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venerdì 9 novembre 2007

Il Consiglio di Stato in tema di jus aedificandi

n.7843/04 Reg.Dec. N. 1366 Reg.Ric. anno 1999 - Decisione del 29 ottobre 2004


Repubblica Italiana


In nome del popolo italiano



Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente decisione sul ricorso in appello n. 1366/1999, proposto da Gennaro Moccia, rappresentato e difeso dagli avvocati Giuseppe Abbamonte e Orazio Abbamonte, ed elettivamente domiciliato presso il loro studio, in Roma, via G. Porro, n. 8;
contro il Ministero per i beni culturali e ambientali, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, e per legge domiciliato presso gli uffici di quest’ultima, in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
e nei confronti del Comune di Napoli, in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Edoardo Barone, Bruno Ricci, Giuseppe Tarallo, ed elettivamente domiciliato in Roma, presso Gian Marco Grez, Lungotevere Flaminio, n. 46, pal. 4, scala B;
della Regione Campania, in persona del Presidente della giunta in carica, non costituita in giudizio;
per la riforma della sentenza del T.A.R. per la Campania – Napoli, sez. I, 1 ottobre 1998, n. 3069, resa tra le parti.




Visto il ricorso con i relativi allegati;
- visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero per i beni culturali e ambientali e del Comune di Napoli;
- viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese;
- visti tutti gli atti della causa;
relatore alla pubblica udienza del 29 ottobre 2004 il consigliere Rosanna De Nictolis e uditi l'avvocato Giuseppe Abbamonte per gli appellanti, l'avvocato dello Stato Melillo per il Ministero appellato, e l’avvocato Tarallo per il Comune di Napoli appellato;
ritenuto e considerato quanto segue.




FATTO E DIRITTO
1. Con convenzione del 20 ottobre 1926 il Comune di Napoli autorizzò la S.P.E.M.E. s.p.a. a costruire, sul versante sud della collina di Posillipo, fra Mergellina e Posillipo alto, un nuovo rione denominato Sannazzaro – Posillipo.
A questa prima convenzione fecero seguito quelle del 2 aprile 1930, del 10 agosto 1935, del 23 settembre 1948.
Infine, con d.P.R. 22 gennaio 1960, n. 75, fu approvata limitatamente alla zona di Posillipo orientale (rione Speme), una variante al p.r.g. della città di Napoli, vistata dal Ministro dei lavori pubblici, e, conseguentemente, fu stipulata la convenzione di lottizzazione del 10 ottobre 1960.

1.1. Il 31 marzo del 1972 fu approvato il nuovo p.r.g. di Napoli.
A seguito di annullamento parziale di tale piano (con sentenza del Consiglio di Stato, sez. IV, 30 settembre 1976, n. 827), nella parte relativa alle aree della lottizzazione S.P.E.M.E., il Comune di Napoli con provvedimento 11 dicembre 1979, n. 252, adottava una variante al p.r.g. del 1972, relativa alle aree già facenti parte della lottizzazione S.P.E.M.E.
In sintesi, tale variante confermava, con diversa motivazione, le scelte già operate dal p.r.g. del 1972 in relazione alle suddette aree.
Veniva confermato che nel rione Sannazzaro - Posillipo non potessero essere realizzati altri insediamenti abitativi, ma solo attrezzature, argomentando dalla necessità di adeguare il rione ai nuovi standards urbanistici di cui alla l. 6 agosto 1967, n. 767 e al d.m. 2 aprile 1968.
La variante al p.r.g. veniva approvata dalla Regione Campania, con delibera di giunta 12 giugno 1985, n. 4705, e decreto del presidente della Regione 29 giugno 1985, n. 11563, recependo il parere del comitato tecnico regionale 17 maggio 1985, n. 225. Tale parere, a sua volta, si esprimeva in senso favorevole alla variante, con la precisazione che alle aree che sono interessate da contenzioso giudiziario è assegnata la destinazione d’uso scaturente dal provvedimento giudiziario espresso in via definitiva.

1.2. Il giudizio impugnatorio avverso tale seconda variante è stato definito all’udienza del 29 ottobre 2004 (ricorso n. 1441/1995) con rigetto del ricorso di primo grado e riconoscimento della legittimità dell’operato dell’amministrazione comunale.

1.3. L’odierno appellante è avente causa della signora Concetta Capasso, la quale nel 1967 chiedeva licenza edilizia in relazione al lotto n. 55 facente parte della lottizzazione S.P.E.M.E.
La licenza venne negata dal Sindaco con provvedimento del 9 agosto 1969.

1.4. Il ricorso, proposto dall’interessata, fu accolto con decisione del Consiglio di Stato 29 gennaio 1971, n. 14.
Rilevò il Consiglio di Stato che il diniego di rilascio di licenza edilizia era da ritenere illegittimo perché basato su un generico contrasto con una disciplina edilizia non ancora in vigore.

1.5. L’amministrazione rimase inottemperante, e adottò un nuovo provvedimento di diniego della licenza edilizia, annullato dal T.a.r. per la Campania, con sentenza n. 7 del 1977. Ritenne il T.a.r. che la licenza edilizia andava rilasciata non tenendo conto delle sopravvenienze urbanistiche successive alla notifica della sentenza di annullamento del diniego di licenza edilizia.

1.6. L’odierno appellante, nel frattempo subentrato nella titolarità del lotto n. 55, sul presupposto del giudicato favorevole per la propria dante causa, chiedeva concessione edilizia.
In data 18 marzo 1994, sempre sul presupposto del suo jus aedificandi riconosciuto dal giudicato, formulava istanza al Ministero per i beni culturali e ambientali affinché quest’ultimo gli rilasciasse la concessione edilizia in sostituzione del Comune inerte.
Il Ministero con nota prot. 24696 del 7 novembre 1995 assicurava che sarebbero stati valutati gli elementi forniti in merito alla lottizzazione S.P.E.M.E.

1.7. Nel frattempo veniva approvato il piano paesistico relativo all’area di Posillipo, preclusivo di qualsivoglia edificazione privata sulle aree comprese nella lottizzazione S.P.E.M.E.

1.8. Con ricorso al T.A.R. per la Campania e successivi motivi aggiunti, l’odierno appellante ha impugnato il decreto 14 dicembre 1995, pubblicato nella G.U. del 26 febbraio 1996, con cui il Ministero per i beni culturali e ambientali ha approvato il piano territoriale paesistico relativo all’area di Posillipo.
Il T.A.R. adito con la sentenza in epigrafe ha respinto tutti i motivi di censura.

1.9. Ha spiegato appello l’originario ricorrente.

2. Con il primo e secondo motivo di appello viene contestato il capo di sentenza n. 2, che ha respinto le censure volte a contestare l’estensione del potere sostitutivo statale, nell’approvazione del piano paesistico, in luogo della Regione Campania.

2.1. Il T.a.r. ha osservato che la pianificazione paesistica è imperativa e vincolante per i privati, e onera gli strumenti urbanistici della necessità di adeguamento alle previsioni del piano paesistico.
Il T.a.r. ha ritenuto inammissibili le doglianze con cui si lamenta che il piano paesistico non avrebbe rispettato la sua funzione programmatoria, imponendo in via generalizzata vincoli e divieti.
Le censure sarebbero altresì infondate essendosi il piano mantenuto nei limiti della sua funzione, e ben potendo un piano paesistico conformare la proprietà privata imponendo vincoli e divieti.


2.2. Parte appellante critica la sentenza osservando anzitutto che la stessa non avrebbe colto il punto centrale delle censure articolate in prime cure, con cui si lamentava la violazione del principio di leale collaborazione tra Stato e Regioni. Il piano sarebbe stato adottato senza valutare le proposte di una commissione formata di esponenti della Regione e degli enti locali. Inoltre il potere surrogatorio statale, nell’adozione del piano paesistico, non potrebbe invadere le competenze urbanistiche riservate a Regioni ed enti locali.
Con il secondo motivo di appello si contesta specificamente il capo 2.2. della sentenza, e si osserva che il piano ha vincolato vaste aree del territorio, vietandovi la edificazione, in contrasto con l’art. 23, r.d. n. 1357 del 1940, secondo cui il piano paesistico non potrebbe imporre un generalizzato divieto di edificazione, ma dovrebbe selezionare zone edificabili e zone non edificabili, secondo un criterio a macchia di leopardo.

2.3. Le censure sono infondate.
2.3.1. La commissione consultiva non è prevista nel procedimento tipico di formazione del piano paesistico in via surrogatoria, sicché il suo omesso funzionamento non può considerarsi viziante del procedimento, avendo altresì la stessa non una funzione consultiva vera e propria, ma dovendo solo costituire un momento di confronto dei diversi interessi.

2.3.2. Il piano paesistico relativo all’area di Posillipo ha esercitato, per quel che interessa le aree della lottizzazione S.P.E.M.E., - le sole per le quali va riconosciuto in capo all’appellante un interesse al ricorso - , compiti di salvaguardia paesistica, senza sconfinare nelle competenze urbanistiche di pertinenza di Regioni e Comune.

2.3.3. L’ultimo profilo di censura è ammissibile solo nei limiti dell’interesse del ricorrente, vale a dire limitatamente ai vincoli imposti dal piano paesistico in relazione alle aree della lottizzazione S.P.E.M.E. In relazione a tali aree,
il vincolo assoluto di inedificabilità non travalica le funzioni proprie del piano paesistico, giustificandosi in relazione alla particolarità dell’area, già interessata da una massiccia edificazione, e necessitante, pertanto, di un intervento preclusivo della ulteriore attività edilizia privata, in funzione di conservazione e recupero dei residui valori paesistici.

3. Con il terzo motivo di appello, si contesta il capo 4 della sentenza.

3.1. Il T.a.r. ha ritenuto che l’approvazione del piano paesistico sarebbe supportata da adeguata attività istruttoria, dovendosi ritenere congrua la scelta della p.a. di utilizzare una cartografia con scala 1 a 100.000; ad avviso del T.a.r. dato il carattere pianificatorio del provvedimento, neppure sarebbe necessaria una puntuale motivazione relativamente alle singole aree vincolate, a meno che non fosse necessaria una particolare considerazione di specifiche situazioni.



3.2.
L’appellante critica tale capo di sentenza osservando che egli è appunto titolare di una situazione specifica, atteso il pregresso giudicato che gli ha riconosciuto il jus aedificandi. Sicché, il piano paesistico avrebbe dovuto specificamente prendere in considerazione la sua posizione.
Osserva altresì l’appellante che la cartografia utilizzata in scala 1:100.000 sarebbe inidonea, non consentendo neppure di individuare i confini tra aree vincolate e non vincolate.

3.3. Il mezzo è infondato in tutte le sue articolazioni.

3.3.1. Il giudicato invocato dall’appellante, che ha riconosciuto il suo jus aedificandi, si è formato, come ogni giudicato, limitatamente alle questioni dedotte in giudizio e decise dal giudice.
Tali questioni, erano esclusivamente di carattere urbanistico, mentre non sono mai stati toccati, né avrebbero potuto esserlo, profili paesistici, all’epoca irrilevanti.
Sennonché, sul giudicato basato esclusivamente su questioni di carattere urbanistico – edilizio, si sono innestate sopravvenienze normative di carattere paesistico.
L’area di Posillipo (Comune di Napoli) è stata sottoposta a vincolo paesistico, in virtù di d.m. attuativo del c.d. decreto Galasso, salvato in via retroattiva dall’art. 1 quinquies, l. n. 431 del 1985.
In attuazione di tali previsioni è stato poi adottato il piano paesistico per l’area di Posillipo, oggetto del presente giudizio.
Nessun giudicato è opponibile a fronte delle sopravvenute norme paesistiche, atteso che il giudicato ha riconosciuto il jus aedificandi in relazione alle norme urbanistico – edilizie, ma nulla ha detto della esistenza o meno di tale diritto a fronte di norme paesistiche.


3.3.2. E, invero, il jus aedificandi, quale facoltà compresa nel diritto di proprietà dei suoli, non è un diritto assoluto, ma un interesse sottoposto a conformazione da parte della legge e della pubblica amministrazione, in funzione dei molteplici interessi, pubblici e privati, diversi da quelli del proprietario del suolo, che vengono coinvolti dalla edificazione privata.
Tale conformazione discende non solo dalla normativa di carattere urbanistico – edilizio, ma anche da altre normative settoriali, preposte alla tutela di altri interessi generali e pubblici.
Invero, il riconoscimento del jus aedificandi in relazione alla normativa del codice civile e alla normativa urbanistico – edilizia, di per sé non è sufficiente per la sussistenza e l’esercizio dello stesso, se il medesimo non possa essere riconosciuto in relazione ad altre normative settoriali.


Anzitutto, viene in considerazione la normativa a tutela del paesaggio e dell’ambiente: se la edificazione privata, ancorché conforme alle norme urbanistico - edilizie, è in contrasto con le esigenze di tutela del paesaggio, non può dirsi esistente ed esercitabile un jus aedificandi.
Analogamente, può dirsi della normativa posta a tutela della salute, per es. in tema di inquinamento elettromagnetico.
In conclusione, il jus aedificandi non è un diritto soggettivo assoluto, ma una facoltà soggetta a conformazione da parte di normative preposte alla tutela di molteplici interessi generali, non solo di carattere urbanistico – edilizio; con la conseguenza che tale jus, se anche riconosciuto, in virtù di giudicato, a fronte della normativa urbanistico – edilizia, non è né sussistente né esercitabile, se non riconosciuto anche dalle altre normative (a tutela del paesaggio e dell’ambiente, a tutela della salute) che devono essere rispettate per l’attività di edilizia privata. E con l’ulteriore conseguenza che a fronte di giudicati che riconoscano il jus aedificandi in relazione alle norme urbanistico – edilizie, sono rilevanti, e preclusive della edificazione, le sopravvenute normative di carattere paesistico – ambientale.
Né giova in senso contrario, la decisione della Sezione 21 settembre 1999, n. 1243: vero è che in detta decisione si è affermata la irrilevanza del vincolo paesistico sopravvenuto dopo la notificazione del giudicato di annullamento di una concessione edilizia, ma lo si è fatto perché il giudicato aveva preso in considerazione anche la normativa paesistica, e aveva annullato la concessione edilizia proprio per illegittimità derivata dalla illegittimità di precedente vincolo paesistico.
Sicché, se anche si volesse ammettere la irrilevanza, - a fronte di un giudicato che riconosce il jus aedificandi esaminando esclusivamente questioni di carattere urbanistico – edilizio -, di sopravvenute norme urbanistico – edilizie, tale irrilevanza non può essere affermata con riguardo a sopravvenute norme di carattere paesistico – ambientale, laddove i profili paesistico – ambientali non sono mai stati toccati dal giudicato.


3.3.3.
Deve altresì considerarsi che i vincoli di carattere paesistico – ambientale, che derivano da norme primarie o secondarie ovvero da piani paesistici, sono vincoli posti nell’interesse generale alla salvaguardia del bene ambiente, che costituisce patrimonio comune della collettività. Sicché tali vincoli non possono non prevalere su preesistenti interessi individuali all’edificazione, che necessariamente sono, rispetto ai vincoli sopravvenuti, recessivi.
Anche i piani di natura urbanistica devono conformarsi a quelli di natura paesistico ambientale.

Una conferma in tal senso si trae anche dalla normativa sul condono edilizio, come costantemente interpretata dalla giurisprudenza, secondo cui il condono edilizio è precluso laddove sull’area insistano vincoli paesistici di inedificabilità, e questo anche se tali vincoli siano sopravvenuti rispetto alla data della esecuzione delle opere (C. Stato, sez. VI, 20 ottobre 1999, n. 1509) e anche rispetto alla data di presentazione della domanda di condono (C. Stato, sez. VI, 4 giugno 2002, n. 3143), dovendosi valutare la situazione al momento in cui viene esaminata la domanda di condono (C. Stato, ad. plen., 22 luglio 1999, n. 20).


3.3.5. Alla luce delle suesposte considerazioni, si deve ritenere pienamente legittimo il d.m. di adozione del piano paesistico di Posillipo, d.m. che non era vincolato, dal giudicato, a considerare il jus aedificandi dell’appellato, diritto riconosciuto dal giudicato solo in relazione agli aspetti urbanistico – edilizi, e non anche a quelli paesistico – ambientali.


3.3.6. Quanto, infine all’ultima parte della censura, la stessa non è in grado di dimostrare le ragioni della irragionevolezza della scelta tecnica dell’amministrazione in ordine alla cartografia utilizzata, né è in grado di dimostrare lo specifico danno che ne deriva alle ragioni del ricorrente, e dunque lo specifico interesse a dolersi del metodo tecnico seguito dall’amministrazione.


4. Con il quarto motivo di appello si contesta il capo n. 5 della sentenza di primo grado.
4.1. Il T.a.r. ha respinto le censure relative all’iter di formazione del piano paesistico, osservando che il procedimento di formazione del piano in via surrogatoria, sarebbe alternativo a quello ordinario, sicché sarebbe sufficiente:
- acquisire il parere del consiglio nazionale;
- adottare il piano;
- e sarebbero inapplicabili le garanzie partecipative di cui all’art. 7, l. n. 241 del 1990.

4.2. Parte appellante critica la sentenza osservando che:
- non poteva essere soppresso il momento della partecipazione degli interessati;
- le norme sul procedimento di formazione del piano paesistico in via surrogatoria detterebbero regole procedimentali aggiuntive, ma non sostitutive, di quelle relative all’ordinario procedimento di formazione del piano;
- l’acquisizione del parere del Consiglio nazionale sarebbe stata puramente formalistica.


4.3. Il mezzo è infondato.
4.3.1. Si deve concordare con quanto osservato dal T.a.r., e cioè che il procedimento che il piano paesistico doveva seguire era quello disciplinato dal d.l. n. 498 del 1995, citato nelle premesse del piano stesso.
Lo scopo del d.l. in questione, come di quelli successivi (tutti non convertiti, ma fatti salvi dall’art. 2, co. 61, l. n. 662 del 1996) era di consentire la celere formazione dei piani paesistici, semplificandone, e non aggravandone, l’iter procedimentale.
A sua volta l’art. 1 bis, d.l. n. 312 del 1985, convertito nella l. n. 431 del 1985, nel disciplinare il potere statale surrogatorio di adozione dei piani paesistici, non intende rinviare al procedimento ordinario, dettando invece autonome ed esaustive regole procedimentali, mediante un rinvio agli artt. 4 e 82, d.P.R n. 616 del 1977, che a loro volta non prescrivono alcuna particolare norma procedurale.
E’ evidente che il legislatore ha inteso disciplinare il potere statale surrogatorio come un potere straordinario, da esercitarsi in via di urgenza e, in quanto, tale, svincolato dalle ordinarie regole di formazione del piano paesistico.

4.3.2. Quanto al momento partecipativo, lo stesso, a prescindere da ogni considerazione sulla sua necessità o meno in astratto, in concreto, non risulta stato violato per l’appellante, il quale aveva comunque avuto conoscenza del procedimento e aveva già interloquito presentando istanza al Ministero, con cui si invitava lo stesso a tener conto della preesistente lottizzazione S.P.E.M.E. e dei pregressi giudicati (C. Stato, sez. V, 28 maggio 2001, n. 2884).
Risulta inoltre che in sede di formazione del piano paesistico si è tenuto specificamente conto di tale lottizzazione: infatti la relazione tecnica allegata al piano si sofferma sulla lottizzazione S.P.E.M.E., sugli effetti devastanti prodotti nella collina di Posillipo, e sulla incompatibilità della sua realizzazione con le esigenze di tutela del paesaggio.
Sicché, un ulteriore apporto partecipativo dell’appellante, non avrebbe in nessun caso potuto sovvertire le valutazioni operate dal Ministero (C. Stato, sez. V, 21 gennaio 2002, n. 343).

4.3.3. Quanto infine alla censura relativa al modo di formazione del parere del Consiglio nazionale, la stessa appare inammissibile perché dà per scontato ciò che dovrebbe dimostrare, e, in particolare, che il Consiglio avrebbe acriticamente recepito la relazione del redattore dell’adottando piano paesistico. Ma se un organo collegiale, composto di esperti, decide di fare propria la relazione di uno dei componenti, motivando per relationem ad essa, questo non significa di per sé acritica recezione, ma solo adesione ad un atto tecnico che si ritiene condivisibile.

5. Con il quinto motivo di appello si contesta il capo sei della sentenza gravata.
5.1. Il T.a.r. ha osservato che:
- la partecipazione di Regioni e Comuni al procedimento di formazione del piano non era prevista dalla normativa in vigore all’epoca di formazione del piano medesimo, essendo stata introdotta solo con successivi decreti legge;
- in ogni caso tale partecipazione si sarebbe realizzata per il tramite di apposita commissione ministeriale, che costituiva un momento di confronto, senza necessità della redazione di un formale parere;
- le censure sarebbero comunque inammissibili perché il ricorrente non avrebbe impugnato la variante al p.r.g. di Napoli, con cui sono state adottate le misure di salvaguardia per l’area di Posillipo, e il Comune, con detta variante, si sarebbe adeguato alle prescrizioni del piano paesistico.

5.2. Parte appellante critica tale capo di sentenza osservando che:
- la partecipazione della Regione era imposta, in quanto suggerita da un parere dell’Avvocatura dello Stato, accolto dall’amministrazione mediante la istituzione di una apposita commissione;
- la commissione pertanto doveva esprimere un vero e proprio parere;
- la omissione del parere della commissione ha costituito violazione di una regola del giusto procedimento e del principio di leale collaborazione;
- irrilevante sarebbe la mancata impugnazione della variante al p.r.g., al fine dell’interesse a proporre le suddette censure contro il piano paesistico.

5.3. Il Collegio ritiene di dover confermare le lucide osservazioni del T.a.r. in ordine al ruolo di tale commissione, che era di un confronto dei diversi interessi locali, senza necessità che venisse reso un formale parere.

6. Con il sesto motivo di appello si contesta il capo settimo della sentenza gravata.
6.1. Si ripropongono in sintesi le doglianze di cui al terzo motivo, e si lamenta, inoltre, che, la lottizzazione S.P.E.M.E. aveva conseguito anche le necessarie autorizzazioni paesistiche, sicché il giudicato avrebbe riconosciuto lo jus aedificandi anche in relazione al profilo paesistico.

6.2. Il motivo va respinto in base alle considerazioni già esposte nel par. 3.
Si deve solo aggiungere che il giudicato favorevole al ricorrente si formò solo sulle questioni specificamente dedotte in giudizio, che erano esclusivamente questioni di carattere edilizio. Nessun giudicato si formò sulla spettanza del jus aedificandi in relazione alla disciplina paesistica, perché non c’era nessun contenzioso sul punto, sicché è insostenibile che il giudicato avrebbe sortito effetti conformativi anche nei confronti della successiva pianificazione paesistica.

7. Con il settimo e ultimo motivo di appello si contesta sempre il capo settimo della sentenza gravata, nella parte in cui osserva che comunque la specifica situazione del ricorrente sarebbe stata presa in considerazione dal piano paesistico, come emergerebbe da due note della Soprintendenza, n. 29756 dell’ 11 ottobre 1993 e n. 38465 del 16 dicembre 1994, poste a base del diniego di autorizzazione paesistica, impugnato dal Moccia in altro giudizio; anche il piano paesistico, nella relazione allegata, prende in specifica considerazione la lottizzazione S.P.E.M.E.

7.1. Parte appellante osserva che le note della Soprintendenza non si inseriscono nel procedimento di formazione del piano, bensì in quello relativo al rilascio dell’autorizzazione paesistica.
A sua volta la relazione allegata al piano, non prenderebbe in specifica considerazione la posizione del sig. Moccia, ma si limiterebbe a ripercorrere la storia della lottizzazione S.P.E.M.E.

7.2. La censura è infondata, perché la situazione del Moccia era identica a quella di molti altri proprietari, destinatari di favorevoli giudicati, anteriori al piano paesistico. Si giustifica pertanto da parte del piano paesistico, nella relazione allegata, una valutazione unitaria e uniforme di tali posizioni, con la considerazione del preminente interesse pubblico alla conservazione del paesaggio e della conseguente impossibilità di consentire l’attuazione ulteriore di suddetta lottizzazione.



8.
Per quanto esposto, l’appello va respinto.
Le spese seguono la soccombenza, e vanno liquidate in complessivi euro 2.000 (duemila) in favore del Ministero per i beni culturali e ambientali, e in complessivi euro 1.000 (mille) in favore del Comune di Napoli, mentre non si fa luogo a pronuncia sulle spese in favore della Regione Campania, che non si è costituita in giudizio.

P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione sesta), definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.
Spese a carico dell’appellante, nella misura di euro 2.000 (duemila) in favore del Ministero per i beni culturali e ambientali, e di euro 1.000 (mille) in favore del Comune di Napoli .
Ordina che la pubblica amministrazione dia esecuzione alla presente decisione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 29 ottobre 2004 con la partecipazione di:
Claudio VARRONE - Presidente
Luigi MARUOTTI - Consigliere
Giuseppe ROMEO - Consigliere
Giuseppe MINICONE - Consigliere
Rosanna DE NICTOLIS - Cons. rel. ed est.


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