Governo del territorio e agricoltura
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Piano di Governo del Territorio
Intervento del Prof.Paolo Urbani, Ordinario di Diritto Amministrativo di Roma.
- L’agricoltura tra disciplina urbanistica e tutela “differenziata”.
Non vi è dubbio che il governo del territorio incida in modo determinante sulle problematiche dell’agricoltura sia che la s’intenda come attività agricola, sia che la si osservi sotto il profilo degli spazi rurali che contemplano quelle attività o abbiano più semplicemente quella vocazione. D’altronde al centro si pone proprio la disciplina degli usi del territorio di cui le aree agricole sono una componente ineliminabile.
E tuttavia, se guardiamo alla disciplina urbanistica è constatazione comune che il piano regolatore – principale strumento di pianificazione del territorio comunale – non contempli tra i suoi oggetti una particolare riconoscibilità delle aree agricole se non per intenderle come porzioni di territorio in attesa di trasformazione: in breve, la disciplina dell’assetto dei suoli comunali in rapporto alla crescita urbana o periurbana considera le aree agricole – intese come verde agricolo – per sottrazione rispetto a quelle oggetto di potenziale trasformazione.
La funzione di pianificazione urbanistica è principalmente quella della destinazione d’uso dei suoli in rapporto alla soddisfazione dei molteplici interessi pubblici e privati in campo tra cui quelli agricoli, ma non quella della “protezione” di specifici interessi se non di quelli che la disciplina “differenziata” prevista dalle discipline di settore ritiene meritevoli di particolare tutela (paesaggio, difesa del suolo e dell’ambiente). Non essendovi uno “statuto giuridico delle zone agricole” o degli spazi rurali l’urbanistica non incontra un limite nel territorio rurale considerandolo inevitabilmente residuale.
- Le zone agricole nella recente disciplina urbanistica.
Esistono certamente tentativi recenti di affrontare il problema della conservazione sul territorio delle aree agricole ma si tratta di tentativi isolati e solo a livello di legislazione regionale. Gli esempi sono numerosi, ma su questi occorrerebbe, a mio avviso, proprio da parte degli agraristi un’analisi approfondita tesa alla ricerca della definizione di uno statuto giuridico delle zone agricole avulso dalla compromissione con la disciplina urbanistica del territorio rurale. In questa direzione vanno proprio alcune leggi regionali che tendono a fissare una disciplina delle aree agricole a monte di quella più strettamente urbanistica propria del piano regolatore generale. In tal modo la fonte normativa regionale tenderebbe ad identificare un “interesse pubblico differenziato” teso alla cura dei valori agricoli – inesistente nella legislazione statale – che costituirebbe quindi un limite alla pianificazione urbanistica comunale.
Per esempio, la lr Toscana n.1/2005 che all’art.3 fissa un principio cardine della pianificazione: “nuovi impegni di suolo a fini insediativi e infrastrutturali sono esclusivamente consentiti qualora non sussistano alternative di riutilizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti”. La stessa legge, confermando un’attenzione legislativa precedente e consolidata ai suoli agricoli, dedica il capo III “Il territorio rurale” alla sua tutela e valorizzazione identificando le zone con esclusiva o prevalente funzione agricola per le quali è prevista un’analitica disciplina di salvaguardia e tutela anche attiva a favore delle attività agricole insediate
Va osservato che il legislatore regionale collega l’attività di pianificazione urbanistica delle aree agricole all’osservanza di criteri e parametri contenuti del piano territoriale di coordinamento, che costituisce così un limite alla discrezionalità pianificatoria comunale.
Questa legislazione comunque tiene strettamente collegato il profilo produttivo e quello “di risorsa essenziale del territorio limitata e non riproducibile” con il vincolo di destinazione agricola delle aree.
La lr Umbria 12/2005 fa espresso riferimento alla tutela delle aree agricole in termini di “qualità dello spazio rurale” prevedendo una disciplina puntuale del recupero degli edifici rurali esistenti, anche con premio di cubatura, e di rispetto delle caratteristiche architettoniche e tipologiche tradizionali.
La lr. Veneto 11/2004 – dopo il saccheggio del territorio agricolo a favore del modello di sviluppo produttivo familiare del nord-est – è corsa ai ripari prevedendo una disciplina assai analitica che ha al centro il rispetto nel piano regolatore comunale del rapporto tra superficie agricola utilizzata (SAU) e superficie territoriale comunale (STC) dal quale discende la possibilità o meno di trasformare urbanisticamente le zone agricole.
Quali considerazioni si possono trarre da questa legislazione? In primo luogo vi è un tentativo di individuare le aree agricole o gli spazi rurali in rapporto alle loro qualità colturali ed all’esistenza di un’attività produttiva in atto, ma anche con riferimento alle caratteristiche naturalistiche come riequilibrio tra aree edificate e non nel contesto territoriale. In secondo luogo la disciplina conseguente mira a mantenere lo statu quo esistente agendo indirettamente con numerosi divieti e limitazioni ad un utilizzo diverso del territorio agricolo.
Ma l’elemento discriminante rimane sempre quello del piano urbanistico o del piano provinciale con effetti sull’assetto territoriale o meglio della discrezionalità delle scelte di pianificazione nell’individuazione delle aree con vocazione o destinazione agricola. La tutela se esiste è indiretta non diretta. Seppur circondata da cautele la disciplina non esclude la retrocessione del bene agricolo ad area edificatoria. Direi di più. Essa si basa sulla variabile tempo che costituisce in sostanza lo strumento a disposizione per ritardare il possibile mutamento di destinazione d’uso dell’area.
Così come l’attribuzione di una capacità produttiva agricola assegnata all’area può facilmente cedere il passo, in base all’inerzia del proprietario, ad una declassificazione dell’area, (come nel caso della lp. Trento del mutamento da zona agricola d’interesse primario o quella di tipo secondario). D’altronde nella logica del piano urbanistico gli interessi agricoli non sono organizzati come quelli edilizi, residenziali o terziari, essendo per definizione interessi “deboli e cedevoli” rispetto alle prospettive edificatorie delle aree interessate. Sono quelli che potremmo definire gli “sconfitti del piano” anche se questo termine nel linguaggio degli urbanisti viene usato per i proprietari che non sono riusciti ad avere un’adeguata edificabilità delle loro proprietà fondiarie.
E’ per questo motivo che ritengo che affidarsi solo all’urbanistica – che è disciplina delle trasformazioni – costituisce un vulnus per l’agricoltura, paragonabile alle tentazioni delle sirene ad Ulisse. Ne emerge una disciplina di tutela frammentata e parziale, non organica spesso legata a fattori culturali e non oggettivi che può salvaguardare di fatto aree non soggette a forti pressioni insediative ma cedere nelle zone limitrofe ai centri urbani dove i meccanismi dell’urbanistica contrattata riportano al centro dello scambio edificatorio il “contratto” a tutto danno delle scelte generali di pianificazione.
Va segnalato infine che la proposta di legge “principi in materia di governo del territorio” approvato dalla Camera dei deputati il 28 giugno 2005, e ormai decaduta, prevedeva (art.6 co.5 e 6) che “Nell’ambito del territorio non urbanizzato si distingue tra aree destinate all’agricoltura, aree di pregio ambientale ed aree urbanizzabili. Nelle aree destinate all’agricoltura e nelle aree di pregio ambientale la nuova edificazione è consentita solo per opere e infrastrutture pubbliche e per servizi all’agricoltura e l’ambiente".
- Lo spazio agricolo come bene paesaggistico.
Se si abbandona la prospettiva urbanistica nella quale si collocano le aree agricole si aprono scenari nuovi per la conservazione dei suoli agricoli. La stessa Comunità europea nei suoi documenti ritiene il consumo di suolo per l’espansione urbana la principale minaccia alla conservazione delle risorse ambientali in Europa: si parla di riciclo delle aree urbane esistenti, di un utilizzo misto di strumenti regolativi, incentivi e comportamenti volontari per governare entro i limiti di sostenibilità complessiva la trasformazione urbana delle aree rurali. In ambito europeo è ormai prevalente il punto di vista secondo il quale lo spazio rurale “rappresenta nel suo complesso un bene comune al di là degli assetti proprietari e delle forme di conduzione”.
L’attenzione è rivolta alla multifunzionalità del territorio rurale, alla sua capacità di produrre un flusso di beni e servizi utili alla collettività legati non solo alla produzione primaria ma anche e soprattutto al riciclo ed alla ricostituzione delle risorse di base (aria, acqua, suolo) al mantenimento degli ecosistemi, della biodiversità del paesaggio.
Sappiamo che già la legislazione paesaggistica – a partire dalla l.431/85 fino all’attuale Codice Urbani – prevede la tutela ex lege dei territori montani, delle aree assegnate alle università agrarie e quelle gravate da usi civici, i territori coperti da boschi e foreste, i parchi e le riserve naturali nazionali o regionali qualificandoli come beni paesaggistici, il che comporta il riconoscimento del suo valore intrinseco in quanto bene d’interesse pubblico, ed il cui vincolo di destinazione è a tempo indeterminato e non indennizzabile.
Ma l’art.143 del D.Legsl. 42/2004 prevede anche che le regioni possano individuare altre categorie di aree da sottoporre a specifiche misure di salvaguardia e utilizzazione: si apre cioè la possibilità di identificare – nel nostro caso – aree rurali che esprimono particolari valori paesaggistici per caratteristiche naturali, colture tradizionali e identitarie. Ma la pervasività del piano può arrivare anche a dettare prescrizioni conformative del territorio o delle proprietà anche ad oggetti di tutela non qualificabili come beni paesaggistici in senso stretto (il cui regime di tutela prevede che qualunque trasformazione sia soggetta ad autorizzazione paesaggistica) con effetti di prevalenza sulle disposizioni dei piani urbanistici eventualmente difformi ed alle quali i comuni o le province devono adeguarsi. In tal caso le disposizioni del piano paesaggistico costituirebbero dei veri e propri limiti alla pianificazione urbanistica comunale.
Si tratta certamente di una scelta a favore della selezione delle porzioni di territorio agricolo a vocazione specializzata, ma quella della tutela “differenziata” è una delle soluzioni per ridurre il consumo del suolo agricolo e per sganciare il territorio rurale dalla compromissione con la disciplina urbanistica che – come abbiamo visto – non offre un regime stabile a tutela dei valori agricoli ma procede per lo più attraverso una valutazione di opportunità e di presa d’atto del prevalente valore dell’economia agricola rispetto alla capacità di offerta di quelle aree ai fini della loro trasformazione edificatoria.
Nel senso della tutela differenziata d’altronde va anche la legge 378/2003 ed il DM 6 ottobre 2005 del Ministero dei beni e delle attività culturali che prevede finanziamenti per il restauro e la conservazione e la valorizzazione di edifici rurali. Si potrà osservare che la tutela del paesaggio agricolo potrebbe costituire – come in effetti è previsto – un irrigidimento nel caso di modifiche della produzione agricola in quei luoghi, in contrasto ad es. con altre politiche per l’agricoltura che prevedono a livello regionale la recente istituzione dei “distretti rurali”, destinati proprio alla specializzazione ed all’innovazione della produzione agricola.
Sono tutte valutazioni condivisibili che però mettono in evidenza l’esistenza di uno stretto rapporto dell’agricoltura con il “governo del territorio” ed è all’interno della dimensione organizzativa e disciplinare di questa materia che si può ricercare nell’ampio menù degli strumenti giuridici la soluzione migliore per governare al meglio gli interessi dell’agricoltura.
Non vi è dubbio che il governo del territorio incida in modo determinante sulle problematiche dell’agricoltura sia che la s’intenda come attività agricola, sia che la si osservi sotto il profilo degli spazi rurali che contemplano quelle attività o abbiano più semplicemente quella vocazione. D’altronde al centro si pone proprio la disciplina degli usi del territorio di cui le aree agricole sono una componente ineliminabile.
E tuttavia, se guardiamo alla disciplina urbanistica è constatazione comune che il piano regolatore – principale strumento di pianificazione del territorio comunale – non contempli tra i suoi oggetti una particolare riconoscibilità delle aree agricole se non per intenderle come porzioni di territorio in attesa di trasformazione: in breve, la disciplina dell’assetto dei suoli comunali in rapporto alla crescita urbana o periurbana considera le aree agricole – intese come verde agricolo – per sottrazione rispetto a quelle oggetto di potenziale trasformazione.
La funzione di pianificazione urbanistica è principalmente quella della destinazione d’uso dei suoli in rapporto alla soddisfazione dei molteplici interessi pubblici e privati in campo tra cui quelli agricoli, ma non quella della “protezione” di specifici interessi se non di quelli che la disciplina “differenziata” prevista dalle discipline di settore ritiene meritevoli di particolare tutela (paesaggio, difesa del suolo e dell’ambiente). Non essendovi uno “statuto giuridico delle zone agricole” o degli spazi rurali l’urbanistica non incontra un limite nel territorio rurale considerandolo inevitabilmente residuale.
- Le zone agricole nella recente disciplina urbanistica.
Esistono certamente tentativi recenti di affrontare il problema della conservazione sul territorio delle aree agricole ma si tratta di tentativi isolati e solo a livello di legislazione regionale. Gli esempi sono numerosi, ma su questi occorrerebbe, a mio avviso, proprio da parte degli agraristi un’analisi approfondita tesa alla ricerca della definizione di uno statuto giuridico delle zone agricole avulso dalla compromissione con la disciplina urbanistica del territorio rurale. In questa direzione vanno proprio alcune leggi regionali che tendono a fissare una disciplina delle aree agricole a monte di quella più strettamente urbanistica propria del piano regolatore generale. In tal modo la fonte normativa regionale tenderebbe ad identificare un “interesse pubblico differenziato” teso alla cura dei valori agricoli – inesistente nella legislazione statale – che costituirebbe quindi un limite alla pianificazione urbanistica comunale.
Per esempio, la lr Toscana n.1/2005 che all’art.3 fissa un principio cardine della pianificazione: “nuovi impegni di suolo a fini insediativi e infrastrutturali sono esclusivamente consentiti qualora non sussistano alternative di riutilizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti”. La stessa legge, confermando un’attenzione legislativa precedente e consolidata ai suoli agricoli, dedica il capo III “Il territorio rurale” alla sua tutela e valorizzazione identificando le zone con esclusiva o prevalente funzione agricola per le quali è prevista un’analitica disciplina di salvaguardia e tutela anche attiva a favore delle attività agricole insediate
Va osservato che il legislatore regionale collega l’attività di pianificazione urbanistica delle aree agricole all’osservanza di criteri e parametri contenuti del piano territoriale di coordinamento, che costituisce così un limite alla discrezionalità pianificatoria comunale.
Questa legislazione comunque tiene strettamente collegato il profilo produttivo e quello “di risorsa essenziale del territorio limitata e non riproducibile” con il vincolo di destinazione agricola delle aree.
La lr Umbria 12/2005 fa espresso riferimento alla tutela delle aree agricole in termini di “qualità dello spazio rurale” prevedendo una disciplina puntuale del recupero degli edifici rurali esistenti, anche con premio di cubatura, e di rispetto delle caratteristiche architettoniche e tipologiche tradizionali.
La lr. Veneto 11/2004 – dopo il saccheggio del territorio agricolo a favore del modello di sviluppo produttivo familiare del nord-est – è corsa ai ripari prevedendo una disciplina assai analitica che ha al centro il rispetto nel piano regolatore comunale del rapporto tra superficie agricola utilizzata (SAU) e superficie territoriale comunale (STC) dal quale discende la possibilità o meno di trasformare urbanisticamente le zone agricole.
Quali considerazioni si possono trarre da questa legislazione? In primo luogo vi è un tentativo di individuare le aree agricole o gli spazi rurali in rapporto alle loro qualità colturali ed all’esistenza di un’attività produttiva in atto, ma anche con riferimento alle caratteristiche naturalistiche come riequilibrio tra aree edificate e non nel contesto territoriale. In secondo luogo la disciplina conseguente mira a mantenere lo statu quo esistente agendo indirettamente con numerosi divieti e limitazioni ad un utilizzo diverso del territorio agricolo.
Ma l’elemento discriminante rimane sempre quello del piano urbanistico o del piano provinciale con effetti sull’assetto territoriale o meglio della discrezionalità delle scelte di pianificazione nell’individuazione delle aree con vocazione o destinazione agricola. La tutela se esiste è indiretta non diretta. Seppur circondata da cautele la disciplina non esclude la retrocessione del bene agricolo ad area edificatoria. Direi di più. Essa si basa sulla variabile tempo che costituisce in sostanza lo strumento a disposizione per ritardare il possibile mutamento di destinazione d’uso dell’area.
Così come l’attribuzione di una capacità produttiva agricola assegnata all’area può facilmente cedere il passo, in base all’inerzia del proprietario, ad una declassificazione dell’area, (come nel caso della lp. Trento del mutamento da zona agricola d’interesse primario o quella di tipo secondario). D’altronde nella logica del piano urbanistico gli interessi agricoli non sono organizzati come quelli edilizi, residenziali o terziari, essendo per definizione interessi “deboli e cedevoli” rispetto alle prospettive edificatorie delle aree interessate. Sono quelli che potremmo definire gli “sconfitti del piano” anche se questo termine nel linguaggio degli urbanisti viene usato per i proprietari che non sono riusciti ad avere un’adeguata edificabilità delle loro proprietà fondiarie.
E’ per questo motivo che ritengo che affidarsi solo all’urbanistica – che è disciplina delle trasformazioni – costituisce un vulnus per l’agricoltura, paragonabile alle tentazioni delle sirene ad Ulisse. Ne emerge una disciplina di tutela frammentata e parziale, non organica spesso legata a fattori culturali e non oggettivi che può salvaguardare di fatto aree non soggette a forti pressioni insediative ma cedere nelle zone limitrofe ai centri urbani dove i meccanismi dell’urbanistica contrattata riportano al centro dello scambio edificatorio il “contratto” a tutto danno delle scelte generali di pianificazione.
Va segnalato infine che la proposta di legge “principi in materia di governo del territorio” approvato dalla Camera dei deputati il 28 giugno 2005, e ormai decaduta, prevedeva (art.6 co.5 e 6) che “Nell’ambito del territorio non urbanizzato si distingue tra aree destinate all’agricoltura, aree di pregio ambientale ed aree urbanizzabili. Nelle aree destinate all’agricoltura e nelle aree di pregio ambientale la nuova edificazione è consentita solo per opere e infrastrutture pubbliche e per servizi all’agricoltura e l’ambiente".
- Lo spazio agricolo come bene paesaggistico.
Se si abbandona la prospettiva urbanistica nella quale si collocano le aree agricole si aprono scenari nuovi per la conservazione dei suoli agricoli. La stessa Comunità europea nei suoi documenti ritiene il consumo di suolo per l’espansione urbana la principale minaccia alla conservazione delle risorse ambientali in Europa: si parla di riciclo delle aree urbane esistenti, di un utilizzo misto di strumenti regolativi, incentivi e comportamenti volontari per governare entro i limiti di sostenibilità complessiva la trasformazione urbana delle aree rurali. In ambito europeo è ormai prevalente il punto di vista secondo il quale lo spazio rurale “rappresenta nel suo complesso un bene comune al di là degli assetti proprietari e delle forme di conduzione”.
L’attenzione è rivolta alla multifunzionalità del territorio rurale, alla sua capacità di produrre un flusso di beni e servizi utili alla collettività legati non solo alla produzione primaria ma anche e soprattutto al riciclo ed alla ricostituzione delle risorse di base (aria, acqua, suolo) al mantenimento degli ecosistemi, della biodiversità del paesaggio.
Sappiamo che già la legislazione paesaggistica – a partire dalla l.431/85 fino all’attuale Codice Urbani – prevede la tutela ex lege dei territori montani, delle aree assegnate alle università agrarie e quelle gravate da usi civici, i territori coperti da boschi e foreste, i parchi e le riserve naturali nazionali o regionali qualificandoli come beni paesaggistici, il che comporta il riconoscimento del suo valore intrinseco in quanto bene d’interesse pubblico, ed il cui vincolo di destinazione è a tempo indeterminato e non indennizzabile.
Ma l’art.143 del D.Legsl. 42/2004 prevede anche che le regioni possano individuare altre categorie di aree da sottoporre a specifiche misure di salvaguardia e utilizzazione: si apre cioè la possibilità di identificare – nel nostro caso – aree rurali che esprimono particolari valori paesaggistici per caratteristiche naturali, colture tradizionali e identitarie. Ma la pervasività del piano può arrivare anche a dettare prescrizioni conformative del territorio o delle proprietà anche ad oggetti di tutela non qualificabili come beni paesaggistici in senso stretto (il cui regime di tutela prevede che qualunque trasformazione sia soggetta ad autorizzazione paesaggistica) con effetti di prevalenza sulle disposizioni dei piani urbanistici eventualmente difformi ed alle quali i comuni o le province devono adeguarsi. In tal caso le disposizioni del piano paesaggistico costituirebbero dei veri e propri limiti alla pianificazione urbanistica comunale.
Si tratta certamente di una scelta a favore della selezione delle porzioni di territorio agricolo a vocazione specializzata, ma quella della tutela “differenziata” è una delle soluzioni per ridurre il consumo del suolo agricolo e per sganciare il territorio rurale dalla compromissione con la disciplina urbanistica che – come abbiamo visto – non offre un regime stabile a tutela dei valori agricoli ma procede per lo più attraverso una valutazione di opportunità e di presa d’atto del prevalente valore dell’economia agricola rispetto alla capacità di offerta di quelle aree ai fini della loro trasformazione edificatoria.
Nel senso della tutela differenziata d’altronde va anche la legge 378/2003 ed il DM 6 ottobre 2005 del Ministero dei beni e delle attività culturali che prevede finanziamenti per il restauro e la conservazione e la valorizzazione di edifici rurali. Si potrà osservare che la tutela del paesaggio agricolo potrebbe costituire – come in effetti è previsto – un irrigidimento nel caso di modifiche della produzione agricola in quei luoghi, in contrasto ad es. con altre politiche per l’agricoltura che prevedono a livello regionale la recente istituzione dei “distretti rurali”, destinati proprio alla specializzazione ed all’innovazione della produzione agricola.
Sono tutte valutazioni condivisibili che però mettono in evidenza l’esistenza di uno stretto rapporto dell’agricoltura con il “governo del territorio” ed è all’interno della dimensione organizzativa e disciplinare di questa materia che si può ricercare nell’ampio menù degli strumenti giuridici la soluzione migliore per governare al meglio gli interessi dell’agricoltura.
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