La disciplina delle volumetrie edificabili
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Piano di Governo del Territorio
Di seguito riportiamo un lungo, ma interessantissimo documento, tratto dal sito ipsoa.it
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La perequazione urbanistica e la disciplina delle volumetrie edificabili nella l.r. Lombardia n. 12/2005 - Dr. Antonio Testa, Notaio in Monza.
Il contributo è volto a chiarire le modalità negoziali e quelle pubblicitarie relative alle nuove fattispecie di «perequazione urbanistica» e di «compensazione urbanistica» istituite dalla legge regionale Lombardia 11 marzo 2005, n. 12, istitutiva, tra l’altro, del nuovo strumento urbanistico denominato Piano di Governo del Territorio (PGT) sostitutivo del PRG. Si tratta di una serie di novità che, sebbene di limitata applicabilità al territorio regionale e, per adesso, regolamentata dalla sola Regione Lombardia, sembrano destinate ad espandersi a macchia d’olio per le interessanti peculiarità che le caratterizzano.
La legge regionale Lombardia 11 marzo 2005, n. 12 rappresenta, probabilmente, l’ultimo esempio di una prassi legislativa ormai consolidatasi negli ultimi anni che ha visto un graduale spostamento di competenza legislativa dallo Stato verso le Regioni, almeno in tutti gli ambiti in cui non viga una inderogabile riserva di competenza legislativa a favore dello Stato, e ciò sulla base di un principio costituzionalmente garantito dal terzo comma dell’articolo 117 della Costituzione. E la materia urbanistica rappresenta certamente uno degli ambiti in cui questa sorta di «federalismo normativo» ha potuto concretamente estrinsecarsi.
Le novità recate dal nuovo intervento normativo non sono di poco conto, considerato che la rilevanza più immediata della legge consiste nell’aver sostituito quello che, per tanti anni ha rappresentato lo strumento principe del governo urbanistico del territorio: il Piano Regolatore Generale (PRG).
Col tempo, la funzione del PRG che doveva essere, di principio, una funzione meramente programmatica, volta ad individuare prescrizioni e previsioni urbanistiche di portata generale, si è, via, via, andata snaturandosi e ha finito col confondersi con quella che avrebbe dovuto essere invece la funzione tipica dei piani particolareggiati, e cioè la funzione di identificare concretamente i lotti fabbricabili e le modalità di fabbricazione all’interno delle singole zone individuate dallo stesso PRG. Ci si è abituati, perciò, sempre più spesso, a PRG forniti di prescrizioni e previsioni alquanto dettagliate che ne hanno determinato una sorta di «fusione», in via di fatto, con i piani particolareggiati.
La novella, pur ribadendo la portata dei piani attuativi e degli atti di programmazione negoziata, quali documenti «esecutivi» delle prescrizioni generali, introduce un nuovo strumento urbanistico, definito «Piano di Governo del Territorio» (PGT), che, prendendo il posto, non solo a livello terminologico, del vecchio Piano Regolatore Generale, ha acquisito, almeno nelle intenzioni del legislatore, una dimensione ed una dignità del tutto distinta da quella dei Piani attuativi e degli atti di programmazione negoziata. La norma, infatti, attribuisce una importanza veramente centrale al PGT rispetto al quale i Piani attuativi e gli atti di programmazione negoziata assumono l’esclusiva finalità di precisazione delle prescrizioni determinate dal piano generale di urbanizzazione rappresentato dal PGT, allo scopo di consentire l’esecuzione delle previsioni di detto piano.
La medesima norma, nell’ambito di questo nuovo strumento urbanistico, introduce poi delle nuove «fattispecie urbanistiche», peraltro di imminente applicazione pratica, che assumono una portata, oserei dire, dirompente, non solo a livello urbanistico, ma anche civilistico e fiscale, nel panorama delle disposizioni urbanistiche comunemente conosciute: la «perequazione urbanistica»; la «compensazione urbanistica» e la «incentivazione». Si tratta di una serie di novità che, sebbene di limitata applicabilità al territorio regionale e, per adesso, regolamentata dalla sola Regione Lombardia, sembrano destinate ad espandersi a macchia d’olio per le interessanti peculiarità che le caratterizzano, tanto che si ha già notizia della loro analoga adozione da parte delle Regioni: Basilicata, Emilia Romagna e Toscana.
I presupposti del fenomeno: il pgt ed i suoi documenti costitutivi
Prima di parlare delle nuove figure della «perequazione» e della «compensazione», è necesssario accennare alle modalità operative del PGT. Il PGT rappresenta il piano urbanistico operativo e si compone di tre documenti sostitutivi: il Documento di Piano, il Piano delle Regole, ed il Piano dei Servizi.
Il Documento di Piano indica i parametri generali entro i quali dovrà e potrà svolgersi lo sviluppo urbanistico del territorio, a partire dalla esatta individuazione degli ambiti territoriali oggetto di trasformazione urbanistica, di cui direttamente si occupa, in contrapposizione al Piano delle Regole che, invece, si occupa esclusivamente dell’ambito territoriale urbano non soggetto a sviluppo edificatorio (o in quanto già edificato, o in quanto costituito da aree non soggette a sviluppo urbanistico quali: aree destinate all’agricoltura, aree interessate da immobili di rilevanza storico-artistica, etc.). Il rapporto tra i due documenti lo si può sintetizzare dicendo che, mentre il Piano delle Regole si occupa di valorizzare e tutelare ciò che già è esistente, il Documento di piano serve ad indicare le linee-guida per la pianificazione degli interventi urbanistici limitatamente alle aree ove tali interventi possano effettuarsi.
Il Piano dei Servizi, infine, rappresenta un documento di valutazione delle opere di urbanizzazione di interesse pubblico o di pubblica utilità già esistenti sul territorio e prescrive quali debbano essere gli ulteriori interventi in questo settore con una specifica deroga, in melius, rispetto alla logica degli standard urbanistici previsti e disciplinati dal D.M. n. 1444 del 2 aprile 1968, in attuazione dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967 n. 765.
Anche in relazione alle modalità di adozione del nuovo strumento urbanistico le novità sono davvero eclatanti, in quanto il PGT viene approvato direttamente dal Consiglio Comunale, sentito il parere obbligatorio e vincolante della Provincia; e quindi con un procedimento che, non solo è assai più snello rispetto al complesso procedimento dell’adozione e dell’approvazione del vecchio PRG, ma - in più - costituisce un procedimento in cui la potestà del Comune, scevra ormai dal controllo anche di legittimità prima esercitato a livello regionale, è pienamente autonoma ed ha larghi margini di autodeterminazione pur all’interno dei limiti di massima stabiliti dalla legislazione regionale in materia.
Poste queste premesse di massima, passiamo ad analizzare più da vicino l’articolo 11 della legge stessa che introduce, appunto, la «perequazione urbanistica», la «compensazione urbanistica» e l’«incentivazione». Scopo ultimo di queste nuove fattispecie è sostanzialmente quello di consentire una giusta valorizzazione ed un equo contemperamento dell’interesse contrapposto del privato, da una parte, che intenda utilizzare edificatoriamente i suoli, e l’interesse pubblico, dall’altra, teso ad assicurare un equo attrezzamento del tessuto urbanistico con opere di pubblica utilità.
Il contributo è volto a chiarire le modalità negoziali e quelle pubblicitarie relative alle nuove fattispecie di «perequazione urbanistica» e di «compensazione urbanistica» istituite dalla legge regionale Lombardia 11 marzo 2005, n. 12, istitutiva, tra l’altro, del nuovo strumento urbanistico denominato Piano di Governo del Territorio (PGT) sostitutivo del PRG. Si tratta di una serie di novità che, sebbene di limitata applicabilità al territorio regionale e, per adesso, regolamentata dalla sola Regione Lombardia, sembrano destinate ad espandersi a macchia d’olio per le interessanti peculiarità che le caratterizzano.
La legge regionale Lombardia 11 marzo 2005, n. 12 rappresenta, probabilmente, l’ultimo esempio di una prassi legislativa ormai consolidatasi negli ultimi anni che ha visto un graduale spostamento di competenza legislativa dallo Stato verso le Regioni, almeno in tutti gli ambiti in cui non viga una inderogabile riserva di competenza legislativa a favore dello Stato, e ciò sulla base di un principio costituzionalmente garantito dal terzo comma dell’articolo 117 della Costituzione. E la materia urbanistica rappresenta certamente uno degli ambiti in cui questa sorta di «federalismo normativo» ha potuto concretamente estrinsecarsi.
Le novità recate dal nuovo intervento normativo non sono di poco conto, considerato che la rilevanza più immediata della legge consiste nell’aver sostituito quello che, per tanti anni ha rappresentato lo strumento principe del governo urbanistico del territorio: il Piano Regolatore Generale (PRG).
Col tempo, la funzione del PRG che doveva essere, di principio, una funzione meramente programmatica, volta ad individuare prescrizioni e previsioni urbanistiche di portata generale, si è, via, via, andata snaturandosi e ha finito col confondersi con quella che avrebbe dovuto essere invece la funzione tipica dei piani particolareggiati, e cioè la funzione di identificare concretamente i lotti fabbricabili e le modalità di fabbricazione all’interno delle singole zone individuate dallo stesso PRG. Ci si è abituati, perciò, sempre più spesso, a PRG forniti di prescrizioni e previsioni alquanto dettagliate che ne hanno determinato una sorta di «fusione», in via di fatto, con i piani particolareggiati.
La novella, pur ribadendo la portata dei piani attuativi e degli atti di programmazione negoziata, quali documenti «esecutivi» delle prescrizioni generali, introduce un nuovo strumento urbanistico, definito «Piano di Governo del Territorio» (PGT), che, prendendo il posto, non solo a livello terminologico, del vecchio Piano Regolatore Generale, ha acquisito, almeno nelle intenzioni del legislatore, una dimensione ed una dignità del tutto distinta da quella dei Piani attuativi e degli atti di programmazione negoziata. La norma, infatti, attribuisce una importanza veramente centrale al PGT rispetto al quale i Piani attuativi e gli atti di programmazione negoziata assumono l’esclusiva finalità di precisazione delle prescrizioni determinate dal piano generale di urbanizzazione rappresentato dal PGT, allo scopo di consentire l’esecuzione delle previsioni di detto piano.
La medesima norma, nell’ambito di questo nuovo strumento urbanistico, introduce poi delle nuove «fattispecie urbanistiche», peraltro di imminente applicazione pratica, che assumono una portata, oserei dire, dirompente, non solo a livello urbanistico, ma anche civilistico e fiscale, nel panorama delle disposizioni urbanistiche comunemente conosciute: la «perequazione urbanistica»; la «compensazione urbanistica» e la «incentivazione». Si tratta di una serie di novità che, sebbene di limitata applicabilità al territorio regionale e, per adesso, regolamentata dalla sola Regione Lombardia, sembrano destinate ad espandersi a macchia d’olio per le interessanti peculiarità che le caratterizzano, tanto che si ha già notizia della loro analoga adozione da parte delle Regioni: Basilicata, Emilia Romagna e Toscana.
I presupposti del fenomeno: il pgt ed i suoi documenti costitutivi
Prima di parlare delle nuove figure della «perequazione» e della «compensazione», è necesssario accennare alle modalità operative del PGT. Il PGT rappresenta il piano urbanistico operativo e si compone di tre documenti sostitutivi: il Documento di Piano, il Piano delle Regole, ed il Piano dei Servizi.
Il Documento di Piano indica i parametri generali entro i quali dovrà e potrà svolgersi lo sviluppo urbanistico del territorio, a partire dalla esatta individuazione degli ambiti territoriali oggetto di trasformazione urbanistica, di cui direttamente si occupa, in contrapposizione al Piano delle Regole che, invece, si occupa esclusivamente dell’ambito territoriale urbano non soggetto a sviluppo edificatorio (o in quanto già edificato, o in quanto costituito da aree non soggette a sviluppo urbanistico quali: aree destinate all’agricoltura, aree interessate da immobili di rilevanza storico-artistica, etc.). Il rapporto tra i due documenti lo si può sintetizzare dicendo che, mentre il Piano delle Regole si occupa di valorizzare e tutelare ciò che già è esistente, il Documento di piano serve ad indicare le linee-guida per la pianificazione degli interventi urbanistici limitatamente alle aree ove tali interventi possano effettuarsi.
Il Piano dei Servizi, infine, rappresenta un documento di valutazione delle opere di urbanizzazione di interesse pubblico o di pubblica utilità già esistenti sul territorio e prescrive quali debbano essere gli ulteriori interventi in questo settore con una specifica deroga, in melius, rispetto alla logica degli standard urbanistici previsti e disciplinati dal D.M. n. 1444 del 2 aprile 1968, in attuazione dell’art. 17 della legge 6 agosto 1967 n. 765.
Anche in relazione alle modalità di adozione del nuovo strumento urbanistico le novità sono davvero eclatanti, in quanto il PGT viene approvato direttamente dal Consiglio Comunale, sentito il parere obbligatorio e vincolante della Provincia; e quindi con un procedimento che, non solo è assai più snello rispetto al complesso procedimento dell’adozione e dell’approvazione del vecchio PRG, ma - in più - costituisce un procedimento in cui la potestà del Comune, scevra ormai dal controllo anche di legittimità prima esercitato a livello regionale, è pienamente autonoma ed ha larghi margini di autodeterminazione pur all’interno dei limiti di massima stabiliti dalla legislazione regionale in materia.
Poste queste premesse di massima, passiamo ad analizzare più da vicino l’articolo 11 della legge stessa che introduce, appunto, la «perequazione urbanistica», la «compensazione urbanistica» e l’«incentivazione». Scopo ultimo di queste nuove fattispecie è sostanzialmente quello di consentire una giusta valorizzazione ed un equo contemperamento dell’interesse contrapposto del privato, da una parte, che intenda utilizzare edificatoriamente i suoli, e l’interesse pubblico, dall’altra, teso ad assicurare un equo attrezzamento del tessuto urbanistico con opere di pubblica utilità.
In relazione a queste fattispecie, invero, bisogna anzitutto chiarire che la legge n. 12/2005 non pone alcun obbligo a carico dei Comuni dell’inserimento delle stesse nell’ambito dei propri strumenti di pianificazione (PGT, Piani Attuativi e Atti di programmazione negoziata), lasciando una semplice facoltà a che ciascun Comune provveda, o meno, ad inserire queste possibilità, attraverso la definizione, nell’ambito del Documento di Piano, dei precisi criteri di «perequazione», di «compensazione» e di «incentivazione». Soddisfatto questo primo essenziale presupposto, vedremo, per ciascuna della fattispecie introdotte dalla legge n. 12/2005, gli ulteriori presupposti cui le fattispecie stesse si ricollegano.
La perequazione urbanistica da piano del governo del territorio
Il secondo comma dell’articolo 11 sopra richiamato consente che, sulla base dei criteri definiti dal Documento di Piano, il Comune possa attribuire, con determinazione fissata nel Piano delle Regole, un identico indice di edificabilità (ancorché differenziato per singole parti diverse del territorio stesso) per tutte le aree suscettibili di sfruttamento edificatorio site nel territorio comunale, ma in misura inferiore all’indice fondiario minimo. In tal caso il Piano delle Regole dovrà provvedere ad individuare le cosiddette «aree vincolate», aree soggette cioè esclusivamente ad interventi per opere di urbanizzazione, ovvero per opere a servizio della collettività, ovvero per installazione di attrezzature pubbliche o di pubblica utilità in generale (aree dunque che, sebbene in proprietà privata, sono sottratte alla possibilità di edificazione privata e la cui volumetria sfruttabile è, pertanto, soltanto teorica). Di tali aree il Piano delle Regole dovrà disciplinare la regolamentazione della cessione gratuita, a favore del Comune.
In presenza di tali previsioni contenute nel Piano delle Regole può attuarsi la «Perequazione urbanistica da Piano del Governo del Territorio». In pratica accade che ciascun titolare di un’area edificabile compresa nel territorio comunale (diversa, ovviamente, dalle «aree vincolate» secondo il suddetto significato) pur avendo il diritto all’edificazione, poiché ha subito, sulla base delle previsioni del Piano delle Regole, una decurtazione del limite fondiario minimo di edificabilità, non potrà concretamente sfruttare il proprio diritto alla edificazione se non a patto di essersi procurato la differenza di volumetria necessaria per far acquisire alla propria area la misura volumetrica determinata dal limite fondiario minimo.
Per ottenere tale differenza volumetrica, la norma dell’articolo 11 consente che tale soggetto possa rendersi cessionario di volumetria da parte di colui che è titolare di «aree vincolate» per interventi di pubblica utilità e la cui volumetria afferente la propria area (vincolata) è dunque puramente teorica. Il tutto, a patto che il titolare della volumetria cedenda provveda, contestualmente, a cedere, a sua volta, gratuitamente l’area stessa al Comune che provvederà direttamente alla realizzazione, su di essa, delle opere di interesse pubblico o di pubblica utilità individuate dal Piano delle Regole.
Si attua, in tal modo, un accordo simile alla cessione di cubatura tra i titolari di due aree che, tuttavia, non resta finalizzato a se stesso ma potrà funzionare, per espressa previsione normativa, solo a condizione che tale accordo venga acclarato dal Comune il quale, da parte sua, consentirà questa cessione di volumetria (anche indipendentemente dalla distanza tra le aree interessate) a patto che il proprietario dell’area alla quale afferisce la volumetria da cedere (l’area vincolata) provveda a cedere, a sua volta, gratuitamente e contemporaneamente l’area stessa al Comune.
L’operazione negoziale posta, in tal modo, in essere costituisce un’operazione negoziale ed economica complessa che soddisfa interessi molteplici: l’interesse del privato costruttore che potrà sfruttare edificatoriamente la propria area, avendo raggiunto, con l’acquisizione di volumetria originariamente mancantegli, l’indice fondiario minimo di edificabilità (senza il quale gli sarebbe negata l’effettiva capacità edificatoria); l’interesse della Pubblica Amministrazione che si sarà procurata la titolarità delle aree destinate ad interventi di pubblica utilità senza sborsare denaro pubblico; l’interesse del privato titolare dell’area vincolata che avrà sfruttato, se non edificatoriamente, almeno economicamente, la (teorica) volumetria di cui era titolare.
La perequazione urbanistica da piano attuativo
Analogo sistema è applicabile anche all’interno dei Piani Attuativi di iniziativa pubblica. L’articolo 11, c. 1 della legge n. 12/2005 consente che il Piano Attuativo (di iniziativa pubblica) individui una serie di aree di proprietà privata costituenti un comparto nel quale a ciascuna area viene assegnata, per espressa previsione del Piano, un’identica capacità volumetrica, proporzionale alla estensione dell’area e, nel contempo, individui quali di queste aree debbano essere asservite al Comune per la realizzazione di servizi ed infrastrutture di pubblica utilità. Cosicché il privato, titolare di un’area di fatto inedificabile, in quanto destinata alla realizzazione di opere di interesse pubblico o comunque vincolate per servizi, avrà la possibilità, in cambio della cessione a titolo gratuito dell’area stessa al Comune, di ottenere, a titolo di ristoro, la corrispondente volumetria di un’area (tra quelle individuate dallo stesso Piano Attuativo) concretamente edificabile che gli sarà ceduta in permuta da parte del Comune e che poi egli potrà liberamente commerciare sul mercato.
La compensazione urbanistica
Concetto simile a quelli di cui fin qui si è parlato è il concetto della «compensazione urbanistica» che si applica al caso di aree che non siano ricomprese in un Piano Attuativo (di iniziativa pubblica o privata) o comunque in un qualsiasi altro documento programmatico di fabbricazione. Se il diritto di edificare afferente un’area, già assentito a norma delle disposizioni vigenti, viene meno in conseguenza di sopravvenuti vincoli urbanistici che individuano nell’area in parola una destinazione specifica per la realizzazione di opere di interesse generale, il proprietario di tale area avrà la possibilità di ottenere, da parte del Comune, in cambio della cessione gratuita dell’area vincolata, altra area pienamente edificabile che otterrà a titolo di permuta; oppure, in alternativa, potrà ottenere - senza acquisizione del diritto di proprietà su alcuna area - l’attribuzione di un ammontare di volumetria sfruttabile edificatoriamente di cui potrà fare libero commercio, magari a favore di chi, titolare di un’area edificabile (individuata dal PGT o da un Piano Attuativo), non disponga della volumetria sufficiente al raggiungimento del limite fondiario minimo di edificabilità.
L’incentivazione
Un solo cenno, al fine di completezza espositiva, merita il fenomeno della «Incentivazione urbanistica» previsto dal quinto comma dell’art. 11 della legge n. 12/2005, ma pressoché estraneo a fenomeni negoziali di scambio volumetrico che qui ci interessano. L’incentivazione, che deve comunque essere prevista dal Documento di Piano, consiste nell’attribuzione di una sorta di «bonus» volumetrico (nella misura massima del 15% della volumetria ammessa per quell’area) a favore del proprietario di un’area edificabile che sia ricompresa in zona di riqualificazione urbana, come tale individuata da un Piano attuativo, a fronte di rilevanti benefici pubblici ottenuti dal Comune e aggiuntivi rispetto a quelli normalmente dovuti dal proprietario. L’incentivazione, poi, potrà altresì verificarsi in presenza di iniziative edificatorie, che il Comune ha tutto l’interesse di promuovere, volte allo sviluppo di edilizia bioclimatica e di risparmio energetico.
La ricostruzione del fenomeno in termini negoziali
La «perequazione urbanistica», così come, per tanti versi, la «compensazione urbanistica», introduce un concetto negoziale del tutto nuovo: la negoziazione tra privati, o tra il Comune ed i privati, del potenziale edificatorio riservato ad un’area di cui, però, l’area stessa non può, di fatto, usufruire. Sembra proprio che il comune denominatore di queste figure sia costituito dalla scissione del concetto di «volumetria» rispetto al concetto di «proprietà», quasi che la volumetria possa considerarsi un autonomo diritto, rispetto alla proprietà, e la cui cessione abbia a determinare una trasformazione giuridica del diritto di proprietà.
Si tratta, per tanti versi, di un mercato del tutto nuovo dove oggetto di scambio saranno, per lo più, esclusivamente misure volumetriche rappresentanti la potenzialità edificatoria di un’area, considerata in sé e, quindi, in maniera del tutto avulsa dalla proprietà del terreno alla quale originariamente afferisce. Il problema è, però, quello di valutare la possibilità e le modalità necessarie per attribuire rilevanza negoziale e, soprattutto, valenza pubblicitaria, agli scambi aventi ad oggetto esclusivamente la capacità edificatoria di un’area, in dipendenza dei fenomeni di «perequazione» e di «compensazione urbanistica».
Il concetto, di per sé, non rappresenta un’assoluta novità in quanto riesuma e legalizza, normativizzandolo, il vecchio concetto, più volte collaudato nella prassi, della cosiddetta «cessione di cubatura». Perciò la ricerca volta a teorizzare i modi con cui potrebbe essere resa possibile una traduzione delle nuove fattispecie urbanistiche in termini negoziali, non può prescindere dalla considerazione delle strade fino ad oggi seguite, nella prassi operativa, al fine di consentire l’attribuzione di dignità negoziale al conosciuto fenomeno della «cessione di cubatura».
La soluzione che, in questo campo, ha riscosso i maggiori consensi è stata quella della ricostruzione del fenomeno in termini di costituzione di servitù. Il proprietario di un fondo (servente) costituisce, a carico del proprio fondo e a favore di altro fondo limitrofo (dominante), una sorta di servitù inaedificandi (o altius non tollendi), sulla scorta della quale si impegna a non edificare (servitus inaedificandi) o ad edificare non oltre un certo limite volumetrico (servitus altius non tollendi). A tale atto di natura privatistica veniva correlato e collegato, sotto forma di condizione apposta all’atto stesso costitutivo di servitù (condizione risolutiva per mancato rilascio della concessione per maggior volumetria), l’intervento del Comune che, attraverso un atto di natura amministrativa (la concessione edilizia autorizzante la maggiore volumetria del fondo dominante), attribuiva, sotto l’aspetto urbanistico-edilizio, piena efficacia all’accordo privato.
La soluzione adottata ha dalla sua il vantaggio di rendere il tutto perfettamente opponibile nei confronti dei terzi, attraverso la trascrizione dell’atto costitutivo di servitù, ai sensi dell’art. 2643 n. 4, cod. civ., in quanto il ricorso all’impiego di un diritto reale, la servitù appunto, consente l’appalesamento ufficiale dell’accordo negoziale.
Mentre il necessario intervento comunale era diretto a consentire al proprietario del fondo dominante l’effettivo sfruttamento della maggiore volumetria disponibile in dipendenza della costituita servitù. Ad onor del vero vi è stata una certa giurisprudenza che nel tempo, sulla scia di certi studi civilistici volti a contestare la netta distinzione tra diritti reali e diritti obbligatori e, per questa via a consentire l’apertura del tradizionale «numerus clausus» dei diritti reali, ha incoraggiato la valutazione della «cubatura» come diritto reale autonomo rispetto alla «proprietà» della quale avrebbe dovuto rappresentare, invece, unicamente una facoltà.
Sicché non sono rimasti isolati, episodi negoziali con cui si è arrivati alla cessione vera e propria della cubatura considerata come diritto reale immobiliare atipico (si veda a tal proposito le conclusioni di cui Cass. 14 dicembre 1988 n. 6807 in Riv. Not. 1989, pag. 412).
Vi è poi una terza possibilità che è stata offerta agli operatori del diritto, sostenuta anche da certa giurisprudenza di Cassazione (vedi per tutte: Cass. 29 giugno 1981 n. 4245 in Giur. Italiana 1982 I, 1, pag. 685; e Cass. 12 settembre 1998 n. 9081): quella dell’atto unilaterale d’obbligo edilizio irrevocabile stipulato dal soggetto «cedente» la cubatura (senza alcun intervento negoziale del soggetto a cui quella cubatura profitti) nei confronti del Comune, attraverso il quale egli si obbliga a non edificare oltre un certo limite o a non edificare del tutto. A ben vedere, nessuna delle tre soluzioni adottate in tema di «cessione di cubatura» soddisfa a pieno le esigenze connaturate alle nuove fattispecie di «perequazione» e di «compensazione urbanistica».
La soluzione dell’atto costitutivo di servitù ha infatti diversi limiti. Anzitutto la cessione volumetrica, nell’ambito della perequazione e della compensazione, può avvenire, anzi di norma avviena, tra fondi che non sono contigui, né finitimi, tra i quali manca, pertanto quel nesso di «vicinitas», materiale o logica, che sta alla base e giustificherebbe il rapporto di servitù. In secondo luogo il soggetto che si avvantaggia della volumetria da cedere potrebbe restare, al momento, indeterminato e può addirittura, nell’immediato, mancare; onde il rapporto bilaterale che la servitù dovrebbe andare a costituire non può concludersi. La legge parla, poi, con una precisa ed incontrovertibile terminologia, di: «diritti edificatori trasferibili» e «libera commerciabilità degli stessi», confermando, sotto tale aspetto, la debolezza dello schema negoziale di «costituzione di servitù».
Nell’ambito della «compensazione urbanistica», infatti, si attua un vero e proprio scambio negoziale tra il privato che cede l’area vincolata al Comune e quest’ultimo che, in cambio dell’acquisizione gratuita dell’area, conferisce al privato la disponibilità di un “tot” di volumetria edificabile di cui, a questo punto, il privato acquista la titolarità autonomamente rispetto a qualsiasi area alla quale essa dovrebbe normalmente accedere, quale facoltà annessa al diritto di proprietà; sicché l’unica funzione di questa volumetria concessa è la sua funzione mercantile in quanto essa non potrà che essere unicamente destinata alla cessione sul mercato, a vantaggio di coloro che, titolari di aree alle quali accedono volumetrie insufficienti, ne abbiano bisogno al fine dello sfruttamento edificatorio delle stesse. Laddove il rapporto di servitù è caratterizzato unicamente, non da uno scambio, ma da una compressione momentanea dell’utilità di un fondo al fine di consentire la maggiore utilità di altro fondo.
Ma v’è di più. La «perequazione urbanistica» prevede, per forza di cose, un rapporto al quale partecipano – perché l’intera fattispecie possa dirsi perfezionata - sia i due privati (colui che si impoverisce della cubatura spettantegli e colui che, di quell’impoverimento, trae immediato e diretto giovamento), sia il Comune. Il soggetto che ha interesse a procurarsi la volumetria che gli è indispensabile alla realizzazione dell’edificato, infatti, non potrà acquisire in nessun modo tale volumetria se non da quegli che, in cambio della facoltà di cedere la propria volumetria, sia disposto a cedere gratuitamente al Comune l’area a cui la volumetria cedenda afferisce (che è volumetria dal cedente non altrimenti sfruttabile in quanto afferente ad area vincolata ad interventi di interesse pubblico). O, se vogliamo, in altri termini, invertendo l’ordine dei fattori, la cessione gratuita dell’area vincolata a favore del Comune viene «ripagata» al cedente mediante attribuzione allo stesso del diritto di mercanteggiare la propria volumetria (che afferiva l’area oggetto di cessione al Comune) con il terzo che, di quella volumetria ha bisogno per potere concretamente realizzare la propria edificazione sfruttando il limite consentito dal PGT.
La soluzione della ricostruzione della cubatura quale diritto (reale?) sui generis non è affatto condivisibile e percorribile. Infatti, al di là delle annose questioni relative alla possibilità, o meno, di allargare il numerus claususdei diritti reali, v’è un problema che si pone ancora più a monte e che esclude, «in nuce», la risolvibilità della questione in questi termini. Nonostante la terminologia legislativa usata sembri suggerire, infatti, il richiamo ad un diritto immobiliare sui generis, va affermato che la legislazione regionale non può invadere il campo del diritto privato, che è coperto da riserva di legge a favore della legislazione statale, e - pertanto - non può, giustappunto, la legge regionale, aver creato un diritto reale nuovo, al di là del numerus clausus conosciuto dal diritto civile. Infine, la soluzione dell’atto unilaterale d’obbligo, da parte sua, comporta un problema di fondo.
L’atto unilaterale d’obbligo, ancorché perfettamente trascrivibile (sebbene con effetti diversi da quelli consentiti dall’articolo 2643 e richiamati dall’art. 2645 cod. civ., per gli atti costitutivi di servitù), non esaurisce, da solo, la vicenda, poiché sarà sempre necessario un ulteriore intervento del Comune che, con il rilascio della concessione edilizia (oggi si direbbe «permesso di costruire ») per la maggiore cubatura consentita a favore del soggetto al quale la rinuncia profitti, chiuda il cerchio. Ma il problema è che tale schema negoziale finisce per lasciare legalmente indeterminato, almeno fintantoché il Comune non sia intervenuto con il proprio atto amministrativo, il soggetto avvantaggiato dalla «rinuncia » alla cubatura. Ciò ha condotto taluni a sostenere addirittura che, nelle more del rilascio del provvedimento amministrativo, in applicazione analogica della norma generale di cui all’articolo 827 cod. civ., si dovrà concludere circa la spettanza della cubatura rinunciata allo Stato.
Conclusioni
Alla luce di tali premesse e sulla scorta della considerazione che, comunque, occorre garantire, da un lato, la certezza del diritto e, dall’altro lato, trovare la soluzione che possa riuscire a garantire l’equo contemperamento degli interessi dei privati e della Pubblica Amministrazione, la soluzione, non diciamo migliore, ma certamente più pragmatica, consista nel far riferimento ad un rapporto negoziale trilatero che veda la con-presenza e la manifestazione volontaristica del Comune e delle due parti private (queste ultime interessate dalla cessione di volumetria) tra i quali si attua, per un verso, lo spostamento giuridico della titolarità delle aree vincolate (dal privato cedente al Comune) e, allo stesso tempo, per altro verso, la decurtazione economica, dal diritto di proprietà, di quella volumetria che sarà oggetto di cessione a favore di altro privato.
Nell’ambito della «perequazione», così come in quello della «compensazione», ci troviamo di fronte ad accordi funzionalizzati alla pianificazione del territorio la cui causa è nella legge urbanistica e per il cui completo perfezionamento, in relazione alla funzione urbanistica esplicata dall’accordo stesso, occorrerà, non soltanto la prestazione del consenso tra i privati coinvolti dalla vicenda trasmissoria della volumetria, ma altresì l’intervento del Comune che, resosi cessionario a titolo gratuito dell’area «vincolata», consenta, per ciò stesso, la cedibilità della volumetria dal privato, a favore di altro privato.
Si tratta, dunque di un accordo negoziale complesso dove il rapporto tra privati resta sempre un «segmento» dell’intero procedimento che si perfeziona solo con l’intervento del Comune. In tale ambito sembra non esserci spazio per un intervento, meramente discrezionale da parte del Comune, concretantesi nel rilascio di un permesso di costruire per una volumetria superiore a quella consentita (così come avveniva nei vecchi rapporti di cessione di cubatura costruiti in forma di atti costitutivi di servitù), poiché l’acquisizione dell’aumentata volumetria, in presenza della «perequazione» e della «compensazione urbanistica », non è più una mera facoltà (che perciò l’atto amministrativo può riconoscere o meno), ma una diretta conseguenza del consenso alla cessione gratuita dell’area a favore del Comune della quale rappresenta una sorta di corrispettivo.
Come dire che la cessione gratuita di area al Comune rischierebbe di restare, sine causa, senza la concessa cedibilità (da parte del Comune) della volumetria del cedente l’area a favore di terzi che di quella volumetria hanno bisogno; così come, allo stesso modo, non sarebbe possibile commerciare volumetrie, senza l’avvenuta cessione dell’area vincolata a favore del Comune da parte di chi intende essere cedente della volumetria.
Tuttavia, fatta eccezione per l’ipotesi di «perequazione da Piano di Governo del territorio» in cui è la stessa norma a richiedere che tutto avvenga contemporaneamente e quindi in un’unica soluzione, nulla impedisce che questo schema si realizzi in modo progressivo, e cioè intanto attraverso la cessione gratuita dell’area «vincolata» al Comune e la conseguente acquisizione della volumetria da parte del cedente che solo in seguito e successivamente la alienerà a terzi, godendone il ricavato.
Si tratterà, allora, di applicare all’accordo, il noto schema del perfezionamento della fattispecie attraverso la cosiddetta formazione progressiva. Ma ciò che preme sottolineare è che il rapporto procedimentale che dovrà instaurarsi non può che essere un rapporto negoziale complesso da instaurarsi tra tre distinte parti: il cedente la volumetria, il cessionario della volumetria ed il Comune che sarà, al contempo, cessionario (a titolo gratuito) della titolarità dell’area del cedente la volumetria, e concedente, in ottemperanza alle previsioni del PGT di perequazione o di compensazione urbanistica, della facoltà di cessione di volumetria.
Si tratta di una fattispecie complessa, appunto, dove la contemporaneità dei rapporti (quello squisitamente privatistico e quello pubblicistico, senza il quale la fattispecie non risulta completata), pur consigliabile, è solo eventuale ed è prevista nello stesso testo legislativo (vedi ultima parte del comma 2 dell’articolo 11) solo per una specifica ipotesi di perequazione. Tale negoziazione che rappresenta, pur sempre, un fenomeno di pianificazione programmata o concordata, già previsto - invero - dall’articolo 11 della legge n. 241/80 funzionalizzata al perfezionamento della «perequazione urbanistica» o della «compensazione urbanistica», non è, almeno relativamente allo scambio o alla cessione di volumetria, una negoziazione che dà luogo alla trasmissione o alla costituzione di diritti reali, bensì, come abbiamo appena accennato, un rapporto che determina una modificazione del contenuto economico del diritto di proprietà, sottraendo a questo tutta o parte della capacità edificatoria.
Si pone, a questo punto, il problema della conoscibilità e cioè della trascrizione di questi atti. A tal fine, qualora facessimo riferimento al tradizionale sistema codicistico della pubblicità dichiarativa, torneremmo a trovarci nel vicolo cieco di partenza. E ciò per l’ovvia ragione che gli schemi negoziali ed i diritti di cui si tratta, le cubature volumetriche afferenti le aree e le relative cessioni appunto, risultano estranei all’ambito dei diritti, dei contratti e quindi delle ipotesi tassative di pubblicità cui fa riferimento l’articolo 2643 cod. civ., rispetto al quale, come sappiamo, non è consentita interpretazione ulteriore, né in via estensiva, né in via analogica. Si tratta di una «impasse» di cui i primi commentatori del nuovo sistema normativo urbanistico si sono resi verosimilmente conto, tanto che, nel tentativo di trovare sbocchi al problema, è sembrato ad alcuni addirittura plausibile l’idea di ricorrere ad un sistema pubblicitario, veramente atipico, che vedrebbe il ricorso ad una poco chiara «intavolazione» catastale delle volumetrie, laddove il nostro catasto ha, fino ad oggi, funzioni tutt’altro che probatorie.
La negoziazione di volumetria nasce nell’ambito di un sistema di controllo, da parte della P.A., della pianificazione del territorio, controllo che si spinge fino alla compressione delle risorse private. Siamo cioè, come li ha definiti Mazzarelli nel suo volume «Le Convenzioni Urbanistiche» (Editore Il Mulino - Bologna), parlando delle convenzioni urbanistiche in genere e delle «cessioni di cubatura», al cospetto di «contratti organizzativi di beni a fini urbanistici», cioè di contratti che hanno una loro causa specifica, di natura non privatistica, ma pubblicistica, che risiede nella tutela della pianificazione del territorio per il soddisfacimento del più alto interesse della collettività rispetto all’interesse limitato del singolo privato.
Vi è, dunque un’autonoma categoria di atti, dotati di una causa loro propria, ai quali deve far riscontro un sistema pubblicitario che, date le premesse, non può che essere un sistema di pubblicità che esula dall’ambito squisitamente civilistico, per addentrarsi nell’ambito amministrativo. Siamo, cioè, di fronte ad un sistema di pubblicità-notizia, con valenza prettamente pubblicistica in quanto pubblicità a fini urbanistici, la cui funzione non è quella di rendere erga omnes opponibile l’acquisto o l’esistenza di un diritto in capo ad un soggetto, per questa via esplicando altresì la funzione «dirimente», tipica della pubblicità dichiarativa, ma la diversa funzione di portare a conoscenza una limitazione al contenuto, non giuridico, ma economico del diritto di proprietà, per la tutela del più alto interesse del buon governo del territorio.
L’atipicità di questo sistema di pubblicità, come in passato certa dottrina notarile ha già avuto modo di sottolineare, non viola il principio di tassatività delle ipotesi di negoziazioni trascrivibili perché appunto non è pubblicità dichiarativa, alla quale quelle ipotesi tassative sono correlate. Esso è un sistema specifico di pubblicità che trova riscontro al di là e al di fuori del Codice Civile e che, pertanto, non ha bisogno neppure di rispettare gli schemi tipici della trascrizione civilisticamente codificata, sicché non deve sorprenderci nemmeno la contemplazione in esso di un «fenomeno», la volumetria appunto, non altrimenti definibile.
Dal punto di vista operativo, qualora la vicenda assuma struttura trilaterale (cedente l’area /Comune/ terzo cessionario della volumetria) l’atto sarà trascrivibile con due separate note: a) la prima, a fini di pubblicità dichiarativa, sarà relativa alla cessione dell’area al Comune; b) la seconda, a fini di pubblicità notizia, sarà relativa ai rapporti tra il cedente l’area, che ha ricevuto in cambio, dal Comune, la volumetria, ed il terzo cessionario della volumetria stessa. Qualora la vicenda si articoli, invece, in due fasi distinte, sarà effettuata dapprima la pubblicità dichiarativa inerente l’atto di cessione di area al Comune, compensata con l’attribuzione al privato dei «diritti edificatori liberamente commerciabili». Il successivo trasferimento a terzi di tali diritti sarà reso noto con la trascrizione, a fini di pubblicità notizia, di tale atto trasmissivo.
La perequazione urbanistica da piano del governo del territorio
Il secondo comma dell’articolo 11 sopra richiamato consente che, sulla base dei criteri definiti dal Documento di Piano, il Comune possa attribuire, con determinazione fissata nel Piano delle Regole, un identico indice di edificabilità (ancorché differenziato per singole parti diverse del territorio stesso) per tutte le aree suscettibili di sfruttamento edificatorio site nel territorio comunale, ma in misura inferiore all’indice fondiario minimo. In tal caso il Piano delle Regole dovrà provvedere ad individuare le cosiddette «aree vincolate», aree soggette cioè esclusivamente ad interventi per opere di urbanizzazione, ovvero per opere a servizio della collettività, ovvero per installazione di attrezzature pubbliche o di pubblica utilità in generale (aree dunque che, sebbene in proprietà privata, sono sottratte alla possibilità di edificazione privata e la cui volumetria sfruttabile è, pertanto, soltanto teorica). Di tali aree il Piano delle Regole dovrà disciplinare la regolamentazione della cessione gratuita, a favore del Comune.
In presenza di tali previsioni contenute nel Piano delle Regole può attuarsi la «Perequazione urbanistica da Piano del Governo del Territorio». In pratica accade che ciascun titolare di un’area edificabile compresa nel territorio comunale (diversa, ovviamente, dalle «aree vincolate» secondo il suddetto significato) pur avendo il diritto all’edificazione, poiché ha subito, sulla base delle previsioni del Piano delle Regole, una decurtazione del limite fondiario minimo di edificabilità, non potrà concretamente sfruttare il proprio diritto alla edificazione se non a patto di essersi procurato la differenza di volumetria necessaria per far acquisire alla propria area la misura volumetrica determinata dal limite fondiario minimo.
Per ottenere tale differenza volumetrica, la norma dell’articolo 11 consente che tale soggetto possa rendersi cessionario di volumetria da parte di colui che è titolare di «aree vincolate» per interventi di pubblica utilità e la cui volumetria afferente la propria area (vincolata) è dunque puramente teorica. Il tutto, a patto che il titolare della volumetria cedenda provveda, contestualmente, a cedere, a sua volta, gratuitamente l’area stessa al Comune che provvederà direttamente alla realizzazione, su di essa, delle opere di interesse pubblico o di pubblica utilità individuate dal Piano delle Regole.
Si attua, in tal modo, un accordo simile alla cessione di cubatura tra i titolari di due aree che, tuttavia, non resta finalizzato a se stesso ma potrà funzionare, per espressa previsione normativa, solo a condizione che tale accordo venga acclarato dal Comune il quale, da parte sua, consentirà questa cessione di volumetria (anche indipendentemente dalla distanza tra le aree interessate) a patto che il proprietario dell’area alla quale afferisce la volumetria da cedere (l’area vincolata) provveda a cedere, a sua volta, gratuitamente e contemporaneamente l’area stessa al Comune.
L’operazione negoziale posta, in tal modo, in essere costituisce un’operazione negoziale ed economica complessa che soddisfa interessi molteplici: l’interesse del privato costruttore che potrà sfruttare edificatoriamente la propria area, avendo raggiunto, con l’acquisizione di volumetria originariamente mancantegli, l’indice fondiario minimo di edificabilità (senza il quale gli sarebbe negata l’effettiva capacità edificatoria); l’interesse della Pubblica Amministrazione che si sarà procurata la titolarità delle aree destinate ad interventi di pubblica utilità senza sborsare denaro pubblico; l’interesse del privato titolare dell’area vincolata che avrà sfruttato, se non edificatoriamente, almeno economicamente, la (teorica) volumetria di cui era titolare.
La perequazione urbanistica da piano attuativo
Analogo sistema è applicabile anche all’interno dei Piani Attuativi di iniziativa pubblica. L’articolo 11, c. 1 della legge n. 12/2005 consente che il Piano Attuativo (di iniziativa pubblica) individui una serie di aree di proprietà privata costituenti un comparto nel quale a ciascuna area viene assegnata, per espressa previsione del Piano, un’identica capacità volumetrica, proporzionale alla estensione dell’area e, nel contempo, individui quali di queste aree debbano essere asservite al Comune per la realizzazione di servizi ed infrastrutture di pubblica utilità. Cosicché il privato, titolare di un’area di fatto inedificabile, in quanto destinata alla realizzazione di opere di interesse pubblico o comunque vincolate per servizi, avrà la possibilità, in cambio della cessione a titolo gratuito dell’area stessa al Comune, di ottenere, a titolo di ristoro, la corrispondente volumetria di un’area (tra quelle individuate dallo stesso Piano Attuativo) concretamente edificabile che gli sarà ceduta in permuta da parte del Comune e che poi egli potrà liberamente commerciare sul mercato.
La compensazione urbanistica
Concetto simile a quelli di cui fin qui si è parlato è il concetto della «compensazione urbanistica» che si applica al caso di aree che non siano ricomprese in un Piano Attuativo (di iniziativa pubblica o privata) o comunque in un qualsiasi altro documento programmatico di fabbricazione. Se il diritto di edificare afferente un’area, già assentito a norma delle disposizioni vigenti, viene meno in conseguenza di sopravvenuti vincoli urbanistici che individuano nell’area in parola una destinazione specifica per la realizzazione di opere di interesse generale, il proprietario di tale area avrà la possibilità di ottenere, da parte del Comune, in cambio della cessione gratuita dell’area vincolata, altra area pienamente edificabile che otterrà a titolo di permuta; oppure, in alternativa, potrà ottenere - senza acquisizione del diritto di proprietà su alcuna area - l’attribuzione di un ammontare di volumetria sfruttabile edificatoriamente di cui potrà fare libero commercio, magari a favore di chi, titolare di un’area edificabile (individuata dal PGT o da un Piano Attuativo), non disponga della volumetria sufficiente al raggiungimento del limite fondiario minimo di edificabilità.
L’incentivazione
Un solo cenno, al fine di completezza espositiva, merita il fenomeno della «Incentivazione urbanistica» previsto dal quinto comma dell’art. 11 della legge n. 12/2005, ma pressoché estraneo a fenomeni negoziali di scambio volumetrico che qui ci interessano. L’incentivazione, che deve comunque essere prevista dal Documento di Piano, consiste nell’attribuzione di una sorta di «bonus» volumetrico (nella misura massima del 15% della volumetria ammessa per quell’area) a favore del proprietario di un’area edificabile che sia ricompresa in zona di riqualificazione urbana, come tale individuata da un Piano attuativo, a fronte di rilevanti benefici pubblici ottenuti dal Comune e aggiuntivi rispetto a quelli normalmente dovuti dal proprietario. L’incentivazione, poi, potrà altresì verificarsi in presenza di iniziative edificatorie, che il Comune ha tutto l’interesse di promuovere, volte allo sviluppo di edilizia bioclimatica e di risparmio energetico.
La ricostruzione del fenomeno in termini negoziali
La «perequazione urbanistica», così come, per tanti versi, la «compensazione urbanistica», introduce un concetto negoziale del tutto nuovo: la negoziazione tra privati, o tra il Comune ed i privati, del potenziale edificatorio riservato ad un’area di cui, però, l’area stessa non può, di fatto, usufruire. Sembra proprio che il comune denominatore di queste figure sia costituito dalla scissione del concetto di «volumetria» rispetto al concetto di «proprietà», quasi che la volumetria possa considerarsi un autonomo diritto, rispetto alla proprietà, e la cui cessione abbia a determinare una trasformazione giuridica del diritto di proprietà.
Si tratta, per tanti versi, di un mercato del tutto nuovo dove oggetto di scambio saranno, per lo più, esclusivamente misure volumetriche rappresentanti la potenzialità edificatoria di un’area, considerata in sé e, quindi, in maniera del tutto avulsa dalla proprietà del terreno alla quale originariamente afferisce. Il problema è, però, quello di valutare la possibilità e le modalità necessarie per attribuire rilevanza negoziale e, soprattutto, valenza pubblicitaria, agli scambi aventi ad oggetto esclusivamente la capacità edificatoria di un’area, in dipendenza dei fenomeni di «perequazione» e di «compensazione urbanistica».
Il concetto, di per sé, non rappresenta un’assoluta novità in quanto riesuma e legalizza, normativizzandolo, il vecchio concetto, più volte collaudato nella prassi, della cosiddetta «cessione di cubatura». Perciò la ricerca volta a teorizzare i modi con cui potrebbe essere resa possibile una traduzione delle nuove fattispecie urbanistiche in termini negoziali, non può prescindere dalla considerazione delle strade fino ad oggi seguite, nella prassi operativa, al fine di consentire l’attribuzione di dignità negoziale al conosciuto fenomeno della «cessione di cubatura».
La soluzione che, in questo campo, ha riscosso i maggiori consensi è stata quella della ricostruzione del fenomeno in termini di costituzione di servitù. Il proprietario di un fondo (servente) costituisce, a carico del proprio fondo e a favore di altro fondo limitrofo (dominante), una sorta di servitù inaedificandi (o altius non tollendi), sulla scorta della quale si impegna a non edificare (servitus inaedificandi) o ad edificare non oltre un certo limite volumetrico (servitus altius non tollendi). A tale atto di natura privatistica veniva correlato e collegato, sotto forma di condizione apposta all’atto stesso costitutivo di servitù (condizione risolutiva per mancato rilascio della concessione per maggior volumetria), l’intervento del Comune che, attraverso un atto di natura amministrativa (la concessione edilizia autorizzante la maggiore volumetria del fondo dominante), attribuiva, sotto l’aspetto urbanistico-edilizio, piena efficacia all’accordo privato.
La soluzione adottata ha dalla sua il vantaggio di rendere il tutto perfettamente opponibile nei confronti dei terzi, attraverso la trascrizione dell’atto costitutivo di servitù, ai sensi dell’art. 2643 n. 4, cod. civ., in quanto il ricorso all’impiego di un diritto reale, la servitù appunto, consente l’appalesamento ufficiale dell’accordo negoziale.
Mentre il necessario intervento comunale era diretto a consentire al proprietario del fondo dominante l’effettivo sfruttamento della maggiore volumetria disponibile in dipendenza della costituita servitù. Ad onor del vero vi è stata una certa giurisprudenza che nel tempo, sulla scia di certi studi civilistici volti a contestare la netta distinzione tra diritti reali e diritti obbligatori e, per questa via a consentire l’apertura del tradizionale «numerus clausus» dei diritti reali, ha incoraggiato la valutazione della «cubatura» come diritto reale autonomo rispetto alla «proprietà» della quale avrebbe dovuto rappresentare, invece, unicamente una facoltà.
Sicché non sono rimasti isolati, episodi negoziali con cui si è arrivati alla cessione vera e propria della cubatura considerata come diritto reale immobiliare atipico (si veda a tal proposito le conclusioni di cui Cass. 14 dicembre 1988 n. 6807 in Riv. Not. 1989, pag. 412).
Vi è poi una terza possibilità che è stata offerta agli operatori del diritto, sostenuta anche da certa giurisprudenza di Cassazione (vedi per tutte: Cass. 29 giugno 1981 n. 4245 in Giur. Italiana 1982 I, 1, pag. 685; e Cass. 12 settembre 1998 n. 9081): quella dell’atto unilaterale d’obbligo edilizio irrevocabile stipulato dal soggetto «cedente» la cubatura (senza alcun intervento negoziale del soggetto a cui quella cubatura profitti) nei confronti del Comune, attraverso il quale egli si obbliga a non edificare oltre un certo limite o a non edificare del tutto. A ben vedere, nessuna delle tre soluzioni adottate in tema di «cessione di cubatura» soddisfa a pieno le esigenze connaturate alle nuove fattispecie di «perequazione» e di «compensazione urbanistica».
La soluzione dell’atto costitutivo di servitù ha infatti diversi limiti. Anzitutto la cessione volumetrica, nell’ambito della perequazione e della compensazione, può avvenire, anzi di norma avviena, tra fondi che non sono contigui, né finitimi, tra i quali manca, pertanto quel nesso di «vicinitas», materiale o logica, che sta alla base e giustificherebbe il rapporto di servitù. In secondo luogo il soggetto che si avvantaggia della volumetria da cedere potrebbe restare, al momento, indeterminato e può addirittura, nell’immediato, mancare; onde il rapporto bilaterale che la servitù dovrebbe andare a costituire non può concludersi. La legge parla, poi, con una precisa ed incontrovertibile terminologia, di: «diritti edificatori trasferibili» e «libera commerciabilità degli stessi», confermando, sotto tale aspetto, la debolezza dello schema negoziale di «costituzione di servitù».
Nell’ambito della «compensazione urbanistica», infatti, si attua un vero e proprio scambio negoziale tra il privato che cede l’area vincolata al Comune e quest’ultimo che, in cambio dell’acquisizione gratuita dell’area, conferisce al privato la disponibilità di un “tot” di volumetria edificabile di cui, a questo punto, il privato acquista la titolarità autonomamente rispetto a qualsiasi area alla quale essa dovrebbe normalmente accedere, quale facoltà annessa al diritto di proprietà; sicché l’unica funzione di questa volumetria concessa è la sua funzione mercantile in quanto essa non potrà che essere unicamente destinata alla cessione sul mercato, a vantaggio di coloro che, titolari di aree alle quali accedono volumetrie insufficienti, ne abbiano bisogno al fine dello sfruttamento edificatorio delle stesse. Laddove il rapporto di servitù è caratterizzato unicamente, non da uno scambio, ma da una compressione momentanea dell’utilità di un fondo al fine di consentire la maggiore utilità di altro fondo.
Ma v’è di più. La «perequazione urbanistica» prevede, per forza di cose, un rapporto al quale partecipano – perché l’intera fattispecie possa dirsi perfezionata - sia i due privati (colui che si impoverisce della cubatura spettantegli e colui che, di quell’impoverimento, trae immediato e diretto giovamento), sia il Comune. Il soggetto che ha interesse a procurarsi la volumetria che gli è indispensabile alla realizzazione dell’edificato, infatti, non potrà acquisire in nessun modo tale volumetria se non da quegli che, in cambio della facoltà di cedere la propria volumetria, sia disposto a cedere gratuitamente al Comune l’area a cui la volumetria cedenda afferisce (che è volumetria dal cedente non altrimenti sfruttabile in quanto afferente ad area vincolata ad interventi di interesse pubblico). O, se vogliamo, in altri termini, invertendo l’ordine dei fattori, la cessione gratuita dell’area vincolata a favore del Comune viene «ripagata» al cedente mediante attribuzione allo stesso del diritto di mercanteggiare la propria volumetria (che afferiva l’area oggetto di cessione al Comune) con il terzo che, di quella volumetria ha bisogno per potere concretamente realizzare la propria edificazione sfruttando il limite consentito dal PGT.
La soluzione della ricostruzione della cubatura quale diritto (reale?) sui generis non è affatto condivisibile e percorribile. Infatti, al di là delle annose questioni relative alla possibilità, o meno, di allargare il numerus claususdei diritti reali, v’è un problema che si pone ancora più a monte e che esclude, «in nuce», la risolvibilità della questione in questi termini. Nonostante la terminologia legislativa usata sembri suggerire, infatti, il richiamo ad un diritto immobiliare sui generis, va affermato che la legislazione regionale non può invadere il campo del diritto privato, che è coperto da riserva di legge a favore della legislazione statale, e - pertanto - non può, giustappunto, la legge regionale, aver creato un diritto reale nuovo, al di là del numerus clausus conosciuto dal diritto civile. Infine, la soluzione dell’atto unilaterale d’obbligo, da parte sua, comporta un problema di fondo.
L’atto unilaterale d’obbligo, ancorché perfettamente trascrivibile (sebbene con effetti diversi da quelli consentiti dall’articolo 2643 e richiamati dall’art. 2645 cod. civ., per gli atti costitutivi di servitù), non esaurisce, da solo, la vicenda, poiché sarà sempre necessario un ulteriore intervento del Comune che, con il rilascio della concessione edilizia (oggi si direbbe «permesso di costruire ») per la maggiore cubatura consentita a favore del soggetto al quale la rinuncia profitti, chiuda il cerchio. Ma il problema è che tale schema negoziale finisce per lasciare legalmente indeterminato, almeno fintantoché il Comune non sia intervenuto con il proprio atto amministrativo, il soggetto avvantaggiato dalla «rinuncia » alla cubatura. Ciò ha condotto taluni a sostenere addirittura che, nelle more del rilascio del provvedimento amministrativo, in applicazione analogica della norma generale di cui all’articolo 827 cod. civ., si dovrà concludere circa la spettanza della cubatura rinunciata allo Stato.
Conclusioni
Alla luce di tali premesse e sulla scorta della considerazione che, comunque, occorre garantire, da un lato, la certezza del diritto e, dall’altro lato, trovare la soluzione che possa riuscire a garantire l’equo contemperamento degli interessi dei privati e della Pubblica Amministrazione, la soluzione, non diciamo migliore, ma certamente più pragmatica, consista nel far riferimento ad un rapporto negoziale trilatero che veda la con-presenza e la manifestazione volontaristica del Comune e delle due parti private (queste ultime interessate dalla cessione di volumetria) tra i quali si attua, per un verso, lo spostamento giuridico della titolarità delle aree vincolate (dal privato cedente al Comune) e, allo stesso tempo, per altro verso, la decurtazione economica, dal diritto di proprietà, di quella volumetria che sarà oggetto di cessione a favore di altro privato.
Nell’ambito della «perequazione», così come in quello della «compensazione», ci troviamo di fronte ad accordi funzionalizzati alla pianificazione del territorio la cui causa è nella legge urbanistica e per il cui completo perfezionamento, in relazione alla funzione urbanistica esplicata dall’accordo stesso, occorrerà, non soltanto la prestazione del consenso tra i privati coinvolti dalla vicenda trasmissoria della volumetria, ma altresì l’intervento del Comune che, resosi cessionario a titolo gratuito dell’area «vincolata», consenta, per ciò stesso, la cedibilità della volumetria dal privato, a favore di altro privato.
Si tratta, dunque di un accordo negoziale complesso dove il rapporto tra privati resta sempre un «segmento» dell’intero procedimento che si perfeziona solo con l’intervento del Comune. In tale ambito sembra non esserci spazio per un intervento, meramente discrezionale da parte del Comune, concretantesi nel rilascio di un permesso di costruire per una volumetria superiore a quella consentita (così come avveniva nei vecchi rapporti di cessione di cubatura costruiti in forma di atti costitutivi di servitù), poiché l’acquisizione dell’aumentata volumetria, in presenza della «perequazione» e della «compensazione urbanistica », non è più una mera facoltà (che perciò l’atto amministrativo può riconoscere o meno), ma una diretta conseguenza del consenso alla cessione gratuita dell’area a favore del Comune della quale rappresenta una sorta di corrispettivo.
Come dire che la cessione gratuita di area al Comune rischierebbe di restare, sine causa, senza la concessa cedibilità (da parte del Comune) della volumetria del cedente l’area a favore di terzi che di quella volumetria hanno bisogno; così come, allo stesso modo, non sarebbe possibile commerciare volumetrie, senza l’avvenuta cessione dell’area vincolata a favore del Comune da parte di chi intende essere cedente della volumetria.
Tuttavia, fatta eccezione per l’ipotesi di «perequazione da Piano di Governo del territorio» in cui è la stessa norma a richiedere che tutto avvenga contemporaneamente e quindi in un’unica soluzione, nulla impedisce che questo schema si realizzi in modo progressivo, e cioè intanto attraverso la cessione gratuita dell’area «vincolata» al Comune e la conseguente acquisizione della volumetria da parte del cedente che solo in seguito e successivamente la alienerà a terzi, godendone il ricavato.
Si tratterà, allora, di applicare all’accordo, il noto schema del perfezionamento della fattispecie attraverso la cosiddetta formazione progressiva. Ma ciò che preme sottolineare è che il rapporto procedimentale che dovrà instaurarsi non può che essere un rapporto negoziale complesso da instaurarsi tra tre distinte parti: il cedente la volumetria, il cessionario della volumetria ed il Comune che sarà, al contempo, cessionario (a titolo gratuito) della titolarità dell’area del cedente la volumetria, e concedente, in ottemperanza alle previsioni del PGT di perequazione o di compensazione urbanistica, della facoltà di cessione di volumetria.
Si tratta di una fattispecie complessa, appunto, dove la contemporaneità dei rapporti (quello squisitamente privatistico e quello pubblicistico, senza il quale la fattispecie non risulta completata), pur consigliabile, è solo eventuale ed è prevista nello stesso testo legislativo (vedi ultima parte del comma 2 dell’articolo 11) solo per una specifica ipotesi di perequazione. Tale negoziazione che rappresenta, pur sempre, un fenomeno di pianificazione programmata o concordata, già previsto - invero - dall’articolo 11 della legge n. 241/80 funzionalizzata al perfezionamento della «perequazione urbanistica» o della «compensazione urbanistica», non è, almeno relativamente allo scambio o alla cessione di volumetria, una negoziazione che dà luogo alla trasmissione o alla costituzione di diritti reali, bensì, come abbiamo appena accennato, un rapporto che determina una modificazione del contenuto economico del diritto di proprietà, sottraendo a questo tutta o parte della capacità edificatoria.
Si pone, a questo punto, il problema della conoscibilità e cioè della trascrizione di questi atti. A tal fine, qualora facessimo riferimento al tradizionale sistema codicistico della pubblicità dichiarativa, torneremmo a trovarci nel vicolo cieco di partenza. E ciò per l’ovvia ragione che gli schemi negoziali ed i diritti di cui si tratta, le cubature volumetriche afferenti le aree e le relative cessioni appunto, risultano estranei all’ambito dei diritti, dei contratti e quindi delle ipotesi tassative di pubblicità cui fa riferimento l’articolo 2643 cod. civ., rispetto al quale, come sappiamo, non è consentita interpretazione ulteriore, né in via estensiva, né in via analogica. Si tratta di una «impasse» di cui i primi commentatori del nuovo sistema normativo urbanistico si sono resi verosimilmente conto, tanto che, nel tentativo di trovare sbocchi al problema, è sembrato ad alcuni addirittura plausibile l’idea di ricorrere ad un sistema pubblicitario, veramente atipico, che vedrebbe il ricorso ad una poco chiara «intavolazione» catastale delle volumetrie, laddove il nostro catasto ha, fino ad oggi, funzioni tutt’altro che probatorie.
La negoziazione di volumetria nasce nell’ambito di un sistema di controllo, da parte della P.A., della pianificazione del territorio, controllo che si spinge fino alla compressione delle risorse private. Siamo cioè, come li ha definiti Mazzarelli nel suo volume «Le Convenzioni Urbanistiche» (Editore Il Mulino - Bologna), parlando delle convenzioni urbanistiche in genere e delle «cessioni di cubatura», al cospetto di «contratti organizzativi di beni a fini urbanistici», cioè di contratti che hanno una loro causa specifica, di natura non privatistica, ma pubblicistica, che risiede nella tutela della pianificazione del territorio per il soddisfacimento del più alto interesse della collettività rispetto all’interesse limitato del singolo privato.
Vi è, dunque un’autonoma categoria di atti, dotati di una causa loro propria, ai quali deve far riscontro un sistema pubblicitario che, date le premesse, non può che essere un sistema di pubblicità che esula dall’ambito squisitamente civilistico, per addentrarsi nell’ambito amministrativo. Siamo, cioè, di fronte ad un sistema di pubblicità-notizia, con valenza prettamente pubblicistica in quanto pubblicità a fini urbanistici, la cui funzione non è quella di rendere erga omnes opponibile l’acquisto o l’esistenza di un diritto in capo ad un soggetto, per questa via esplicando altresì la funzione «dirimente», tipica della pubblicità dichiarativa, ma la diversa funzione di portare a conoscenza una limitazione al contenuto, non giuridico, ma economico del diritto di proprietà, per la tutela del più alto interesse del buon governo del territorio.
L’atipicità di questo sistema di pubblicità, come in passato certa dottrina notarile ha già avuto modo di sottolineare, non viola il principio di tassatività delle ipotesi di negoziazioni trascrivibili perché appunto non è pubblicità dichiarativa, alla quale quelle ipotesi tassative sono correlate. Esso è un sistema specifico di pubblicità che trova riscontro al di là e al di fuori del Codice Civile e che, pertanto, non ha bisogno neppure di rispettare gli schemi tipici della trascrizione civilisticamente codificata, sicché non deve sorprenderci nemmeno la contemplazione in esso di un «fenomeno», la volumetria appunto, non altrimenti definibile.
Dal punto di vista operativo, qualora la vicenda assuma struttura trilaterale (cedente l’area /Comune/ terzo cessionario della volumetria) l’atto sarà trascrivibile con due separate note: a) la prima, a fini di pubblicità dichiarativa, sarà relativa alla cessione dell’area al Comune; b) la seconda, a fini di pubblicità notizia, sarà relativa ai rapporti tra il cedente l’area, che ha ricevuto in cambio, dal Comune, la volumetria, ed il terzo cessionario della volumetria stessa. Qualora la vicenda si articoli, invece, in due fasi distinte, sarà effettuata dapprima la pubblicità dichiarativa inerente l’atto di cessione di area al Comune, compensata con l’attribuzione al privato dei «diritti edificatori liberamente commerciabili». Il successivo trasferimento a terzi di tali diritti sarà reso noto con la trascrizione, a fini di pubblicità notizia, di tale atto trasmissivo.
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Cosa dice l'articolo 11 della Legge Regionale Lombardia n. 12/2005:
«1- Sulla base dei criteri definiti dal documento di piano, i piani attuativi e gli atti di programmazione negoziata con valenza territoriale possono ripartire tra tutti i proprietari degli immobili interessati dagli interventi i diritti edificatori e gli oneri derivanti dalla dotazione di aree per opere di urbanizzazione mediante l’attribuzione di un identico indice di edificabilità territoriale, confermate le volumetrie degli edifici esistenti, se mantenuti. Ai fini della realizzazione della volumetria complessiva derivante dall’indice di edificabilità attribuito, i predetti piani ed atti di programmazione individuano gli eventuali edifici esistenti, le aree ove è concentrata l’edificazione e le aree da cedersi gratuitamente al Comune o da asservirsi, per la realizzazione di servizi ed infrastrutture nonché per le compensazioni urbanistiche in permuta con aree di cui al comma tre.
2- Sulla base dei criteri di cui al comma 1, nel Piano delle Regole, i Comuni, ai fini di perequazione urbanistica, possono attribuire a tutte le aree del territorio comunale, ad eccezione delle aree destinate all’agricoltura e di quelle non soggette a trasformazione urbanistica, un identico indice di edificabilità territoriale, inferiore a quello minimo fondiario, differenziato per parti del territorio comunale, disciplinandone, altresì il rapporto con la volumetria degli edifici esistenti, in relazione ai vari tipi di intervento previsti. In caso di avvalimento di tali facoltà, nel Piano delle Regole è inoltre regolamentata la cessione gratuita al Comune delle aree destinate nel Piano stesso alla realizzazione di opere di urbanizzazione, ovvero di servizi ed attrezzature pubbliche o di interesse pubblico o generale, da effettuarsi all’atto della utilizzazione dei diritti edificatori, così come determinati in applicazione di detto criterio perequativo.
3- Fermo restando quanto disposto dall’articolo 1, commi da 21 a 24, della legge 15 dicembre 2004 n. 308 (delega al Governo per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in materia ambientale e misure di diretta applicazione, alle aree destinate alla realizzazione di 14 interventi di interesse pubblico o generale, non disciplinate da piani e da atti di programmazioni, possono essere attribuiti, a compensazione della loro cessione gratuita al Comune, aree in permuta o diritti edificatori trasferibili su aree edificabili previste dagli atti di PGT anche non soggette a piano attuativo. In alternativa a tale attribuzione di diritti edificatori, sulla base delle indicazioni del Piano dei Servizi, il proprietario può realizzare direttamente gli interventi di interesse pubblico o generale, mediante accreditamento o stipulazione di convenzioni con il Comune per la gestione del servizio.
4- I diritti edificatori attribuiti a titolo di compensazione, ai sensi del comma tre, sono liberamente commerciabili.
5- Il Documento di Piano può prevedere, a fronte di rilevanti benefici pubblici, aggiuntivi rispetto a quelli dovuti e coerenticon gli obiettivi fissati, una disciplina di incentivazione, in misura non superiore al 15% della volumetria ammessa, per interventi ricompresi in piani attuativi finalizzati alla riqualificazione urbana, consistente nell’attribuzione di indici differenziati determinati in funzione degli obiettivi di cui sopra. Analoga disciplina di incentivazione può essere prevista anche ai fini della promozione dell’edilizia bioclimatica e del risparmio energetico, in coerenza con i criteri e gli indirizzi regionali previsti dall’articolo 44, comma 18.».
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