Di seguito riportiamo il testo della lettera inviata al Direttore del Giornale di Brescia dal Vicesindaco di Passirano, dr. Domenico Bani, pubblicata sul numero del 15 agosto scorso.
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Malessere in Italia, «serve un decisivo contributo della politica».
La crisi di rappresentanza della politica e delle istituzioni è oggi più che mai al centro del dibattito politico. Si sente parlare di «baratro» tra cittadini e partiti e si propongono le più diverse soluzioni per il recupero della credibilità perduta.
Avendo poco meno di quarant’anni sono politicamente figlio della così detta «seconda repubblica» e ho potuto costatare che, in questi quindici anni, la politica non è riuscita ad abbandonare «il banco degli imputati» e recuperare un rapporto di fiducia con i cittadini. Per cui oggi sentiamo parlare di «degenerazione della politica e dei partiti» e di accuse di «autoreferenzialità», ci si prepara ad una neo-crociata contro i costi (troppo alti) della politica.
Le cose stanno veramente così? È un tema certamente non nuovo, ma che non può lasciare indifferente l’ampia comunità dei rappresentanti dalla «politica del territorio» (mi passi l’espressione). Alludo ai tanti amministratori comunali, ai rappresentanti dei partiti che, nelle numerose realtà comunali, rappresentano l’ultimo anello della catena del sistema politico e delle istituzioni rappresentative.
Quindi, con quale intensità e in che modo, il tema della crisi della rappresentanza investe questo mondo e di conseguenza le nostre comunità? La riforma, che nei primi anni Novanta ha introdotto l’elezione diretta del sindaco, ha dato un contributo formidabile alla stabilizzazione delle amministrazioni, inoltre ha permesso ai cittadini di scegliere il capo dell’amministrazione. Ricordiamoci che, nel sistema precedente, la scelta era nelle mani di pochi eletti e con metodi poco trasparenti.
Negli stessi anni, le amministrazioni comunali ed i cittadini beneficiarono d’ulteriori passaggi legislativi fondamentali (si pensi alla legge 241) e furono al centro di una profonda trasformazione organizzativa, con l’introduzione di una più netta distinzione tra la funzione politica e quella tecnica. Ancora, come non costatare il profondo cambiamento del panorama politico locale, rappresentato dalle innumerevoli liste civiche, che hanno, di fatto, segnato un rimescolamento d’esperienze e una contaminazione tra le generazioni.
Ho citato solo alcuni temi. Credo che non si possa quindi parlare di un ceto politico in via di «degenerazione», soprattutto se si vuole farlo marcando una differenza rispetto al bel tempo andato, nel quale contavano i valori e gli ideali, mentre oggi la politica, secondo l’opinione comune, risponderebbe solo a se stessa e, solo nei suoi confini, troverebbe le ragioni e la forza per sopravvivere.
Quindi la tanto denunciata «distanza fra cittadini e istituzioni» è una pura invenzione? Certamente no, tuttavia la questione va ben indagata e compresa. In questi anni abbiamo assistito a profondi stravolgimenti e gli effetti oggi si percepiscono nelle modalità di convivenza delle nostre piccole o grandi comunità, con le tante diversità in termini di problemi irrisolti, emergenze, ansie, domande.
Le pagine del suo giornale, ed in particolare le lettere che i lettori le inviano quotidianamente, sono un formidabile riscontro del cambiamento in atto. Oggi si constata la nascita di gruppi d’interesse (i più inediti e singolari), lo svilupparsi di modalità di partecipazione civica, in netta rottura con quanto visto fino ad oggi, caratterizzate talvolta dal prevalere della demagogia, del particolarismo e un venir meno della capacità di dialogo e confronto.
Dunque, se è vero che ciò che ci circonda sta vivendo una profonda trasformazione, mi chiedo chi oggi possa dirsi preparato ai cambiamenti e ai nuovi problemi; partiti, istituzioni, corpi intermedi, associazionismo: chi può dire con tranquillità di aver fatto quanto necessario? Il sindacato per esempio? Non credo. Le imprese e la loro realtà associativa? Pensiamo allo scarso contributo che esse danno in favore del governo di un tema cruciale, qual’è quello dell’immigrazione.
Si pensi al tema dell’ambiente e allo straordinario contributo che ciascuno di noi può dare. Oggi è del tutto inutile l’esercizio, attualmente in corso, dello scaricare a questo o a quel ceto politico le responsabilità della paralisi istituzionale, sociale ed economica del paese, perché essa va ricercata in una vasta platea, senza distinzione di colore politico, «di classe» o altro.
Quindi, anche la «politica territoriale», che mi riguarda più direttamente, oggi è certamente in crisi e mostra numerose difficoltà, ma non possiamo far altro che ammettere che essa ci mostra i difetti della società, dei nostri piccoli borghi, di cui essa stessa è espressione.
Qualche esempio? L’incapacità di dialogo, di lettura delle dinamiche sociali, la poca propensione all’innovazione. Sacrosante sono le parole di questi giorni del ministro Padoa Schioppa: «Dubito si possa veramente dire che il mondo della politica in Italia versi in condizioni peggiori di altri, come l’economia, la cultura, il sindacato, la magistratura, la comunicazione. Mondi nei quali si annidano le tenaci resistenze al cambiamento e i privilegi contro cui si rimprovera alla politica di non agire con sufficiente determinazione».
Insomma, se «sul banco degli imputati» la compagnia è piuttosto eterogenea e numerosa rimane la convinzione che «senza un decisivo contributo della politica l’Italia non uscirà dal malessere in cui si dibatte...» e potrà farlo soltanto lavorando «ma nel nome di una migliore politica e nell’impegno per essa, non cadendo nella pericolosa disperazione dell’antipolitica».