Programmazione e controllo
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Enti locali e pubblica amministrazione
Stralcio di un intervento di Giuseppe Farneti, Professore di Economia Aziendale nell’Alma Mater Studiorum Università di Bologna, Facoltà di Forlì
Gli enti locali devono affrontare i problemi che sono posti dalla Legge Finanziaria 2008. Un anno fa le tematiche erano simili. Presumibilmente lo saranno anche in futuro. Esse si collegano comunque a un argomento di fondo. Quello che fa riferimento alle risorse, sempre più limitate a fronte di bisogni sempre maggiori.
La strada da seguire, ne siamo convinti, trovando nella realtà un continuo riscontro, è solamente una. Chiara e anche agevole. Ma essa esige che la politica, mettendo in discussione molti comportamenti rituali e, comunque, atteggiamenti che con il quadro normativo attuale non dovrebbero essere più compatibili, scopra il “valore”, per realizzare bene le proprie finalità, del rinnovamento amministrativo-gestionale. Quel rinnovamento che le riforme di questi ultimi diciassette anni hanno introdotto. Un numero limitato, ma crescente di enti, ci sta provando, talora con successo.
Per chi scrive i concetti risolutivi fanno riferimento all’attività e alla strumentazione contabile della programmazione e del controllo. La programmazione serve a razionalizzare il processo decisionale in condizioni d’incertezza, come appunto si sta verificando. Il controllo ne è il completamento e riferisce obiettivi e risultati ai responsabili. La programmazione in particolare, per essere praticata, deve, prima, essere compresa e voluta dalla politica. Poiché serve alla politica: per realizzare le sue promesse, per comunicarlo, per promuovere il consenso.
I suoi strumenti non sono un fatto tecnico, o lo sono solo apparentemente. Esprimono invece, contemporaneamente, un dovere e una opportunità. Fronteggiare la finanziaria oggi, i suoi problemi, non deve significare la ricerca di come fronteggiare le urgenze, probabilmente pagando un prezzo in termini di minore efficienza e/o minore efficacia. Programmare le proprie politiche ha invece il significato opposto. Perché vi sono azioni, politiche appunto, che si possono solo costruire sul medio e lungo termine, in una visione strategica. Tale visione è invece assente allorché le decisioni affrontano i problemi quando si presentano, in condizioni di necessità, senza averne, prima, programmata la soluzione.
Purtroppo, il quadro delineato, che è anche il quadro “legale”, è molto lontano dall’essere concretamente e soddisfacentemente applicato. E’ una consapevolezza, questa, assai diffusa. Ma va approfondita, nei suoi concreti modi di essere. Dalla sua comprensione, che si va facendo strada, può così nascere la spinta a cambiare. [...]
Purtroppo, il quadro delineato, che è anche il quadro “legale”, è molto lontano dall’essere concretamente e soddisfacentemente applicato. E’ una consapevolezza, questa, assai diffusa. Ma va approfondita, nei suoi concreti modi di essere. Dalla sua comprensione, che si va facendo strada, può così nascere la spinta a cambiare. [...]
Ma quali sono le cause della mancanza di programmazione e controllo?
1)il ruolo preponderante, sia come causa principale che come seconda causa, della mancanza di stimoli ad innovare e della variabilità ambientale;
2)la mancanza di conoscenze tecniche da parte degli amministratori e dei dirigenti/dipendenti;
3)con pari intensità rispetto al punto precedente, il condizionamento espresso dalla politica;
4) la non utilità di conoscere i risultati conseguiti.
Vi è da riflettere, profondamente. Da esse si comprende perché la politica non riesca spesso a migliorare i propri risultati puntando sull’efficienza, dunque a parità di risorse. Perché sia anche disattenta, talora, circa i risultati (l’efficacia), che sono quelli che interessano al cittadino.
Cosa fare? Ci limitiamo in questa sede ad alcune sottolineature, che dovrebbero essere parte della cultura che gli enti dovrebbero esprimere. Il primo punto, circa la mancanza di stimoli, va letto insieme al terzo, circa il condizionamento espresso dalla politica. Se la politica condiziona e impone non il bene comune, ma l’interesse delle parti, ogni discorso nel merito viene vanificato. Il controllo della società civile può costituire al riguardo una forte novità. Ma esso va promosso, e proprio per questo i controlli esterni assumono un evidente significato.
2)la mancanza di conoscenze tecniche da parte degli amministratori e dei dirigenti/dipendenti;
3)con pari intensità rispetto al punto precedente, il condizionamento espresso dalla politica;
4) la non utilità di conoscere i risultati conseguiti.
Vi è da riflettere, profondamente. Da esse si comprende perché la politica non riesca spesso a migliorare i propri risultati puntando sull’efficienza, dunque a parità di risorse. Perché sia anche disattenta, talora, circa i risultati (l’efficacia), che sono quelli che interessano al cittadino.
Cosa fare? Ci limitiamo in questa sede ad alcune sottolineature, che dovrebbero essere parte della cultura che gli enti dovrebbero esprimere. Il primo punto, circa la mancanza di stimoli, va letto insieme al terzo, circa il condizionamento espresso dalla politica. Se la politica condiziona e impone non il bene comune, ma l’interesse delle parti, ogni discorso nel merito viene vanificato. Il controllo della società civile può costituire al riguardo una forte novità. Ma esso va promosso, e proprio per questo i controlli esterni assumono un evidente significato.
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