogliere gli alunni che arrivano anche dai paesi vicini e il sindaco, Maurizio Tornielli, guarda oltre l´orizzonte, a nord, dove s´indovina la grande città, Milano. «Dista 30 chilometri di autostrada. Siamo a dieci minuti dalla fermata metro di Famagosta. A un milanese conviene vendere l´appartamento in città e comprare la villetta qui: arriverà prima al lavoro e gli avanzeranno anche un po´ di soldi da investire».

Tornielli ha la sua spiegazione del perché i Comuni privilegino l´espansione residenziale: «I trasferimenti dallo Stato si assottigliano. E si ventila anche la diminuzione dell´Ici. Dove prenderemo i soldi? I piccoli comuni che necessitano di opere pubbliche non hanno alternativa se non l´aumento indiscriminato delle cementificazioni». Sebbene nel 2007 ci sia stata un´inversione di tendenza - i trasferimenti sono aumentati del 4,2 per cento - i timori di Tornielli non sono infondati. Uno studio dell´Anci avverte che «la principale fonte di entrata tributaria dei comuni è l´Ici». In quelli con meno di mille anime arriva al 57 per cento. Rispettare il patto di stabilità è più duro per un paesino, dice Secondo Amalfitano, presidente dei comuni "under 5000" dell´Anci: «Lo scuolabus per pochi bambini costa molto di più, in proporzione, che nelle città».

A spingere verso l´opzione cemento, suggerisce l´urbanista del Politecnico di Milano Paolo Pileri, è stata la decisione di «liberalizzare», tre anni fa, la destinazione dei soldi incassati dai Comuni per le nuove urbanizzazioni: «Prima potevano essere usati solo in minima parte per le spese correnti, ora non più. E la tentazione di ricorrere all´espansione edilizia per realizzare asili è forte». Centinaia di paesi rischiano di venire inghiottiti dalle città, che estendono ormai le loro lingue di cemento anche in altre regioni. «I milanesi vanno a vivere nel Piacentino o nel Novarese», avverte Mario Breglia dell´osservatorio "Scenari immobiliari".

Tra il 2001 e il 2005, calcola il Cresme, centro di ricerche per l´edilizia, l´esodo dalle aree metropolitane è stato inarrestabile. Napoli è scesa sotto il milione di abitanti, l´hinterland ha toccato quota 2,1 milioni. L´entroterra romano si è arricchito di 130mila abitanti, arrivando a 1.280mila. A Milano la Provincia tenta di ridurre il consumo di suolo - che Legambiente vuol ridurre per legge - ormai a livelli stratosferici: in alcuni comuni sfiora il 100 per cento. Quelli che conservano ancora un po´ di campagna, come Pozzuolo Martesana o Rosate, rischiano di diventare periferia. I comuni di pianura satelliti delle città registrano un boom demografico. San Giorgio al Piano, nel Bolognese, ha acquistato dal 2005 mille abitanti, arrivando a 7.700. [...]

giovedì 22 novembre 2007

Lo sviluppo insostenibile

Tratto dal sito Eddyburg



Alberto Asor Rosa la chiama «crisi di un sistema ». Cioè della catena economico- elettorale che per decenni ha saldato, nella Toscana guidata dalla sinistra, i vertici politici alla base nel nome dello sviluppo del territorio. Ora si è aperta una frattura. Sempre Asor Rosa: «C'erano le scelte degli amministratori. E intorno a quei progetti si coagulavano inevitabilmente molti interessi. Ma si garantiva una certa vivibilità. Ora c'è la nuova economia. Che ha un prezzo inaccettabile, un territorio non più salvaguardato com'era tradizione». Insomma la Toscana Infelix, l'ha definita tempo fa lo stesso Asor Rosa. Ed ecco la frattura. Da una parte le giunte di centrosinistra, da quella regionale fino alle tante comunali, impegnate in uno «sviluppo» senza precedenti visto come motore di nuova occupazione. Dall'altra la «Rete toscana dei comitati per la difesa del territorio » che domani, sabato, si riunirà a Firenze alle 10 al teatro dell'Affratellamento in via Gian Paolo Orsini. Presiederà Asor Rosa, paladino della battaglia per la salvaguardia di Monticchiello, e che ora pilota una galassia di 162 comitati. Si difende di tutto: dalle piazze storiche in pericolo (Fucecchio, Prato, Fiesole) al territorio interessato dall'ampliamento dell'aeroporto di Ampugnano passando alla lotta contro gli insediamenti da 12.000 metri cubi a Casole D'Elsa per arrivare a chi si oppone alla trasformazione dell'antico borgo di Castelfafi in un resort di lusso da parte di una multinazionale tedesca. Qualcuno ha già tirato in ballo un parallelo con i Girotondi. Vento di destra? Paolo Baldeschi, docente di Urbanistica a Firenze, relatore del documento politico, sorride: «Sono e resterò un uomo di sinistra. Ma la regione Toscana non fa quel che dice. Qui siamo pieni di buone intenzioni: la legge di governo del territorio, il piano di indirizzo territoriale... ma mancano i controlli e così molti comuni agiscono nella piena illegalità. L'unica via è il ricorso al Tar o alla Procura. E questo è tragico. Gli oneri di urbanizzazione possono essere impiegati anche nella spesa corrente. E così i comuni diventano "drogati di edilizia". Massacrando un territorio irripetibile, come quello toscano, un patrimonio dell'umanità». Claudio Greppi, architetto e urbanista, docente di Geografia a Siena realizza la mappa delle emergenze: «Ho sempre navigato nei mari della sinistra, il Pci non mi tesserò perché ero "eretico"... Ma qui l'ideologia non c'entra. Se a San Casciano Val Di Pesa il Comune pensa di concedere il permesso di edificazione di un megacapannone coperto di ben tre ettari per la costruzione di camper, significa che il calo di cultura di gestione del territorio è drammatico. La legge regionale del 1995 concesse piena autonomia ai Comuni. Che ora agiscono senza controlli». Della vicenda di Casole Val D'Elsa ( www.casolenostra.org), un complesso da 12.000 metri cubi per 16 palazzine bloccato dalla procura di Siena cinque mesi fa dopo l'emissione di 17 avvisi di garanzia, si occupa il fisico Roberto D'Autilia, ex elettore Pci e ora Ds: «Hanno anche disboscato un ettaro di terreno, la Forestale ha spedito una multa da 100 mila euro. Le giunte Ds della cittadina hanno permesso un insediamento mostruoso. Un tempo la sinistra regalava alla politica i Ranuccio Bianchi Bandinelli che mai avrebbe messo mano al territorio. Oggi genera solo piccoli politici, facili prede di pescicani e speculatori». Nel gruppone c'è anche un ex consigliere comunale Pci di Fiesole, Cosimo Mazzoni, avvocato e docente di Diritto civile a Siena. Che ora presiede il Comitato per Fiesole (www.comitatoperfiesole. org), ostile al parcheggio sotterraneo a piazza Mercatale voluto dalla giunta di centrosinistra «e ai sei cantieri spalancati nel centro storico. Nel nostro fascicolo lo abbiamo chiamato "lo sviluppo insostenibile"». Insomma, altro che vento di destra. Infatti lo «scisma» allarma la sinistra toscana al governo. Molti Comitati si sono trasformati in liste civiche alle elezioni amministrative. Come ha raccontato Violante Pallavicino, coordinatrice delle politiche dell'informazione dei Comitati i risultati sono stati sorprendenti: «13% alla lista di Pistoia, 27% a Monterotondo Marittimo, 20% a Rignano sull'Arno, 6% a Regello». Il fenomeno è in espansione. I Comitati toscani hanno già dato vita all'appello «Salviamo l'Italia» (firmato da Andrea Zanzotto, Andrea Camilleri, Mario Rigoni Stern). Un modo per far compiere un «salto nazionale» all'iniziativa. La Toscana, insomma, fa scuola. Infatti anche le Marche si stanno organizzando con una rete analoga (col supporto dell'attivissimo Comitato per la Bellezza di Vittorio Emiliani) e tra gli animatori ci sarebbe l'ex presidente della Cassazione Ferdinando Zucconi Galli Fonseca. Il presidente della regione Toscana, il ds Claudio Martini, ha assicurato ad Asor Rosa una replica al documento politico che verrà votato sabato. Lo scisma rientrerà davanti a un tavolo di consultazione sul territorio toscano?

mercoledì 21 novembre 2007

In mancanza dei Budda aggrediamo il paesaggio

di Mario Pirani

I toscani son fumantini e facilmente la polemica con loro volge in aceto. Se ne è accorto Vittorio Emiliani, il quale, dopo una brillante carriera giornalistica, ha dedicato la seconda parte della sua esistenza all’ambientalismo e alla difesa della bellezza, dando vita, appunto, ad un comitato che si richiama espressamente a questo nobile fine. E, come poteva, partendo da questo assunto, non scontrarsi con alcune brutture inflitte alla più bella delle regioni italiane? La sua denuncia non è, però, piaciuta agli amministratori fiorentini, così come non era piaciuta quella del professor Asor Rosa quando aveva protestato per la sconcia lottizzazione di Monticchiello e per l’allargamento di una fabbrica di laterizi nel bel mezzo di una zona protetta dall’Unesco.

Peraltro Emiliani ha parlato nel quadro di un convegno sulle devastazioni territoriali avvenute in tutta Italia nell’ultimo quindicennio durante il quale sono stati “divorati” altri 3 milioni 663 mila ettari di verde, una superficie pari al Lazio e all’Abruzzo uniti, con un consumo del territorio senza eguali in Europa. Vi sono ormai regioni, come il Veneto e la Liguria, quasi interamente ricoperte di cemento e asfalto. Colpisce, inoltre, che, nel contempo, la crescita esponenziale (+ 21%) dell’edilizia privata sia correlata al crollo dell’edilizia pubblica e sociale. Quindi si “consuma” il suolo a solo vantaggio della rendita mentre restano con la fame di casa giovani coppie, immigrati, anziani impoveriti.

Anche questo è un primato negativo del nostro Paese che ha il 4% di alloggi sociali sul totale delle abitazioni nei confronti del 31% del Regno Unito, del 38% della Francia, del 39% di Austria e Svezia e di ben il 55% della Germania. Inoltre in questi paesi una apposita legislazione obbliga e/o incentiva per le nuove costruzioni l’utilizzazione delle cosiddette brown field (ex aree industriali, strutture edilizie degradate, ecc.). In Inghilterra una legge nazionale impone addirittura di allocarvi il 70% di ogni nuova costruzione (il sindaco di Londra sta arrivando al 100%).

Vorrei, però, tornare al discorso sulla Toscana la quale, essendo una delle regioni più belle del mondo, suscita sensibilità più vigili che per altre, come argomenta Emiliani indicando ad esempio negativo – dopo Monticchiello, l’Argentario, Pienza — altri casi come la gigantesca cantina alle porte di Capalbio e il maxi parcheggio che incombe sul borgo medievale, le lottizzazioni di Poggio del Leccio e di Casole d’Elsa, ecc.

Ma quel che suscita allarme, ben oltre i singoli casi, è la delega affidata in ultima istanza ai Comuni in merito alla difesa del paesaggio. Così, con una risibile interpretazione della «democrazia partecipativa», si è non solo abrogato l’art.9 della Costituzione secondo cui «la Repubblica tutela il paesaggio» (non certo i comuni), ma si è innescato un diffuso conflitto d’interessi: gli enti locali, sempre a corto di mezzi, sono invogliati a introiti aggiuntivi, attraverso concessioni edilizie, spese di urbanizzazione, ecc. tanto più che hanno ottenuto di usarli come spesa corrente, cosa che la vecchia legge Bucalossi vietava. Una pratica che può invogliare in qualche caso anche a finanziamenti illeciti, di partito o personali.

Purtroppo a Firenze ci si è inalberati per la denuncia. «Non capisco questo accanimento contro la Toscana», ha scritto sull’Unità l’assessore regionale al Territorio, Riccardo Conti, contestando i dati Istat riportati da Emiliani. In conclusione, però, affronta meritoriamente quello che a suo avviso (e anche a mio) è il punto politico centrale: «Vogliamo una conservazione attiva (attenzione all’aggettivo, ndr) del nostro territorio. Quello che non vogliamo è che si affermi una idea della Toscana come un’arcadica regione residuale. buona solo per i fini settimana di ospiti illustri. Siamo una complessa moderna regione europea». Affermazione che rivela un pernicioso errore ideologico derivante dalla ottocentesca «religione del Progresso industriale ».

Oggi in Europa l’icona delle ciminiere e degli opifici è, invece, resa sbiadita dalla globalizzazione. Le fabbriche del mondo saranno sempre più in Cina, in India, in Indonesia, in Brasile. In Occidente subentrerà, per chi saprà raccogliere la sfida, l’impresa immateriale, tecnologica, informatizzata. In questo quadro l’Italia possiede un solo bene insostituibile, non scalfibile dalla concorrenza, il territorio. Ogni ettaro distrutto è una picconata contro noi stessi. Chi non lo capisce si comporta come i talebani che fecero saltare i Buddha di Bamyan in nome dell’islamismo puro e duro.


Il piano triennale 2008-2010 di Passirano

Con delibera n° 98 del 10 ottobre 2007, la Giunta comunale di Passirano ha adottato il programma triennale dei lavori pubblici da realizzare nel triennio 2008-2010 (per i dettagli si veda l'immagine seguente).





Prima considerazione: nonostante le dichiarazioni rese dall'assessore alla Pubblica Istruzione durante il consiglio comunale del 29 settembre 2007, nel programma triennale delle opere pubbliche non c'è alcuna traccia del polo scolastico. Cosa pensare? Che probabilmente si è trattato di una tempesta in un bicchier d'acqua, perchè i fatti (ovvero il piano triennale) dicono che non sarà speso un solo euro per l'edilizia scolastica da oggi fino al 2010. A questo punto però è inevitabile domandarsi quale possa essere la linea politica di questa Amministrazione in materia scolastica. E, soprattutto, se dobbiamo credere alle affermazioni dell'Assessore o al piano triennale.

In secondo luogo va sottolineata la realizzazione nel 2008 della nuova fognatura di via Castello a Passirano, opera che costerà 250.000 euro. Dell'incidenza dei costi della dispersione abitativa ci eravamo già occupati nel post I costi della dispersione edilizia, ragione per la quale evitiamo di ripetere concetti già espressi ed approfonditi in quella sede. Tanto più che, ormai, il dado è tratto...

Altro capitolo importante è lo stanziamento di ulteriori 130.000 euro per non meglio specificate "sistemazioni esterne all'ex casa del fascio". Ma davvero non ci sono modi migliori per spendere 260 milioni di lire? Sugli interminabili lavori di "restauro e risanamento conservativo" si veda il post La ex casa del fascio? Un "buco nero" (la definizione sembra piuttosto azzeccata).

Potevano mancare alcune centinaia di migliaia di euro per il completamento del centro sportivo? Certo che no. E infatti nel 2010 il centro sportivo assorbirà altri 500 milioni di vecchie lire. Qualcuno si starà chiedendo: ma il centro sportivo non era già stato completato? Pareva proprio di sì, tanto più che con la delibera n° 27 del 8.3.2007 la Giunta ha "approvato lo studio di fattibilità [...] relativo al completamento opere del campo sportivo, che comporta una spesa di € 150.000,00 di cui per lavori € 120.000,00 ed € 30.000,00 per somme a disposizione dell’Amministrazione". Quella delibera non lasciava intendere che i lavori di completamento ...... avrebbero definitivamente completato i lavori? Spiace deludere i contribuenti di Passirano, ma evidentemente manca ancora il completamento ... del completamento. Chi volesse ricostruire (parte) della storia del centro sportivo può rileggere il post Quanto è costato il centro sportivo di Passirano?


Quale giudizio dare di questo piano triennale?
Viste le premesse confessiamo la nostra difficoltà a trovare e comprendere la filosofia di fondo che deve sempre legittimare la programmazione delle opere pubbliche, operazione la cui rilevanza finanziaria e sociale è fin troppo evidente.

Detto in altri termini, in assenza di un chiaro ed inequivocabile disegno politico la programmazione delle opere pubbliche rischia di trasformarsi in uno sterile, arbitrario e disarticolato elenco di interventi (a questo proposito si veda il post Rappresentanza politica o espressione di volontà individuali? e il post Hobbes e il percorso pedonale).


martedì 20 novembre 2007

Documento sul paesaggio del F.A.I. (Fondo per l’Ambiente Italiano)

È convinzione, più volta ribadita, del FAI – Fondo per l’Ambiente Italiano, che bene artistico e bene paesaggistico meritino il medesimo impegno di tutela in quanto sono entrambi preziosi beni culturali. Sono due concetti intimamente correlati poiché non si può pensare di salvaguardare un monumento senza preoccuparsi di ciò che gli sta intorno.
L’unicità che contrassegna tanti paesaggi italiani deve essere difesa dai molteplici attentati nascosti dietro falsi progetti di sviluppo, individuando nel paesaggio un sistema complesso e articolato di sedimentazioni storiche e memorie che ne determinano l’identità


Aggiornare e rivedere le leggi di tutela
Da qualche tempo si discute con crescente insistenza sull’eventualità di una revisione delle leggi di tutela: revisione che secondo alcuni dovrebbe consistere in un integrale rifacimento; secondo altri in un aggiornamento delle leggi esistenti. È bene ricordare che alla base dell’attuale discussione vi sono essenzialmente due motivi:
1. L’avvenuta moltiplicazione dei soggetti preposti, in un modo o in un altro, alle varie forme di tutela.
2. L’insoddisfazione e l’avversione di alcuni di tali soggetti verso altri.


I diversi parametri dell’azione di tutela
Mentre il punto 1 è un dato di fatto obiettivo, il punto 2 deve essere oggetto di attento studio e sarebbe sbagliato scegliere in base a simpatie o alleanze che hanno origine in un quadro assai diverso da quello della tutela. Inoltre occorre domandarsi se le leggi sulla tutela costituiscono effettivamente un fatto unitario o se non si debbano valutare con criteri diversi la tutela che proviene dall’esistenza di specifiche presenze archeologiche o storiche e la tutela di ambienti complessi e di paesaggi.


Non esiste un solo paesaggio
La storia della tutela, è un altro fatto, è passata dal singolo frammento all’insieme, dalle leggi del 1939 alla cosiddetta “Legge Galasso” 431/85: non c’è adesso una certa volontà di rimettere in discussione proprio l’insieme come oggetto di tutela? Il paesaggio è l’insieme di diverse componenti - architettura, agricoltura, urbanistica; non c’è un solo paesaggio, ma tanti paesaggi e bisogna rifuggire dall’unicità ideologica.


Il caos delle competenze pianificatorie
Ecco perché è bene considerare sempre, contemporaneamente, tutto il quadro legislativo in quanto è dal combinato-disposto di molte leggi a diverso livello (Stato, Regioni, Enti locali) e di vari periodi (dal 1939 alle recentissime leggi Bassanini) che deriva la situazione attuale.
Aggiornare o cambiare la 1089, la 1497 o la 431 non ha senso se contemporaneamente non si interviene a modificare coerentemente altre leggi nazionali e regionali, se non si determina con precisione il quadro delle competenze pianificatorie oggi distribuite tra regioni, Stato e altri enti pubblici. E tantomeno si può ignorare il grande complesso legislativo della Comunità Europea.


Il fine comune è il benessere della società
Non si tratta solo di contemporaneità operativa di leggi e di istituzioni, ma anche di contemporaneità di discipline e di campi d’intervento. È dalla convergenza che deriva l’assetto generale sia a livello di “paesaggio” che a livello di “territorio” o di altre categorie sia culturali che economiche. Il paesaggio, l’ambiente, il territorio, i beni culturali e ambientali, la pianificazione, la politica agricola comunitaria, il turismo devono essere concordemente disciplinati e devono coerentemente operare per l’unico fine: il benessere della società e, in essa, degli individui.


Per una “Carta del paesaggio”
Questo quadro complesso, ma unitario, può essere definito redigendo una “Carta del paesaggio”: dichiarazione dei fini da perseguire, a cui i singoli atti legislativi e attuativi devono mirare e su cui si può verificare la loro congruenza. Su tale carta devono basarsi il metodo e gli strumenti attraverso cui operano i vari ministeri variamente interessati ai temi dell’ambiente e del paesaggio, le regioni e quant’altri.


Il ruolo dell’educazione scolastica
A fianco della “Carta del paesaggio” deve essere messo in atto l’insegnamento del paesaggio e dei suoi componenti: la natura, l’agricoltura (non soltanto sotto il profilo della coltivazione della terra, ma anche in quanto fonte di un’alimentazione sana e corretta, di promozione turistica, di nuove opportunità occupazionali; senza ovviamente trascurare il ruolo esercitato dall’agricoltura nella prevenzione di smottamenti e incendi), le presenze storico-testimoniali, il patrimonio culturale e artistico, a tutti i livelli scolastici (dalle materne all’università) e para-scolastici, coprendo la storica carenza dell’insegnamento italiano verso ciò che non è mera speculazione intellettuale astratta.


Ampliare il valore del vincolo
La Carta dei paesaggi deve anche affrontare, superando le incertezze riscontrabili nella normativa vigente, l’argomento dell’ampliamento del vincolo dal singolo monumento al suo contesto, dell’estensione del valore del vincolo da semplice strumento di controllo a strumento d’intervento consapevole per le soprintendenze sul territorio, nonché dell’inserimento di nuove forme architettoniche nel paesaggio e del significato che si intende dare alla parola “restauro” applicata al paesaggio: un concetto per ora vuoto al quale è necessario dare un preciso e rigoroso contenuto.
La tutela, infatti, ha come obiettivo il mantenimento di valori (indipendentemente dai criteri con cui possono essere valutati), ma noi viviamo in un momento storico in cui tali valori hanno subito un tale degrado da non potersi recuperare con giri di valzer semantici. E il recupero passa necessariamente anche attraverso una progettazione coordinata con la progettazione del nuovo, la quale, però, non deve essere mitizzata, né tantomeno considerata equivalente e confrontabile con i valori preesistenti.


La tutela non è un ostacolo per lo sviluppo
La contrapposizione di una politica della tutela a una politica dello sviluppo, insieme al luogo comune - troppe volte ripetuto - secondo cui la tutela si oppone allo sviluppo e il degrado è il prezzo inevitabile – anche se spiacevole - da pagare, non possono essere più accettati. Sono convinzioni che si basano su conti sbagliati, sulla sopravvalutazione di immediati guadagni in alcuni settori e, di contro, sulla sottovalutazione dei successivi oneri e degli enormi danni che vengono scaricati su altri settori, più deboli e meno rappresentati, ma non per questo meno incidenti sulla qualità dell’ambiente e sulla vita della società.


Tre proposte per salvare il salvabile
– Elaborare piani paesistici senza deroghe (causa primaria della vanificazione di ogni proposta)
– Unificare tra le regioni i criteri di tutela del paesaggio
– Predisporre un’iter di verifica e approvazione dei piani urbanistici in zona di tutela che preveda una “Conferenza dei servizi” a cui partecipino i rappresentanti della Soprintendenza, della Regione e dei Comuni di appartenenza. In tal modo si accelererà il processo di approvazione del piano in esame che sarà valutato al meglio sia sotto l’aspetto della tutela sia dello sviluppo compatibile.

lunedì 19 novembre 2007

Sottotetti e furbetti del quartierino

Di seguito si riporta il testo di una lettera firmata inviata al Direttore del Giornale di Brescia, pubblicata lunedì 19 novembre 2007.


In questi giorni ho visionato per l’eventuale acquisto alcuni appartamenti in costruzione nella zona sud della città. - Con stupore ho riscontrato una pratica diffusa; il fatto che imprese e agenzie immobiliari facciano delle magie trasformando un bilocale in trilocale, ovviamente anche nel prezzo! - Cosa fanno? Vendono i sottotetti non abitabili collegati con scala interna al piano sottostante in modo da utilizzarli liberamente come abitazione dopo il passaggio del tecnico comunale ed il rilascio dell’abitabilità in barba a regolamenti edilizi, norme urbanistiche e d’igiene. - La furbata dove sta? Nel fatto che la non abitabilità del sottotetto è dovuta ad un’altezza dei locali di 2,68 o 2,69 metri anziché 2,70, il tutto riportato negli elaborati grafici approvati dalla Commissione edilizia del Comune di Brescia che finora non si è mai insospettita. - Ed ecco la famosa favola che si ripete: imprese ed agenzie immobiliari rassicurano dicendo che è tutto regolare, che nessuno si accorgerà mai di nulla, che evaderà l’Ici in quanto il sottotetto verrà accatastato come non abitabile, addirittura che, per quest’ultimo dettaglio, l’appartamento in caso di vendita sarà anche più appetibile sul mercato ecc. ecc. - Chiedo che qualche responsabile del Settore dell’edilizia/urbanistica del Comune di Brescia, considerata la probabile massiccia diffusione di questa tecnica, illustri agli acquirenti in cosa possono incorrere adibendo ad abitazione un sottotetto non abitabile. - Mi stupisco che il Comune di Brescia abbia impiegato enormi mezzi e risorse per l’approvazione del nuovo Piano Regolatore e del Regolamento Edilizio e nonostante tutto non sia riuscito a prevenire l’azione dei soliti «furbetti del quartierino».



Fin qui la lettera, che è davvero un ottimo spunto per riflettere su cosa succede - e sia successo - a proposito di sottotetti e volumi architettonici nel territorio di Passirano. Argomento sul quale contiamo di tornare presto.




sabato 17 novembre 2007

Se la politica è a circuito chiuso

di Piero Ignazi – stralcio di un articolo tratto dal magazine “Ventiquattro”

Il nostro sistema politico non ha mai goduto di molta fiducia da parte dei cittadini. Le ragioni sono antiche. Risalgono indietro nel tempo, nei lunghi secoli di dominio autocratico da parte di piccole e grandi dinastie, tanto nazionali quanto straniere. E’ una zavorra della quale non ci siamo liberati né al momento dell’unità nazionale, né con il ritorno della democrazia nel dopoguerra. […]

Nonostante il distacco e la diffidenza verso lo Stato, ancora abbondantemente presenti nella fase repubblicana, i cittadini italiani non si sono mantenuti lontani dalla politica: al contrario, hanno partecipato massicciamente a tutte le tornate elettorali conquistando primato internazionali, hanno aderito a milioni ai partiti politici, si sono mobilitati a ripetizione in migliaia di manifestazioni.

Il coinvolgimento non è mancato, nonostante un brontolio di fondo di insoddisfazione. O forse è avvampato proprio grazie a quel brontolio, in un desiderio titanico di cambiare le cose. La passività e la rassegnazione che tanto stupivano gli studiosi stranieri che facevano il loro dottorato girando per i paesini del Sud (su tutti merita una citazione il celeberrimo libro di Edward C. Banfield "Le basi morali di una società arretrata", riedito da Il Mulino nel 2006) si mescolava con un’intensa partecipazione alla vita politica. Sono infatti proprio lo spirito di fazione e la contrapposizione tra schieramenti, altro tratto costante della storia nazionale, ad aver fatto da molla; la propensione all’apatia è stata superata dall’accensione dell’elemento gladiatorio, di scontro, tipico peraltro della politica.

Questo meccanismo virtuoso ha però delle controindicazioni. Se esasperato può portare sulla soglia della guerra civile. Oppure alla saturazione, al surmenage, per usare una metafora sportiva. Oggi siamo arrivati a questo punto. Delle polemiche tra i partiti, delle baruffe tra i ledaer, della loro onnipresenza, ogni giorno, più volte al giorno, su tutti i canali televisivi, i cittadini italiani non ne possono più. L’urlo becero e volgare di Beppe Grillo non avrebbe avuto tanta eco se non fosse caduto su un terreno ricettivo.

L’insoddisfazione per i partiti non è comunque solo un problema nazionale. Investe tutte le democrazie, pur con le distinzioni del caso. Ma in altri paesi sono state adottate contromisure per fronteggiare l’ondata antipartitica. I maggiori partiti, ad esempio, hanno reso più facile l’adesione, hanno dato agli scritti più potere nella scelta dei candidati alle elezioni e alle cariche interne e hanno convocato referendum interni su grandi scelte politiche. E da ultimo hanno creato siti internet per interagire direttamente con i cittadini.

In Italia le innovazioni vanno a rilento. […] Se è difficile restaurare la fiducia in un’impresa collettiva qual è il partito, i rappresentanti hanno invece ancora delle chance per non perdere il contatto con i cittadini. La cultura della rispondenza dei propri atti nei confronti dell’elettorato non è ancora pratica corrente da noi. […]

Se la classe politica vuole uscire dalla crisi che l’ha investita, è bene prenda esempio dalle vecchie democrazie anglosassoni e si renda più accessibile e trasparente ai cittadini.



venerdì 16 novembre 2007

La battaglia per il bello nel paese dei geometri

Lettera del 15 novembre 2007 del Ministro dei Beni Culturali, Francesco Rutelli, al quotidiano "La Repubblica"



Caro Direttore, proprio sicuro, mi chiedono, che la colpa dei guasti al paesaggio italiano debba cadere sui geometri? Certo che no. Le colpe sono larghissime. Il mio intervento all´Assemblea del Fondo per l´Ambiente Italiano – se il problema fosse solo di offrire spunto per titoli ai giornali – si sarebbe potuto riferire polemicamente verso gli architetti. O verso i sindaci e le commissioni edilizie dei Comuni, le Regioni e i loro mancati piani paesistici, i legislatori degli ultimi 50 anni, una committenza pubblica e privata quasi sempre assente nelle strategie.

Ma è evidente che ci troviamo di fronte a un fallimento generale; e poiché la soluzione da trovare è ambiziosa e molto difficile, cerchiamo di uscire dai luoghi comuni. Da oltre un anno sto conducendo una battaglia per la tutela del paesaggio, di cui ho indicato i tre maggiori nemici nella crescita formidabile dei valori immobiliari (che rende remunerativo qualsiasi intervento edificatorio in ogni angolo del paese), nella confusione dei poteri e mancanza di programmazione delle trasformazioni del territorio, nella cattiva qualità delle progettazioni.

E´ evidente che i geometri italiani sono una categoria piena di sobrie e serie qualificazioni tecniche (io per primo le ho apprezzate, in molti campi, nella esperienza da Sindaco); ma nessuno potrà negare che moltissime costruzioni mono-bi-trifamiliari realizzate in ogni parte d´Italia dagli anni ´60 – spesso con poca attenzione a tipologie storicizzate e alla scelta dei materiali – e centinaia di migliaia di pratiche di condono edilizio portino anche quelle firme. Gli architetti hanno perso la madre di tutte le battaglie: quella di imporre la qualità del progetto come condizione culturale e civile – non solo intellettuale o professionale – del dibattito pubblico sul volto dell´Italia contemporanea.

La gran parte delle amministrazioni comunali si è regolata perché a dominare le trasformazioni urbane – nell´Italia profonda soffriamo il male di Villettopoli, ma nelle città viviamo il disastro dell´edilizia di periferia – fosse la quantità (i metri cubi, i metri quadri) piuttosto che rendere "conveniente" la qualità delle realizzazioni e realizzare attrezzature capaci di migliorare la vita nelle città. Le Regioni hanno combattuto solo in alcuni casi l´abusivismo; e solo raramente hanno programmato e governato le trasformazioni del paesaggio. Governi e Parlamento non hanno varato adeguate leggi per l´urbanistica, né per l´architettura; le pubbliche amministrazioni non hanno inserito il design nella programmazione di funzioni, servizi, infrastrutture.

La categoria più attiva nel campo delle opere pubbliche è divenuta quella degli avvocati, le opere pubbliche più diffuse essendo i contenziosi amministrativi e le liti giudiziarie. Costruttori e developer hanno raccolto negli ultimi anni l´oro delle città (le rendite), ma raramente lo hanno reinvestito per migliorare le città stesse. Nonostante abbia sviluppato capacità di tutelare e valorizzare il patrimonio antico molto meglio che nel passato, la Bella Italia è diventata generalmente più brutta?

Dunque, siamo al punto. E´ un punto di non ritorno: i programmi di edificazione previsti e prevedibili possono fare irreversibilmente male al Paese. Io ho proposto una strategia precisa: riformare il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, per rendere obbligatoria la co-pianificazione tra lo Stato (che ha il potere esclusivo della tutela del paesaggio) e le Regioni (che debbono elaborare i piani); i risultati della Commissione presieduta da Salvatore Settis attendono in queste ore una risposta di collaborazione da parte delle Regioni. Inasprire le sanzioni per le ferite illegali al paesaggio (da 6 mesi c´è un ddl in Parlamento).

Un impegno di tutti non solo del centrosinistra, perché non vi siano mai più condoni edilizi; un monitoraggio accorto per impedire scempi e realizzazioni orribili (le Soprintendenze, senza alcun fondamentalismo, hanno fermato decine di programmi insensati; abbiamo disposto alcune demolizioni esemplari di "eco-mostri" già costruiti). E´ in rete il Sitap, il sistema informativo dei Beni Culturali che descrive i vincoli sull´intero territorio nazionale.

Intendiamo promuovere nuova qualità della progettazione, della formazione, dell´organizzazione pubblica. Stiamo incentivando, pur con pochi mezzi, concorsi di architettura e riqualificazioni del paesaggio stressato. In termini generali, le grandi trasformazioni debbono riguardare innanzitutto le aree grigie come ha scritto Richard Rogers, ovvero il territorio compromesso e da riqualificare, piuttosto che il sempre più scarso territorio integro.

Soprattutto, è tempo di aprire un dibattito costruttivo e propositivo perché l´Italia del XXI secolo – la società italiana, non solo gli intellettuali, i tecnici, i politici – condivida la sfida della tutela e della trasformazione di qualità del paesaggio italiano come la prima e più importante causa culturale per cui valga la pena di impegnarci, se vogliamo che il destino delle "belle contrade" non sia memoria passata, ma messaggio al mondo e banco di prova dell´Italia contemporanea.




giovedì 15 novembre 2007

L'Italia dei geometri

Rutelli attacca l'«Italia dei geometri»: crescita senza stile, architetti sconfitti - 11 novembre 2007, Corriere della Sera

L'aggressione al paesaggio è «la minaccia più grave per il patrimonio culturale italiano». Il vicepremier al convegno del Fai: presto il reato di frode paesaggistica




ASSISI - «Gli architetti e gli urbanisti del dopoguerra hanno perso una battaglia storica, magari anche per colpa della politica. Non sono riusciti a imporre una leadership culturale e quindi una cifra stilistica alla trasformazione del territorio nell'Italia contemporanea. Di fatto hanno vinto i geometri che hanno accondisceso in modo incompetente, sbrigativo e dozzinale a ogni bisogno del committente. Coi risultati che vediamo».

Francesco Rutelli, ministro per i Beni e le attività culturali, approfitta di una platea tra le più sensibili al tema del paesaggio per dichiarare «conclusa la stagione dell'espansione edilizia indefinita». Il ministro parla al convegno del Fai, il Fondo per l'ambiente italiano presieduto da Giulia Maria Crespi, che ha organizzato un seminario interno («Sos paesaggio, aggiornarsi per intervenire ») ad uso dei volontari per dotarli di nuovi strumenti legislativi e normativi nelle loro attività. Il Fai è apprezzatissimo da Rutelli («siete un modello di dedizione, partecipazione, qualità, intelligenza»). Rutelli definisce l'attacco all'integrità del paesaggio «in assoluto la minaccia più grave per il patrimonio culturale italiano». Colpa, dice il ministro, «della crescita dei valori immobiliari, della fragilità della pianificazione, dei continui conflitti sulla tutela tra Stato, regioni e comuni». Ma è tempo di dire basta perché «siamo un Paese denso, stretto, fitto». E invia un messaggio molto chiaro alle regioni che ormai da tempo rivendicano piena autonomia in materia di gestione del territorio (guarda il caso Toscana): «La Corte Costituzionale, con la sentenza 367 del 7 novembre scorso, ha respinto tutti i ricorsi delle regioni contro lo Stato affermando che proprio allo Stato tocca il compito della tutela del paesaggio visto come "valore primario e assoluto". Quando arrivano i vincoli, questi vanno rispettati. Presto arriverà anche il reato di frode paesaggistica». Una dichiarazione di guerra, anche se molto soft, a «villettopoli».

Per di più il ministro conclude con una conferma: «Sia ben chiaro. Mai più condoni edilizi, così ha deciso questo governo ». Inevitabile l'applauso della platea (c'è anche, come delegato Fai, il neo-presidente della Biennale di Venezia, Paolo Baratta). Ma il convegno del Fai (il direttore generale Marco Magnifico ha illustrato le mille iniziative dell'associazione) serve a scoprire anche una fetta inedita d'Italia. E così, mentre le giunte toscane di centrosinistra sono contestate «da sinistra» per «villettopoli », da Assisi arriva la voce del suo sindaco di Forza Italia Claudio Ricci (giunta di centrodestra con tre liste civiche) che annuncia un programma avanguardistico e sperimentale in tema di tutela del paesaggio: «La nostra città è patrimonio Unesco dell'umanità. Entro gennaio inseriremo in quel piano di gestione, ma nel contesto del piano regolatore perché abbia piena efficacia, le linee guida sperimentali di restauro del paesaggio. Saremo i primi a farlo. Dobbiamo spiegare che non è impossibile intervenire sul nostro territorio. Perché si può. Ma a patto di rispettare regole ben precise in materia di volumetrie, materiali, tecniche architettoniche, alberature, siepi. Indicheremo anche come realizzare un marciapiedi o gli infissi. Lo sviluppo è insomma possibile ma nel contesto di un restauro complessivo del paesaggio. Con questo spirito siamo riusciti a convincere molti autori di abusi ad abbatterli».

Applauditissimo l'intervento dell'assessore regionale all'urbanistica della Sardegna, Gian Valerio Sanna, (ex Margherita ora Pd) che lancia un allarme: «Lo Stato non può lasciarci soli nella lotta per la difesa del nostro territorio. Siamo sottoposti all'attacco dei Tribunali amministrativi regionali e delle multinazionali immobiliari. Ma col paesaggio è in gioco la dimensione stessa dell'uomo, la sua qualità di vita, quella delle future generazioni. Noi abbiamo subito adottato un piano paesaggistico, come chiedeva il Codice Urbani. E perché lo Stato non commissaria le regioni inadempienti? Vuole o non vuole far rispettare il dettato costituzionale sulla difesa del patrimonio paesaggistico?». Sulla polemica architetti-geometri di Rutelli, da Roma risponde Giorgio Muratore, docente di Storia dell'Arte e dell'architettura contemporanea a «La Sapienza», gran polemista: «L'attacco ai geometri? Un luogo comune che si legge da cinquant'anni a questa parte. Ora bisogna vedere quanto c'è di buono nel lavoro dei geometri e quanto c'è di cattivo nella cultura degli architetti ». Le colpe maggiore di chi sono? «Della politica. La "ciccia" è lì... E nel plusvalore che si ricava dagli immobili. Ormai l'Italia è il festival dell'abusivismo. Ma la pessima architettura spesso "firmata" corrisponde a scelte politiche e non tiene mai conto della qualità intrinseca del prodotto».


Il paesaggio come limite dei progetti

Università di Firenze - Dottorato di ricerca in Progettazione Paesistica.
Seminario di studi "Il paesaggio come limite del progetto, il paesaggio come limite del piano". Stralcio della relazione di Paolo Castelnovi


[…] Sotto la feconda ombra del termine 'paesaggio' hanno convissuto in questi anni interi modelli disciplinari analitici che, con ridotta o nulla comunicazione tra loro, hanno tutti esplicitato una propensione a pianificare l'oggetto della loro attenzione. Di certo risulta che, salvo forse gli studiosi di letteratura, tutti gli altri indagatori di paesaggio si sono sentiti impegnati, forse sulla base di una spinta etica, a intervenire per determinare il futuro del paesaggio. Questa pressione si avverte a partire da quelli che considerano il paesaggio, come "una costellazione abbastanza caratteristica, solidale e unitaria di ecosistemi" sino a quelli che, incrementando via via la componente culturale dell'indagine, giungono a dichiarare il paesaggio "...una porzione determinata di territorio quale è percepita dall’uomo, il cui aspetto risulta dall’azione di fattori umani e naturali e dalle loro interrelazioni", e che applicano a tale paesaggio l’impegno di "consacrarlo giuridicamente come bene comune, fondamento dell’identità culturale e locale delle popolazioni, componente essenziale della qualità della vita e espressione della ricchezza e della diversità del patrimonio culturale, ecologico sociale ed economico".

Dovrebbe risultare evidente sin dalle definizioni (che si confermano se si approfondiscono i termini del problema) che in ogni caso si sta trattando di materia viva, che impone una considerazione olistica e processuale, che affonda la propria evoluzione in dinamiche sistemiche e di lunghissimo periodo, nelle radici stesse della struttura diversificata delle regioni e delle storie dell'abitare. Dovrebbe saltare agli occhi che in ogni caso si tratta di caratteristiche all'opposto da quelle delle materie che siamo preparati a pianificare: al massimo sappiamo trattare prodotti unificati e semplici di azioni specifiche (e non di sistemi complessi), considerabili in base omogenea (per tipo o per quantità e non per diversità), disciplinabili oggettualmente o nell'atto produttivo (e non nel processo, che sia naturalmente evolutivo o politico-culturale).

Ma soprattutto si trascura che il Piano nasce per dare ordine al futuro, e che dal Paesaggio, oggi, si ascolta per lo più una richiesta di difesa di valori del passato. Sappiamo che non si tratta di una difesa nostalgica ma attiva, che il miglior futuro è quello che continua la cultura del passato, che non trattiamo di passato da museificare ma di traccia per innovare, ma comunque è certo che il primo termine del Piano del paesaggio è conservare, mentre il primo termine di tutti gli altri piani è sviluppare.

Del disagio del Piano rispetto al Paesaggio testimonia una storia infinita di false partenze, di rigidità malsopportate, di attriti tra i diversi piani settoriali o comprensivi che ci siamo provati a fare negli ultimi vent'anni, ma solo raramente viene messa in discussione l'intima incompatibilità tra la radice metodologica della pianificazione a cui siamo abituati, piuttosto grezza e rigida, con la sempre più raffinata e completa comprensione della struttura del paesaggio che stiamo scoprendo.[…]


mercoledì 14 novembre 2007

Programmazione e controllo

Stralcio di un intervento di Giuseppe Farneti, Professore di Economia Aziendale nell’Alma Mater Studiorum Università di Bologna, Facoltà di Forlì




Gli enti locali devono affrontare i problemi che sono posti dalla Legge Finanziaria 2008. Un anno fa le tematiche erano simili. Presumibilmente lo saranno anche in futuro. Esse si collegano comunque a un argomento di fondo. Quello che fa riferimento alle risorse, sempre più limitate a fronte di bisogni sempre maggiori.

La strada da seguire, ne siamo convinti, trovando nella realtà un continuo riscontro, è solamente una. Chiara e anche agevole. Ma essa esige che la politica, mettendo in discussione molti comportamenti rituali e, comunque, atteggiamenti che con il quadro normativo attuale non dovrebbero essere più compatibili, scopra il “valore”, per realizzare bene le proprie finalità, del rinnovamento amministrativo-gestionale. Quel rinnovamento che le riforme di questi ultimi diciassette anni hanno introdotto. Un numero limitato, ma crescente di enti, ci sta provando, talora con successo.

Per chi scrive i concetti risolutivi fanno riferimento all’attività e alla strumentazione contabile della programmazione e del controllo. La programmazione serve a razionalizzare il processo decisionale in condizioni d’incertezza, come appunto si sta verificando. Il controllo ne è il completamento e riferisce obiettivi e risultati ai responsabili. La programmazione in particolare, per essere praticata, deve, prima, essere compresa e voluta dalla politica. Poiché serve alla politica: per realizzare le sue promesse, per comunicarlo, per promuovere il consenso.


I suoi strumenti non sono un fatto tecnico, o lo sono solo apparentemente. Esprimono invece, contemporaneamente, un dovere e una opportunità. Fronteggiare la finanziaria oggi, i suoi problemi, non deve significare la ricerca di come fronteggiare le urgenze, probabilmente pagando un prezzo in termini di minore efficienza e/o minore efficacia. Programmare le proprie politiche ha invece il significato opposto. Perché vi sono azioni, politiche appunto, che si possono solo costruire sul medio e lungo termine, in una visione strategica. Tale visione è invece assente allorché le decisioni affrontano i problemi quando si presentano, in condizioni di necessità, senza averne, prima, programmata la soluzione.

Purtroppo, il quadro delineato, che è anche il quadro “legale”, è molto lontano dall’essere concretamente e soddisfacentemente applicato. E’ una consapevolezza, questa, assai diffusa. Ma va approfondita, nei suoi concreti modi di essere. Dalla sua comprensione, che si va facendo strada, può così nascere la spinta a cambiare. [...]


Ma quali sono le cause della mancanza di programmazione e controllo?

1)il ruolo preponderante, sia come causa principale che come seconda causa, della mancanza di stimoli ad innovare e della variabilità ambientale;
2)la mancanza di conoscenze tecniche da parte degli amministratori e dei dirigenti/dipendenti;
3)con pari intensità rispetto al punto precedente, il condizionamento espresso dalla politica;
4) la non utilità di conoscere i risultati conseguiti.


Vi è da riflettere, profondamente. Da esse si comprende perché la politica non riesca spesso a migliorare i propri risultati puntando sull’efficienza, dunque a parità di risorse. Perché sia anche disattenta, talora, circa i risultati (l’efficacia), che sono quelli che interessano al cittadino.


Cosa fare? Ci limitiamo in questa sede ad alcune sottolineature, che dovrebbero essere parte della cultura che gli enti dovrebbero esprimere. Il primo punto, circa la mancanza di stimoli, va letto insieme al terzo, circa il condizionamento espresso dalla politica. Se la politica condiziona e impone non il bene comune, ma l’interesse delle parti, ogni discorso nel merito viene vanificato. Il controllo della società civile può costituire al riguardo una forte novità. Ma esso va promosso, e proprio per questo i controlli esterni assumono un evidente significato.



martedì 13 novembre 2007

Sviluppo e crescita?

Venerdì 9 novembre scorso si è tenuto a Borgonato il primo di una serie di incontri informativi, organizzati dall'Amministrazione comunale di Corte Franca, in vista dell'avvio del Piano di Governo del Territorio. Oltre ai tecnici estensori del PGT, erano presenti il Sindaco, l'Assessore all'Urbanisitica e il Responsabile dell'Ufficio Tecnico del Comune di Corte Franca.

Durante l'incontro si è parlato di PGT, ma anche di Valutazione Ambientale Strategica (VAS) e di Piano Paesistico. Quello che più interessa i cittadini del comune di Passirano è però la conferma - arrivata dallo stesso Sindaco di Corte Franca - che su un'area che fa parte del territorio del comune di Corte Franca, ma molto vicina all'edificato del Bettolino di Monterotondo - sorgerà a breve un nuovo complesso residenziale di 40 appartamenti.

Così, nonostante la contrarietà all'operazione espressa dagli attuali amministratori di Corte Franca, resta il fatto che - durante il mandato dei loro predecessori - è stato rilasciato il permesso di edificare decine di nuovi appartamenti, a pochi metri dal confine con il comune di Passirano. Decisione difficilmente condivisibile, si dirà, ma sostanzialmente identica a quanto avvenuto anche da noi, in via Castello a Passirano. Solo che nel caso di via Castello, il rilascio del permesso di costruire è relativo ad un complesso immobiliare sorto a pochissimi metri da Bornato.

E' del tutto evidente che la dispersione sul territorio di nuovi complessi di questo tipo - probabilmente realizzabili anche in zone molto più vicine all'abitato esistente - può generare costi molto elevati per l'intera comunità (vedi post Via Castello, ovvero i costi della dispersione edilizia). Detto questo, va rilevato un fatto politico non trascurabile: mentre gli attuali Amministratori di Corte Franca hanno pubblicamente dichiarato la loro contrarietà a questo tipo di interventi edilizi, la posizione dell'Amministrazione di Passirano sembra molto diversa.

Come noto, anche a Passirano sono cambiate le Amministrazioni (a questo proposito si veda la dichiarazione rilasciata dal Sindaco di Passirano al Giornale di Brescia il 23 ottobre 2007, e il post Il meglio degli ultimi vent'anni), ma non risulta che l'Amministrazione attuale abbia mai criticato l'operato urbanistico delle precedenti. Vista dunque la probabile prosecuzione della linea urbanistica già tracciata dalle vecchie amministrazioni, la preoccupazione è che con il nuovo PGT si decida di consumare nuovo suolo per altri complessi immobiliari lontani dai servizi e dall'edificato esistente.

Tornando alla vicenda Bettolino, è utile sottolineare che i nuovi residenti (80-100 persone?) del complesso immobiliare saranno probabilmente "costretti" a gravitare più su Monterotondo e Passirano che non su Corte Franca (ricordiamo che, tanto per fare un esempio, a Borgonato le scuole elementari non esistono più...). Ora, non avendo alcuna notizia su VAS e su PGT di Passirano, e in attesa di notizie sul Piano Paesistico (vedi post Il Piano Paesistico dell'elite), dobbiamo solo sperare che l'Amministrazione sappia valutare correttamente le ripercussioni di questo intervento residenziale alle porte di Monterotondo, e che sia in grado di trovare le opportune soluzioni soprattutto in materia di servizi e viabilità.


Il tutto senza dimenticare che se sommiamo i nuovi residenti in zona Bettolino (anche se ufficialmente cittadini di Corte Franca) ai residenti che occuperanno le unità immobiliari ancora da costruire nelle zone di completamento, e a quelli che risiederanno nelle unità immobiliari attualmente invendute, in 2-3 anni Monterotondo potrebbe raggiungere e superare i 1.200 abitanti. Questo significherebbe che, in meno di 15 anni, i residenti a Monterotondo sarebbero aumentati del 40%. Uno "sviluppo" (?) abnorme, ingiustificato e certo non coerente con l'effettiva richiesta di edilizia dei cittadini. Una "crescita" (?) ancor meno accettabile se si tien conto dell'assoluta mancanza di servizi che caratterizza la frazione.


Ma le cose potrebbero ulteriormente aggravarsi con il nuovo PGT, perchè c'è da aspettarsi che qualcuno sia tentato di portare a Monterotondo ulteriore sviluppo e nuova crescita. Ovvero, per usare una diversa terminologia, una nuova ondata di speculazione edilizia e consumo di suolo di pregio paesistico. Ipotesi che ai cittadini però non piace affatto. E la massiccia adesione alla proposta di modifica del Piano Paesistico ne è la prova più evidente (vedi il post 415 cittadini firmano per modificare il Piano Paesistico).


lunedì 12 novembre 2007

La situazione dei Consigli negli enti locali

Stralcio di un contributo di Eugenio Scalise.



[...] Se siamo convinti sul piano politico e culturale che l’attività dei consigli è necessaria per la corretta amministrazione della cosa pubblica, al pari di quella degli esecutivi, occorre adoperarsi per favorirla, anziché limitarla o ostacolarla. Di ciò devono essere innanzi tutto consapevoli i consiglieri stessi che devono dare autorevolezza ad un ruolo che ha avuto l’investitura popolare, ruolo che non è delegabile e che se non si esercita si viene meno agli impegni assunti con gli elettori. Chiedere di poter esercitare compiutamente la funzione e di disporre degli strumenti necessari non è solo un diritto, ma anche un dovere.

Molte difficoltà lamentate dai consiglieri potrebbero essere in parte superate con lo strumento regolamentare prevedendo le modalità di organizzazione e funzionamento del consiglio e delle commissioni; l’assegnazione di mezzi, risorse, personale all’ufficio del consiglio e ai gruppi consiliari; le modalità di presentazione delle proposte di deliberazioni della giunta al consiglio e di partecipazione degli assessori ai lavori delle commissioni; le modalità e i tempi di presentazione del documento programmatico e la partecipazione del consiglio alla sua definizione e approvazione; le modalità dell’esercizio della funzione di controllo.

Altri problemi hanno necessità dell’intervento legislativo. Per quanto riguarda l’attività deliberativa si rende sicuramente necessario un intervento per dare maggiori poteri al consiglio per la predisposizione del bilancio qualora la giunta non provveda nei termini. Infatti dopo l’abrogazione dell’art. 130 della Costituzione sui controlli preventivi di legittimità e sulla nomina dei commissari ad acta occorre dare al consiglio, escludendo che possano intervenire altri organi esterni all’ente, poteri sostitutivi per non incorrere nello scioglimento.

Contestualmente andrebbe abrogata la norma che consente alla giunta l’approvazione delle variazioni di bilancio in via d’urgenza restituendo al consiglio la pienezza dei poteri in materia di bilancio e tenuto conto che ormai i consigli sono in grado di deliberare gli atti urgenti in tempi molto brevi. Occorre restituire al consiglio pienezza di poteri sui regolamenti, abolendo l’eccezione oggi prevista per il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi assegnato alle competenze della giunta. Inoltre è necessario che la legge preveda che le linee programmatiche non siano soltanto presentate dal sindaco e dal presidente della provincia al consiglio, ma siano da questo approvate.

Il fatto che molti statuti già prevedano l’approvazione da parte del consiglio non giustifica il mantenimento di una norma che priva il consiglio di una competenza fondamentale, quale quella dell’approvazione del programma di legislatura, che si può ritenere l’atto di indirizzo più importante. Sul tema della funzione di controllo occorre avviare una seria riflessione perché è la funzione che presenta le maggiori difficoltà sia per la mancanza di mezzi a disposizione che per carenze normative. Si possono fare alcuni esempi. L’interrogazione è lo strumento classico del consigliere per chiedere spiegazioni alla giunta su un determinato argomento.

La legge prevede che all’interrogazione si deve dare risposta entro trenta giorni, ma se l’assessore non risponde o risponde in modo evasivo, quali strumenti ha il consiglio per tutelare il diritto del consigliere? Se la giunta non porta avanti una proposta approvata formalmente dal consiglio o perché non vuole o perché non la ritiene prioritaria, quali poteri ha il consiglio perché quella decisione legittimamente approvata dal consiglio sia resa esecutiva? Quali poteri di intervento hanno i consigli se ritengono negativo l’operato di un rappresentante dell’amministrazione in un ente esterno o l’operato di un singolo assessore? Di fatto nessuno, se non la denuncia politica.

Se si ritiene giusto che le nomine dei rappresentati esterni e degli assessori debbano rimanere nella esclusiva competenza del sindaco e del presidente della provincia, occorre prevedere anche qualche contrappeso nei poteri del consiglio che per legge deve esercitare il controllo dell’azione amministrativa. Non potrebbe essere previsto, ad esempio, che il consiglio possa chiedere la revoca di un rappresentante esterno o di un assessore se questi fosse ritenuto incapace? Perché in presenza di una situazione critica, ripetutamente fatta presente dal consiglio con atti formali, non si deve potere intervenire senza coinvolgere necessariamente l’intera amministrazione? [...]


domenica 11 novembre 2007

La città e i suoi valori

Di seguito uno stralcio di un editoriale dell'avv. Spallino, ex sindaco di Como


«La storia appartiene [...] a colui che sa conservare e venerare [...] le condizioni in cui è nato per coloro che verranno dopo di lui, e in questo modo serve la vita. Un'anima simile, più che proprietaria sarà proprietà del patrimonio degli avi» (Nietzsche, Considerazioni sulla storia).

Esiste un profilo etico, della lettura della città così come del paese, che sovente ci sfugge e che l'affermazione di Nietzsche invece richiama. La città è più di uno scambio di beni. La città «vivente», la città «armoniosa» di Peguy (Marcel, Premier dialogue de la cité harmonieuse) è quella che sa "mettere in comune le persone intorno alle sue radici - la memoria collettiva nelle pietre e nella natura - e intorno alla forma del suo futuro - il progetto partecipato".




Non è soltanto un fatto estetico, è un fatto sociale quello che istituisce il legame comunitario capace di costruire nei cittadini il «senso di appartenenza» a quel luogo. Altrimenti, anche abitando in quel sito, ci si sente soli ed estranei. La città, così intesa, è lo spazio e il tempo che sono necessari allo sviluppo delle persone secondo alcuni valori. La bellezza è tra di essi. Non la bellezza come spettacolo osservato passivamente, ma la bellezza come una delle funzioni per convivere.

«Consumare» la città è contemplarla attivamente, è dedicarsi ad essa, entrare in dialogo con essa, ascoltare cosa ti dice. Nel vissuto quotidiano, non potrebbe spiegarsi altrimenti il sentimento di fierezza che provano coloro i quali la vivono con quell'atteggiamento quando ne sentono gli elogi, e il sentimento di amarezza che patiscono quando ne ascoltano i biasimi. L'uomo che non si mette al servizio di questa convivenza, che non condivide questa storia, non può scoprire il prossimo, e quindi sé stesso e la città e la sua anima. Vivere in dialogo con la città, questo fa della città un bene pubblico, indipendentemente dalla proprietà dei singoli edifici dei privati (J.Comblin, Théologie de la ville, 1970).

Invertiamo i termini impiegati da Nietzsche: siamo consapevoli di essere gli «antenati» dei nostri discendenti ? E, come tali, di essere i «legatari» non i proprietari delle bellezze culturali e naturali che, senza titolo, abbiamo ricevuto in dote? E di avere quindi il dovere morale di trasmetterle ai nostri figli, quelle ricchezze, possibilmente accresciute?


sabato 10 novembre 2007

La partecipazione per demistificare la politica


Scrive Sergio Mattone: "... c'è una stridente afasia nei confronti delle istanze sociali che è il risultato di uno scollamento crescente e di una sordità persistente rispetto a quel che nel territorio, comunque, esiste e cresce: il maturare di soggettività, sensibilità e culture di nuova partecipazione; il diffondersi di nuovi bisogni e nuovi diritti e di una nuova capacità di proporre istanze che li promuovano e valorizzino. Insomma: c'é un "nuovo" diffuso, chiaramente conflittuale rispetto a un sistema di potere senescente, che non di rado produce arroganza ed esclusione".


E infatti, come negare che il sistema politico sia affetto da una grave crisi di rappresentanza? La progressiva perdita del rapporto diretto con i cittadini, crea nei politici un analfabetismo di ritorno che impedisce loro di "leggere" ed interpretare quella stessa società da cui provengono. In altri termini, i politici non conoscono i cittadini che dovrebbero governare. Da qui il rischio di produrre una cultura politica "d'oltre confine".

Che fare? E' necessario demistificare la politica e ridurre la (presunta) sacralità dei suoi riti. Come? Lo ha ricordato a fine 2006 il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano:

" ... non allontanatevi dalla politica. Partecipatevi in tutti i modi possibili, portatevi forze e idee più giovani. Contribuite a rinnovarla, a migliorarla culturalmente e moralmente.... Non ci si può rinchiudere nel proprio orizzonte personale e privato, solo dalla politica possono venire le scelte generali di cui ha bisogno la collettività, e la partecipazione dei cittadini è indispensabile affinché quelle scelte corrispondano al bene comune".


venerdì 9 novembre 2007

Il Consiglio di Stato in tema di jus aedificandi

n.7843/04 Reg.Dec. N. 1366 Reg.Ric. anno 1999 - Decisione del 29 ottobre 2004


Repubblica Italiana


In nome del popolo italiano



Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente decisione sul ricorso in appello n. 1366/1999, proposto da Gennaro Moccia, rappresentato e difeso dagli avvocati Giuseppe Abbamonte e Orazio Abbamonte, ed elettivamente domiciliato presso il loro studio, in Roma, via G. Porro, n. 8;
contro il Ministero per i beni culturali e ambientali, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, e per legge domiciliato presso gli uffici di quest’ultima, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
e nei confronti del Comune di Napoli, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Edoardo Barone, Bruno Ricci, Giuseppe Tarallo, ed elettivamente domiciliato in Roma, presso Gian Marco Grez, Lungotevere Flaminio, n. 46, pal. 4, scala B;
della Regione Campania, in persona del Presidente della giunta in carica, non costituita in giudizio;
per la riforma della sentenza del T.A.R. per la Campania – Napoli, sez. I, 1 ottobre 1998, n. 3069, resa tra le parti.




Visto il ricorso con i relativi allegati;
- visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero per i beni culturali e ambientali e del Comune di Napoli;
- viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
- visti tutti gli atti della causa;
relatore alla pubblica udienza del 29 ottobre 2004 il consigliere Rosanna De Nictolis e uditi l'avvocato Giuseppe Abbamonte per gli appellanti, l'avvocato dello Stato Melillo per il Ministero appellato, e l’avvocato Tarallo per il Comune di Napoli appellato;
ritenuto e considerato quanto segue.




FATTO E DIRITTO
1. Con convenzione del 20 ottobre 1926 il Comune di Napoli autorizzò la S.P.E.M.E. s.p.a. a costruire, sul versante sud della collina di Posillipo, fra Mergellina e Posillipo alto, un nuovo rione denominato Sannazzaro – Posillipo.
A questa prima convenzione fecero seguito quelle del 2 aprile 1930, del 10 agosto 1935, del 23 settembre 1948.
Infine, con d.P.R. 22 gennaio 1960, n. 75, fu approvata limitatamente alla zona di Posillipo orientale (rione Speme), una variante al p.r.g. della città di Napoli, vistata dal Ministro dei lavori pubblici, e, conseguentemente, fu stipulata la convenzione di lottizzazione del 10 ottobre 1960.

1.1. Il 31 marzo del 1972 fu approvato il nuovo p.r.g. di Napoli.
A seguito di annullamento parziale di tale piano (con sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, 30 settembre 1976, n. 827), nella parte relativa alle aree della lottizzazione S.P.E.M.E., il Comune di Napoli con provvedimento 11 dicembre 1979, n. 252, adottava una variante al p.r.g. del 1972, relativa alle aree già facenti parte della lottizzazione S.P.E.M.E.
In sintesi, tale variante confermava, con diversa motivazione, le scelte già operate dal p.r.g. del 1972 in relazione alle suddette aree.
Veniva confermato che nel rione Sannazzaro - Posillipo non potessero essere realizzati altri insediamenti abitativi, ma solo attrezzature, argomentando dalla necessità di adeguare il rione ai nuovi standards urbanistici di cui alla l. 6 agosto 1967, n. 767 e al d.m. 2 aprile 1968.
La variante al p.r.g. veniva approvata dalla Regione Campania, con delibera di giunta 12 giugno 1985, n. 4705, e decreto del presidente della Regione 29 giugno 1985, n. 11563, recependo il parere del comitato tecnico regionale 17 maggio 1985, n. 225. Tale parere, a sua volta, si esprimeva in senso favorevole alla variante, con la precisazione che alle aree che sono interessate da contenzioso giudiziario è assegnata la destinazione d’uso scaturente dal provvedimento giudiziario espresso in via definitiva.

1.2. Il giudizio impugnatorio avverso tale seconda variante è stato definito all’udienza del 29 ottobre 2004 (ricorso n. 1441/1995) con rigetto del ricorso di primo grado e riconoscimento della legittimità dell’operato dell’amministrazione comunale.

1.3. L’odierno appellante è avente causa della signora Concetta Capasso, la quale nel 1967 chiedeva licenza edilizia in relazione al lotto n. 55 facente parte della lottizzazione S.P.E.M.E.
La licenza venne negata dal Sindaco con provvedimento del 9 agosto 1969.

1.4. Il ricorso, proposto dall’interessata, fu accolto con decisione del Consiglio di Stato 29 gennaio 1971, n. 14.
Rilevò il Consiglio di Stato che il diniego di rilascio di licenza edilizia era da ritenere illegittimo perché basato su un generico contrasto con una disciplina edilizia non ancora in vigore.

1.5. L’amministrazione rimase inottemperante, e adottò un nuovo provvedimento di diniego della licenza edilizia, annullato dal T.a.r. per la Campania, con sentenza n. 7 del 1977. Ritenne il T.a.r. che la licenza edilizia andava rilasciata non tenendo conto delle sopravvenienze urbanistiche successive alla notifica della sentenza di annullamento del diniego di licenza edilizia.

1.6. L’odierno appellante, nel frattempo subentrato nella titolarità del lotto n. 55, sul presupposto del giudicato favorevole per la propria dante causa, chiedeva concessione edilizia.
In data 18 marzo 1994, sempre sul presupposto del suo jus aedificandi riconosciuto dal giudicato, formulava istanza al Ministero per i beni culturali e ambientali affinché quest’ultimo gli rilasciasse la concessione edilizia in sostituzione del Comune inerte.
Il Ministero con nota prot. 24696 del 7 novembre 1995 assicurava che sarebbero stati valutati gli elementi forniti in merito alla lottizzazione S.P.E.M.E.

1.7. Nel frattempo veniva approvato il piano paesistico relativo all’area di Posillipo, preclusivo di qualsivoglia edificazione privata sulle aree comprese nella lottizzazione S.P.E.M.E.

1.8. Con ricorso al T.A.R. per la Campania e successivi motivi aggiunti, l’odierno appellante ha impugnato il decreto 14 dicembre 1995, pubblicato nella G.U. del 26 febbraio 1996, con cui il Ministero per i beni culturali e ambientali ha approvato il piano territoriale paesistico relativo all’area di Posillipo.
Il T.A.R. adito con la sentenza in epigrafe ha respinto tutti i motivi di censura.

1.9. Ha spiegato appello l’originario ricorrente.

2. Con il primo e secondo motivo di appello viene contestato il capo di sentenza n. 2, che ha respinto le censure volte a contestare l’estensione del potere sostitutivo statale, nell’approvazione del piano paesistico, in luogo della Regione Campania.

2.1. Il T.a.r. ha osservato che la pianificazione paesistica è imperativa e vincolante per i privati, e onera gli strumenti urbanistici della necessità di adeguamento alle previsioni del piano paesistico.
Il T.a.r. ha ritenuto inammissibili le doglianze con cui si lamenta che il piano paesistico non avrebbe rispettato la sua funzione programmatoria, imponendo in via generalizzata vincoli e divieti.
Le censure sarebbero altresì infondate essendosi il piano mantenuto nei limiti della sua funzione, e ben potendo un piano paesistico conformare la proprietà privata imponendo vincoli e divieti.


2.2. Parte appellante critica la sentenza osservando anzitutto che la stessa non avrebbe colto il punto centrale delle censure articolate in prime cure, con cui si lamentava la violazione del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni. Il piano sarebbe stato adottato senza valutare le proposte di una commissione formata di esponenti della Regione e degli enti locali. Inoltre il potere surrogatorio statale, nell’adozione del piano paesistico, non potrebbe invadere le competenze urbanistiche riservate a Regioni ed enti locali.
Con il secondo motivo di appello si contesta specificamente il capo 2.2. della sentenza, e si osserva che il piano ha vincolato vaste aree del territorio, vietandovi la edificazione, in contrasto con l’art. 23, r.d. n. 1357 del 1940, secondo cui il piano paesistico non potrebbe imporre un generalizzato divieto di edificazione, ma dovrebbe selezionare zone edificabili e zone non edificabili, secondo un criterio a macchia di leopardo.

2.3. Le censure sono infondate.
2.3.1. La commissione consultiva non è prevista nel procedimento tipico di formazione del piano paesistico in via surrogatoria, sicché il suo omesso funzionamento non può considerarsi viziante del procedimento, avendo altresì la stessa non una funzione consultiva vera e propria, ma dovendo solo costituire un momento di confronto dei diversi interessi.

2.3.2. Il piano paesistico relativo all’area di Posillipo ha esercitato, per quel che interessa le aree della lottizzazione S.P.E.M.E., - le sole per le quali va riconosciuto in capo all’appellante un interesse al ricorso - , compiti di salvaguardia paesistica, senza sconfinare nelle competenze urbanistiche di pertinenza di Regioni e Comune.

2.3.3. L’ultimo profilo di censura è ammissibile solo nei limiti dell’interesse del ricorrente, vale a dire limitatamente ai vincoli imposti dal piano paesistico in relazione alle aree della lottizzazione S.P.E.M.E. In relazione a tali aree,
il vincolo assoluto di inedificabilità non travalica le funzioni proprie del piano paesistico, giustificandosi in relazione alla particolarità dell’area, già interessata da una massiccia edificazione, e necessitante, pertanto, di un intervento preclusivo della ulteriore attività edilizia privata, in funzione di conservazione e recupero dei residui valori paesistici.

3. Con il terzo motivo di appello, si contesta il capo 4 della sentenza.

3.1. Il T.a.r. ha ritenuto che l’approvazione del piano paesistico sarebbe supportata da adeguata attività istruttoria, dovendosi ritenere congrua la scelta della p.a. di utilizzare una cartografia con scala 1 a 100.000; ad avviso del T.a.r. dato il carattere pianificatorio del provvedimento, neppure sarebbe necessaria una puntuale motivazione relativamente alle singole aree vincolate, a meno che non fosse necessaria una particolare considerazione di specifiche situazioni.



3.2.
L’appellante critica tale capo di sentenza osservando che egli è appunto titolare di una situazione specifica, atteso il pregresso giudicato che gli ha riconosciuto il jus aedificandi. Sicché, il piano paesistico avrebbe dovuto specificamente prendere in considerazione la sua posizione.
Osserva altresì l’appellante che la cartografia utilizzata in scala 1:100.000 sarebbe inidonea, non consentendo neppure di individuare i confini tra aree vincolate e non vincolate.

3.3. Il mezzo è infondato in tutte le sue articolazioni.

3.3.1. Il giudicato invocato dall’appellante, che ha riconosciuto il suo jus aedificandi, si è formato, come ogni giudicato, limitatamente alle questioni dedotte in giudizio e decise dal giudice.
Tali questioni, erano esclusivamente di carattere urbanistico, mentre non sono mai stati toccati, né avrebbero potuto esserlo, profili paesistici, all’epoca irrilevanti.
Sennonché, sul giudicato basato esclusivamente su questioni di carattere urbanistico – edilizio, si sono innestate sopravvenienze normative di carattere paesistico.
L’area di Posillipo (Comune di Napoli) è stata sottoposta a vincolo paesistico, in virtù di d.m. attuativo del c.d. decreto Galasso, salvato in via retroattiva dall’art. 1 quinquies, l. n. 431 del 1985.
In attuazione di tali previsioni è stato poi adottato il piano paesistico per l’area di Posillipo, oggetto del presente giudizio.
Nessun giudicato è opponibile a fronte delle sopravvenute norme paesistiche, atteso che il giudicato ha riconosciuto il jus aedificandi in relazione alle norme urbanistico – edilizie, ma nulla ha detto della esistenza o meno di tale diritto a fronte di norme paesistiche.


3.3.2. E, invero, il jus aedificandi, quale facoltà compresa nel diritto di proprietà dei suoli, non è un diritto assoluto, ma un interesse sottoposto a conformazione da parte della legge e della pubblica amministrazione, in funzione dei molteplici interessi, pubblici e privati, diversi da quelli del proprietario del suolo, che vengono coinvolti dalla edificazione privata.
Tale conformazione discende non solo dalla normativa di carattere urbanistico – edilizio, ma anche da altre normative settoriali, preposte alla tutela di altri interessi generali e pubblici.
Invero, il riconoscimento del jus aedificandi in relazione alla normativa del codice civile e alla normativa urbanistico – edilizia, di per sé non è sufficiente per la sussistenza e l’esercizio dello stesso, se il medesimo non possa essere riconosciuto in relazione ad altre normative settoriali.


Anzitutto, viene in considerazione la normativa a tutela del paesaggio e dell’ambiente: se la edificazione privata, ancorché conforme alle norme urbanistico - edilizie, è in contrasto con le esigenze di tutela del paesaggio, non può dirsi esistente ed esercitabile un jus aedificandi.
Analogamente, può dirsi della normativa posta a tutela della salute, per es. in tema di inquinamento elettromagnetico.
In conclusione, il jus aedificandi non è un diritto soggettivo assoluto, ma una facoltà soggetta a conformazione da parte di normative preposte alla tutela di molteplici interessi generali, non solo di carattere urbanistico – edilizio; con la conseguenza che tale jus, se anche riconosciuto, in virtù di giudicato, a fronte della normativa urbanistico – edilizia, non è né sussistente né esercitabile, se non riconosciuto anche dalle altre normative (a tutela del paesaggio e dell’ambiente, a tutela della salute) che devono essere rispettate per l’attività di edilizia privata. E con l’ulteriore conseguenza che a fronte di giudicati che riconoscano il jus aedificandi in relazione alle norme urbanistico – edilizie, sono rilevanti, e preclusive della edificazione, le sopravvenute normative di carattere paesistico – ambientale.
Né giova in senso contrario, la decisione della Sezione 21 settembre 1999, n. 1243: vero è che in detta decisione si è affermata la irrilevanza del vincolo paesistico sopravvenuto dopo la notificazione del giudicato di annullamento di una concessione edilizia, ma lo si è fatto perché il giudicato aveva preso in considerazione anche la normativa paesistica, e aveva annullato la concessione edilizia proprio per illegittimità derivata dalla illegittimità di precedente vincolo paesistico.
Sicché, se anche si volesse ammettere la irrilevanza, - a fronte di un giudicato che riconosce il jus aedificandi esaminando esclusivamente questioni di carattere urbanistico – edilizio -, di sopravvenute norme urbanistico – edilizie, tale irrilevanza non può essere affermata con riguardo a sopravvenute norme di carattere paesistico – ambientale, laddove i profili paesistico – ambientali non sono mai stati toccati dal giudicato.


3.3.3.
Deve altresì considerarsi che i vincoli di carattere paesistico – ambientale, che derivano da norme primarie o secondarie ovvero da piani paesistici, sono vincoli posti nell’interesse generale alla salvaguardia del bene ambiente, che costituisce patrimonio comune della collettività. Sicché tali vincoli non possono non prevalere su preesistenti interessi individuali all’edificazione, che necessariamente sono, rispetto ai vincoli sopravvenuti, recessivi.
Anche i piani di natura urbanistica devono conformarsi a quelli di natura paesistico ambientale.

Una conferma in tal senso si trae anche dalla normativa sul condono edilizio, come costantemente interpretata dalla giurisprudenza, secondo cui il condono edilizio è precluso laddove sull’area insistano vincoli paesistici di inedificabilità, e questo anche se tali vincoli siano sopravvenuti rispetto alla data della esecuzione delle opere (C. Stato, sez. VI, 20 ottobre 1999, n. 1509) e anche rispetto alla data di presentazione della domanda di condono (C. Stato, sez. VI, 4 giugno 2002, n. 3143), dovendosi valutare la situazione al momento in cui viene esaminata la domanda di condono (C. Stato, ad. plen., 22 luglio 1999, n. 20).


3.3.5. Alla luce delle suesposte considerazioni, si deve ritenere pienamente legittimo il d.m. di adozione del piano paesistico di Posillipo, d.m. che non era vincolato, dal giudicato, a considerare il jus aedificandi dell’appellato, diritto riconosciuto dal giudicato solo in relazione agli aspetti urbanistico – edilizi, e non anche a quelli paesistico – ambientali.


3.3.6. Quanto, infine all’ultima parte della censura, la stessa non è in grado di dimostrare le ragioni della irragionevolezza della scelta tecnica dell’amministrazione in ordine alla cartografia utilizzata, né è in grado di dimostrare lo specifico danno che ne deriva alle ragioni del ricorrente, e dunque lo specifico interesse a dolersi del metodo tecnico seguito dall’amministrazione.


4. Con il quarto motivo di appello si contesta il capo n. 5 della sentenza di primo grado.
4.1. Il T.a.r. ha respinto le censure relative all’iter di formazione del piano paesistico, osservando che il procedimento di formazione del piano in via surrogatoria, sarebbe alternativo a quello ordinario, sicché sarebbe sufficiente:
- acquisire il parere del consiglio nazionale;
- adottare il piano;
- e sarebbero inapplicabili le garanzie partecipative di cui all’art. 7, l. n. 241 del 1990.

4.2. Parte appellante critica la sentenza osservando che:
- non poteva essere soppresso il momento della partecipazione degli interessati;
- le norme sul procedimento di formazione del piano paesistico in via surrogatoria detterebbero regole procedimentali aggiuntive, ma non sostitutive, di quelle relative all’ordinario procedimento di formazione del piano;
- l’acquisizione del parere del Consiglio nazionale sarebbe stata puramente formalistica.


4.3. Il mezzo è infondato.
4.3.1. Si deve concordare con quanto osservato dal T.a.r., e cioè che il procedimento che il piano paesistico doveva seguire era quello disciplinato dal d.l. n. 498 del 1995, citato nelle premesse del piano stesso.
Lo scopo del d.l. in questione, come di quelli successivi (tutti non convertiti, ma fatti salvi dall’art. 2, co. 61, l. n. 662 del 1996) era di consentire la celere formazione dei piani paesistici, semplificandone, e non aggravandone, l’iter procedimentale.
A sua volta l’art. 1 bis, d.l. n. 312 del 1985, convertito nella l. n. 431 del 1985, nel disciplinare il potere statale surrogatorio di adozione dei piani paesistici, non intende rinviare al procedimento ordinario, dettando invece autonome ed esaustive regole procedimentali, mediante un rinvio agli artt. 4 e 82, d.P.R n. 616 del 1977, che a loro volta non prescrivono alcuna particolare norma procedurale.
E’ evidente che il legislatore ha inteso disciplinare il potere statale surrogatorio come un potere straordinario, da esercitarsi in via di urgenza e, in quanto, tale, svincolato dalle ordinarie regole di formazione del piano paesistico.

4.3.2. Quanto al momento partecipativo, lo stesso, a prescindere da ogni considerazione sulla sua necessità o meno in astratto, in concreto, non risulta stato violato per l’appellante, il quale aveva comunque avuto conoscenza del procedimento e aveva già interloquito presentando istanza al Ministero, con cui si invitava lo stesso a tener conto della preesistente lottizzazione S.P.E.M.E. e dei pregressi giudicati (C. Stato, sez. V, 28 maggio 2001, n. 2884).
Risulta inoltre che in sede di formazione del piano paesistico si è tenuto specificamente conto di tale lottizzazione: infatti la relazione tecnica allegata al piano si sofferma sulla lottizzazione S.P.E.M.E., sugli effetti devastanti prodotti nella collina di Posillipo, e sulla incompatibilità della sua realizzazione con le esigenze di tutela del paesaggio.
Sicché, un ulteriore apporto partecipativo dell’appellante, non avrebbe in nessun caso potuto sovvertire le valutazioni operate dal Ministero (C. Stato, sez. V, 21 gennaio 2002, n. 343).

4.3.3. Quanto infine alla censura relativa al modo di formazione del parere del Consiglio nazionale, la stessa appare inammissibile perché dà per scontato ciò che dovrebbe dimostrare, e, in particolare, che il Consiglio avrebbe acriticamente recepito la relazione del redattore dell’adottando piano paesistico. Ma se un organo collegiale, composto di esperti, decide di fare propria la relazione di uno dei componenti, motivando per relationem ad essa, questo non significa di per sé acritica recezione, ma solo adesione ad un atto tecnico che si ritiene condivisibile.

5. Con il quinto motivo di appello si contesta il capo sei della sentenza gravata.
5.1. Il T.a.r. ha osservato che:
- la partecipazione di Regioni e Comuni al procedimento di formazione del piano non era prevista dalla normativa in vigore all’epoca di formazione del piano medesimo, essendo stata introdotta solo con successivi decreti legge;
- in ogni caso tale partecipazione si sarebbe realizzata per il tramite di apposita commissione ministeriale, che costituiva un momento di confronto, senza necessità della redazione di un formale parere;
- le censure sarebbero comunque inammissibili perché il ricorrente non avrebbe impugnato la variante al p.r.g. di Napoli, con cui sono state adottate le misure di salvaguardia per l’area di Posillipo, e il Comune, con detta variante, si sarebbe adeguato alle prescrizioni del piano paesistico.

5.2. Parte appellante critica tale capo di sentenza osservando che:
- la partecipazione della Regione era imposta, in quanto suggerita da un parere dell’Avvocatura dello Stato, accolto dall’amministrazione mediante la istituzione di una apposita commissione;
- la commissione pertanto doveva esprimere un vero e proprio parere;
- la omissione del parere della commissione ha costituito violazione di una regola del giusto procedimento e del principio di leale collaborazione;
- irrilevante sarebbe la mancata impugnazione della variante al p.r.g., al fine dell’interesse a proporre le suddette censure contro il piano paesistico.

5.3. Il Collegio ritiene di dover confermare le lucide osservazioni del T.a.r. in ordine al ruolo di tale commissione, che era di un confronto dei diversi interessi locali, senza necessità che venisse reso un formale parere.

6. Con il sesto motivo di appello si contesta il capo settimo della sentenza gravata.
6.1. Si ripropongono in sintesi le doglianze di cui al terzo motivo, e si lamenta, inoltre, che, la lottizzazione S.P.E.M.E. aveva conseguito anche le necessarie autorizzazioni paesistiche, sicché il giudicato avrebbe riconosciuto lo jus aedificandi anche in relazione al profilo paesistico.

6.2. Il motivo va respinto in base alle considerazioni già esposte nel par. 3.
Si deve solo aggiungere che il giudicato favorevole al ricorrente si formò solo sulle questioni specificamente dedotte in giudizio, che erano esclusivamente questioni di carattere edilizio. Nessun giudicato si formò sulla spettanza del jus aedificandi in relazione alla disciplina paesistica, perché non c’era nessun contenzioso sul punto, sicché è insostenibile che il giudicato avrebbe sortito effetti conformativi anche nei confronti della successiva pianificazione paesistica.

7. Con il settimo e ultimo motivo di appello si contesta sempre il capo settimo della sentenza gravata, nella parte in cui osserva che comunque la specifica situazione del ricorrente sarebbe stata presa in considerazione dal piano paesistico, come emergerebbe da due note della Soprintendenza, n. 29756 dell’ 11 ottobre 1993 e n. 38465 del 16 dicembre 1994, poste a base del diniego di autorizzazione paesistica, impugnato dal Moccia in altro giudizio; anche il piano paesistico, nella relazione allegata, prende in specifica considerazione la lottizzazione S.P.E.M.E.

7.1. Parte appellante osserva che le note della Soprintendenza non si inseriscono nel procedimento di formazione del piano, bensì in quello relativo al rilascio dell’autorizzazione paesistica.
A sua volta la relazione allegata al piano, non prenderebbe in specifica considerazione la posizione del sig. Moccia, ma si limiterebbe a ripercorrere la storia della lottizzazione S.P.E.M.E.

7.2. La censura è infondata, perché la situazione del Moccia era identica a quella di molti altri proprietari, destinatari di favorevoli giudicati, anteriori al piano paesistico. Si giustifica pertanto da parte del piano paesistico, nella relazione allegata, una valutazione unitaria e uniforme di tali posizioni, con la considerazione del preminente interesse pubblico alla conservazione del paesaggio e della conseguente impossibilità di consentire l’attuazione ulteriore di suddetta lottizzazione.



8.
Per quanto esposto, l’appello va respinto.
Le spese seguono la soccombenza, e vanno liquidate in complessivi euro 2.000 (duemila) in favore del Ministero per i beni culturali e ambientali, e in complessivi euro 1.000 (mille) in favore del Comune di Napoli, mentre non si fa luogo a pronuncia sulle spese in favore della Regione Campania, che non si è costituita in giudizio.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.
Spese a carico dell’appellante, nella misura di euro 2.000 (duemila) in favore del Ministero per i beni culturali e ambientali, e di euro 1.000 (mille) in favore del Comune di Napoli .
Ordina che la pubblica amministrazione dia esecuzione alla presente decisione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 29 ottobre 2004 con la partecipazione di:
Claudio VARRONE - Presidente
Luigi MARUOTTI - Consigliere
Giuseppe ROMEO - Consigliere
Giuseppe MINICONE - Consigliere
Rosanna DE NICTOLIS - Cons. rel. ed est.