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lunedì 26 novembre 2007

Il concetto di eccellenza nel governo di un Comune

di Oriano Giovanelli, Presidente di Legautonomie


- Prima breve premessa. Parlare del concetto di eccellenza significa entrare in un campo di valutazione in cui l’elemento soggettivo è ancora molto grande rispetto a parametri di valutazione oggettiva; questo rappresenta già un primo problema perché sarebbe di contro importante far crescere un sistema di valutazione riferito a parametri condivisi, confrontabili e verificabili; penso alla produzione di ricchezza, alla coesione sociale, alla qualità ambientale, ai tempi di risposta, all’economicità delle gestioni e così via. Però ancora non è così ed è a mio avviso un segno di arretratezza, né possono supplire a questa mancanza le rilevazioni pur interessanti che annualmente vengono fatte di diverse testate giornalistiche. Quindi le considerazioni che farò saranno assolutamente soggettive.

- Seconda breve premessa. Quando parliamo di eccellenza ci riferiamo ad un’idea di performance amministrativa dove c’è anche il peso di una forte componente di azione politica, il confine fra politica e amministrazione è del resto così labile e mutevole che bisogna mentalmente assumere un atteggiamento dinamico, non due linee parallele ma due linee sinuose che si intersecano e si allontanano, in questa sede comunque non diamo un giudizio politico in senso stretto. Può esserci un Sindaco politicamente eccellente perché amato dai suoi concittadini e poi un risultato amministrativo mediocre. La politica a volte segue percorsi che sfuggono alla razionalità; quindi non parliamo di questo.

- Il concetto di eccellenza nel governo di un Comune ha subito negli ultimi anni una forte evoluzione, direi un cambio radicale. Fino ai primi anni ’90 si potevano ascrivere sotto la dicitura “eccellenti” quei comuni che, pur nelle diversità di dimensione e collocazione geografica, si impegnavano su temi ricorrenti. Erano quelli che attrezzavano il loro comune con servizi estesi e di qualità nel campo dell’educazione all’infanzia, nel campo del sociale, case di riposo per gli anziani, centri diurni per i portatori di handicap ecc. e sapevano spingersi anche oltre le strette competenze previste dalla legge per affrontare nuove domande poste dalla società, dalle famiglie, dalle persone.

Erano i Comuni che si dotavano di buoni piani regolatori per il governo della forte spinta alla crescita urbana, che lavoravano per evitare che i nuovi quartieri nascessero privi dei principali servizi e di luoghi di aggregazione. Erano comuni attenti al ruolo della cultura nella città. Erano i comuni che attrezzavano in modo efficace aree industriali e artigianali per andare incontro alla domanda delle imprese o per attrarre imprese nel loro territorio. Erano i comuni delle municipalizzate per la gestione del servizio gas, nettezza urbana, trasporto pubblico, servizio idrico, farmacie.
Erano comuni animati dalla volontà di fare, che riuscivano a motivare le strutture tecniche, per lo più selezionate per via politica, e a dare risposte in tempi decorosi. Erano i comuni che puntavano alla coesione sociale anche attraverso forme di coinvolgimento dei cittadini, di partecipazione, di informazione.

Ecco, questi mi sembrano i parametri che hanno segnato la crescita del ruolo dei comuni e ci hanno consegnato un patrimonio di grande valore. Un patrimonio cresciuto e caratterizzatosi grazie ad una qualità della spesa delle risorse messe a disposizione dallo Stato centrale e ad una azione che si dipanava prevalentemente all’interno dei confini amministrativi del comune.

- Oggi le condizioni interne agli enti e soprattutto nella società sono cambiate in modo così forte che anche quelle amministrazioni comunali che hanno nel passato raggiunto risultati positivi, se non interpretano adeguatamente le novità rischiano di scivolare verso una pur gloriosa autoconservazione e pian piano arretrare.
Provo a citare alcune di queste novità. Innanzitutto il fatto che oggi un comune mediamente deve contare sul 70% di risorse proprie e quindi non da trasferimenti statali o regionali. Questo significa che una amministrazione non si qualifica più solo per la qualità della spesa ma anche per la qualità del prelievo tributario e fiscale. E’ chiamata a porsi il problema dell’equità, è chiamata a fare i conti con la razionalità del prelievo rispetto al quale i cittadini misurano le prestazioni e i servizi, è chiamato a porsi il problema dell’evasione. E’ chiamato a porsi il problema della qualità della pianificazione delle risorse a fronte degli obiettivi.

E’ chiamato a prestare molto di più attenzione alla rendicontazione, a dare cioè ai cittadini gli strumenti di valutazione per renderli compartecipi dei risultati e delle difficoltà. Un esempio è l’avanzo di amministrazione. Se in passato produrre avanzo sulla spesa corrente a fronte dei trasferimenti dello Stato poteva voler dire presentarsi ai cittadini con la buona novella di avere disponibilità di risorse “fresche,certe e immediate” da riconvertire in investimenti, oggi presentarsi a cittadini con un avanzo vuol dire prestarsi alla critica di aver prelevato più del necessario e del non essere stati capaci di spendere per gli obiettivi per i quali quelle risorse erano state chieste ai cittadini stessi. Un comune che produce avanzo di amministrazione non è più eccellente.

Un altro esempio si può fare sui servizi educativi o sociali. Difendere i servizi esistenti è certamente una operazione importante, ma se questi servizi esistenti non soddisfano più la quantità della domanda o la qualità della stessa a fronte della presenza di bambini immigrati da inserire negli asili nido o nelle scuole materne, o non riesce a sostenere l’assistenza domiciliare o i servizi per i non auto sufficienti, si apre un problema, si crea un giudizio negativo. E non basta al cittadino che il comune si trinceri dietro alla scarsità delle risorse se a rimaner fuori dai servizi sono proprio quelli che ne avrebbero più bisogno.

Quello che il cittadino si aspetta è la capacità di rivedere i servizi, di industriarsi cercando forme di gestione nuove, comunque che si arrivi a dare una risposta o si dimostri un dinamismo nel cercarla. Allora se in passato il sistema pubblico dei servizi era un indiscutibile fattore di eccellenza, oggi conta molto meno se quel sistema dei servizi è tutto pubblico, se coinvolge il terzo settore, o vede l’intervento del privato “accreditato”. E’ il risultato rispetto ad una domanda nuova, il rapporto fra tariffe-certezza-qualità del servizio che qualifica l’eccellenza anche in questo settore più della capacità di conservare l’esistente.

Anche per quanto concerne il governo del territorio siamo di fronte a novità consistenti. Fare un buon piano regolatore continua ad essere una azione virtuosa, ma quando i problemi infrastrutturali, ambientali, delle aree produttive, della collocazione dei grandi servizi commerciali, vengono concretamente messi sul tappeto e vissuti criticamente e con sofferenza dai cittadini ci si accorge che quello strumento è inadeguato, perché i problemi scavalcano i confini amministrativi e alle persone e alle imprese interessa la loro soluzione e non il confine di competenza del Sindaco e del Consiglio Comunale. Allora l’eccellenza in questo caso sta nella capacità di farsi protagonisti di un governo territoriale di area vasta che fronteggi le novità e non condanni i cittadini a subire gli effetti di una crescita urbana che deborda dai confini comunali, pur in presenza di un ottimo piano di governo del territorio.

Per non dire dei servizi a rete. Dove sta l’eccellenza se i servizi gestiti anche in modo scrupoloso dalle ex municipalizzate non reggono alla prova dell’economicità, danno luogo a incrementi tariffari forti, si dimostrano inadeguati rispetto alla capacità di produrre almeno gli utili necessari a garantire gli investimenti necessari all’ estensione delle reti o una adeguata manutenzione di quelle esistenti; ed è più eccellente un comune che si impegna per stare dentro alle dinamiche di quello che inevitabilmente diventa sempre più un mercato aperto o quello che difende caparbiamente la propria dimensione municipale?

Ma anche tutte queste considerazioni non esauriscono il tema della sfida che un comune deve affrontare per essere eccellente. Ciò che viene chiesto oggi ad un comune va ben al di là del fare anche in modo diverso le cose che ha sempre fatto. Il terreno di giuoco è completamente nuovo.

Due esempi le politiche per lo sviluppo e l’innovazione tecnologica. Che il nostro paese ha problemi a crescere economicamente e a competere nel nuovo scenario globale è, purtroppo, noto a tutti. Che per uscire da questa situazione assieme alle politiche comunitarie e a quelle statali siano sempre più rilevanti le politiche locali è noto almeno agli addetti a lavori. Quello che è meno noto è come si fa a far svolgere ad un comune un ruolo attivo per lo sviluppo di un territorio, quando non basta più evidentemente assecondare la domanda di aree artigianali e industriali, o creare un contesto socio culturale favorevole all’impresa.

I comuni eccellenti questo in passato lo hanno fatto per lo più con intelligenza sia laddove c’era la grande industria, sia laddove sono nati i “distretti”, lavorando prevalentemente all’interno del loro territorio, con un rapporto diretto con gli imprenditori e facendo leva pressoché esclusivamente sulla propria macchina amministrativa, in considerazione del fatto che ciò che a loro veniva chiesto era nella loro disponibilità.

Nella crisi attuale ripetere quel metodo di lavoro significa andare verso la sconfitta certa. Detto che approfondire questo tema sarebbe troppo lungo in questa sede, il fatto è che al comune per agire positivamente sullo sviluppo di un territorio vengono chieste più cose, diverse da quelle del passato e che non sono nella sua cassetta degli attrezzi ma deve andare a cercarsele mettendosi in rete con il territorio e con realtà che pur non facendo parte del territorio possono essere funzionali allo sviluppo del territorio stesso.

Se vuole che le sue decisioni siano efficaci, producano risultati deve condividere prima l’analisi, gli obiettivi e le azioni per perseguirli con gli attori fondamentali che animano il territorio, che si tratti di altre istituzioni, di università, camere di commercio, soggetti privati, mondo associativo.
Allora l’eccellenza non si misura più sulla qualità delle decisioni proprie del comune ma da come riesce ad orientare, a far decidere un’intera comunità a seguire una certa strada piuttosto che un'altra, a valorizzare tutte le risorse effettivamente disponibili che spesso sono molte di più di quelle che siamo portati a credere.

Se lo sviluppo dipende non più da una netta divisione dei ruoli fra azione amministrativa e azione imprenditoriale, l’eccellenza sta nel saper produrre integrazione, mettere in rete le risorse, andare tutti insieme allo scopo pur seguendo ognuno le proprie funzioni e perseguendo i propri interessi. Questa non è solo un’azione di coordinamento politico, è un’azione professionale che cambia il carattere della struttura amministrativa dell’ente e le professionalità che la compongono.

Il discorso sull’eccellenza si fa ancora più intrigante se parliamo di innovazione tecnologica, cioè di quella potenzialità senza pari che in tempo reale ci introduce in ogni piega della dimensione locale e ci proietta in un mondo che improvvisamente sta dentro ad uno schermo. Ricordo ancora quando nei primi anni ’80 i comuni eccellenti meccanizzarono l’anagrafe e così tagliarono nettamente i tempi di risposta per quel tipo di servizi. Sembra preistoria.

Che fa un comune eccellente oggi di fronte alle nuove tecnologie? Fa un sito, un portale, favorisce l’accesso ai documenti dell’amministrazione, mette in rete la possibilità di accedere ad alcuni servizi (sono ancora pochissimi quelli che lo fanno davvero), apre forum on line di discussione con i cittadini sulle questioni della città, magari implementa con le potenzialità delle tecnologie un percorso di bilancio partecipato, mette in rete il piano di governo del territorio, fa lo sportello unico per le attività produttive, cambia il modo di lavorare e di integrarsi dei propri uffici, si mette in rete con gli altri uffici della pubblica amministrazione.

Se facesse tutto questo in tanti farebbero oohh!!!! E non solo i bambini. Eppure, come è ben comprensibile, saremmo ancora lontanissimi dall’eccellenza. Un comune non può disinteressarsi per le cose dette prima dell’arretratezza tecnologica delle imprese e di norma il comune sa che le imprese da sole non c’è la fanno soprattutto quando sono di dimensioni piccole e piccolissime. Il comune non può disinteressarsi della promozione nelle reti lunghe della globalizzazione delle virtù e delle opportunità che il suo territorio offre ed è ad esempio un bel problema se le sue strutture alberghiere del territorio non sono al passo con i tempi in tema di nuove tecnologie.

Il comune non può non occuparsi di fare dei propri cittadini una comunità tecnologica, che non è una forma di abbrutimento, ma la rimozione di una delle più pericolose barriere alla piena esigibilità di diritti e opportunità. Il comune non può non sapere che se vuole una città giovane deve portarsi al livello dei giovani nella capacità di percepire e agire le potenzialità delle nuove tecnologie, negli Stati Uniti e credo non solo è un percorso che comincia alla scuola materna. Le nuove tecnologie allontanano davvero come mai prima la frontiera dell’eccellenza, una bella sfida davvero che vale la pena raccogliere.

Ecco, sulla base di queste considerazioni e tante altre potrebbero essere svolte, ho cercato di mettere a fuoco come cambia il concetto di eccellenza e chi si ostina a fare le stesse cose sempre nello stesso modo anche se ha un passato glorioso alle spalle rimarrà indietro, per questo sono convinto che il futuro è di chi cambia.

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