Presente e futuro della pianificazione urbanistica comunale
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Piano di Governo del Territorio
Stralcio della Lettera al Direttore del Giornale di Brescia, pubblicata sabato 23 febbraio 2008.
Franco Robecchi e Innocenzo Gorlani, negli articoli pubblicati rispettivamente il 20 gennaio ed il 2 febbraio, hanno affrontato in modo originale, da distinti punti di vista, importanti questioni riguardanti il presente ed il futuro della pianificazione urbanistica comunale.Il primo ha provocatoriamente posto in dubbio che la pianificazione urbanistica abbia davvero la capacità di incidere sulle sorti delle città, ed a suffragio della propria tesi ha richiamato l’esempio di numerose opere pubbliche previste dal piano regolatore e mai attuate. [...] Da tale dubbio perviene alla conclusione che, nonostante la tendenza intellettualistica a credere che debba esistere un autore delle città, sarebbe invece la dinamica sociale ed economica, e non già l’urbanistica, a «fare la città», seguendo vie, in genere, di «sostanziale saggezza». Infine si compiace che la recente legge urbanistica regionale abbia segnato il superamento della «vecchia idea della pianificazione, rigida quanto velleitaria».
Innocenzo Gorlani nel suo intervento ha preso le distanze dalla posizione espressa da Robecchi, ed ha ricordato opportunamente che la trasformazione del territorio cittadino non può prescindere dall’urbanistica in quanto insieme di regole e di strumenti giuridici, sottolineando l’esigenza di un’ampia partecipazione dei cittadini nella formazione dei piani. Circa la nuova legge urbanistica regionale Gorlani ha evidenziato la difficoltà di conciliare, entro il Piano di governo del territorio (Pgt), la definizione di programmi strategici e quella dei programmi di medio periodo, auspicando infine l’intervento di una legge statale, di principi (in sostituzione di quella del 1942) che consenta di mettere un po’ di ordine nell’urbanistica regionale.
Nell’argomentare di Robecchi traspare una contraddizione: la vecchia idea della pianificazione, egli sostiene, sarebbe troppo rigida e velleitaria; tuttavia lo stesso Robecchi porta all’attenzione dei lettori numerosi esempi dì significativi interventi pubblici di trasformazione urbanistica che sono maturati al di fuori di qualsivoglia pianificazione. Tali interventi hanno avuto luogo, dunque, a dispetto della supposta rigidità della «vecchia idea della pianificazione». Gli esempi non dimostrano affatto che la vecchia idea della pianificazione fosse troppo rigida, bensì che troppe scelte pubbliche fondamentali per l’assetto del territorio cittadino sono maturate al di fuori di un’idea pianificatoria complessiva ed organica. [...]
Non è la «vecchia idea della pianificazione» (che informa la L. n. 1150/1942) ad essere troppo rigida e velleitaria, ma è piuttosto la sua applicazione pratica ad essersi sovente dimostrata superficiale ed eccessivamente condizionata (la valutazione e pressioni contingenti, avulse dal processo pianificatorio unitario). La risposta alla crisi della passata e presente esperienza pianificatoria non può consistere nel cieco affidamento alla forza propulsiva delle dinamiche economico-sociali, poiché appare troppo grave il pericolo che l’esito di una siffatta abdicazione della pianificazione regolamentata possa segnare l’affermazione tecnocratica sul territorio dei soli interessi di potentati pubblici e privati, quindi al di fuori di un processo decisionale democraticamente controllato e sorvegliato.
Robecchi si dice soddisfatto che la recente legge urbanistica regionale abbia decretato il superamento della «vecchia idea della pianificazione, rigida quanto velleitaria». Tale giudizio non persuade del tutto. La legge urbanistica regionale non sembra poter superare la «vecchia idea della pianificazione» semplicemente poiché alle sue disposizioni non pare sottesa alcuna precisa idea della pianificazione territoriale. Da tali disposizioni sembra emergere l’intento di abbandonare la tradizionale tecnica della zonizzazione, senza che tuttavia sia proposta una tecnica di pianificazione territoriale alternativa; ne deriva la mancanza di un modello normativo di pianificazione sufficientemente definito capace di restringere entro margini accettabili la discrezionalità pianificatoria delle Amministrazioni, onde evitare il rischio che essa trascenda nel mero arbitrio.
Il legislatore lombardo si è preoccupato principalmente di configurare il Pgt come un efficace strumento di programmazione dei servizi comunali e delle opere pubbliche, entro il quadro di una accertata sostenibilità finanziaria della politica comunale dei servizi. In tal senso può convenirsi circa l’attitudine della nuova legge urbanistica a correggere la passata prassi urbanistica caratterizzata dall’approvazione di piani contenenti previsioni largamente velleitarie. Tuttavia, si scorge sin d’ora il pericolo che le Amministrazioni comunali, a fronte dell’obbligo di dimostrare la sostenibilità finanziaria del piano dei servizi del Pgt, anziché optare per una politica di servizi improntata a sobrietà e realismo, siano vinte dalla tentazione di «far tornare i conti» spendendo, per così dire, «moneta falsa».
Si intende far riferimento alla previsione di entrate corrispondenti all’assegnazione di diritti edificatori, ovvero alla previsione di acquisizione alla proprietà pubblica di aree private senza corresponsione di indennizzo, in cambio dell’assegnazione di diritti edificatori («liberamente commerciabili», secondo l’inquietante espressione di nuovo conio impiegata nella L.R. 12/05). Si abuserebbe della pazienza dei lettori entrando analiticamente nel merito di tali soluzioni tecnico-urbanistiche, entro certi limiti pur ammissibili, ma si vuole qui sinteticamente evidenziare l’essenza del fenomeno paventato: nella «nuova idea della pianificazione che avanza» l’assegnazione della capacità edificatoria ad opera del Pgt (e dei suoi piani attuativi) rischia di essere condizionata più dalle pressanti esigenze finanziarie comunali che dall’obiettivo riconoscimento della vocazione urbanistica di determinate porzioni del territorio. [...]
(Lettera firmata)
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