I responsabili della distruzione
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Lettere bresciane, di Attilio Mazza - Publicato a pagina 61 di BresciaOggi del 3 dicembre 2007
Caro Marco, Giulia Maria Crespi, fondatrice e presidente del Fai, Fondo per l’ambiente italiano, ha dichiarato che il paesaggio è la fonte del turismo: «Se il paesaggio viene sfigurato il turismo muore. E poi il paesaggio è motivo di qualità di vita, di agricoltura. Soprattutto è il simbolo della nostra stessa storia. Continuare a costruire rappresenta un terribile errore di fondo».
L’allarme lanciato al seminario svoltosi ad Assisi il 10 novembre mi ha rimandato al giudizio della commissione dell’Unesco invitata sul Garda per verificare la possibilità di tutelare il comprensorio benacense come «patrimonio dell’umanità». E cioè al negativo parere lapidario: «Qui non c’è più nulla da tutelare». Le cause della distruzione del Bel Paese (di cui il Garda era parte ammiratissima dai grandi viaggiatori di altri secoli) sono state poste sotto la lente d’ingrandimento al convegno di Assisi. E mi sembra che il mondo politico, rappresentato dal ministro per i Beni e le attività culturali Francesco Rutelli, non abbia saputo compiere il mea culpa sulle gravi responsabilità pubbliche nel lasciare mano libera alla speculazione anche se ha dichiarato che è «conclusa la stagione dell’espansione edilizia infinita» e ha perentoriamente aggiunto: «Sia ben chiaro: mai più condoni edilizi».
Rutelli ha soprattutto attaccato «l’Italia dei geometri» responsabili di una crescita senza stile. E ha scatenato la polemica. Anche se l’affermazione del ministro non è priva di verità. Penso ai molti geometri (non tutti) che grazie alle lauree facili sessantottesche sono diventati architetti trasferendo nelle costruzioni sparse su tutto il territorio la loro la scarsa preparazione (colpa quindi del Legislatore e delle Università) e l’incapacità di cogliere il valore, e l’indispensabile rispetto del contesto paesaggistico o urbano. Basta guardare alcune colline o alcuni centri storici del Garda per rendersi conto delle devastazioni prodotte da tale cultura.
Ma le responsabilità dei geometri e degli architetti sono secondarie rispetto a quelle della classe politica di questi ultimi lustri, degli amministratori di Regioni, Province e Comuni ai più diversi livelli, e della magistratura ordinaria e amministrativa. Alcuni passaggi dell’intervento del ministro Rutelli meritano attenzione, al di là dalle polemiche sollevate. Replicando alle Regioni che rivendicano autonomia in materia di gestione del territorio nei confronti dello Stato, spesso per lasciare mano libera alla speculazione, ha replicato: «La Corte Costituzionale, con la sentenza 367 del 7 novembre scorso, ha respinto tutti i ricorsi delle Regioni contro lo Stato affermando che proprio allo Stato tocca il compito della tutela del patrimonio visto come "valore primario e assoluto". Quando arrivano i vincoli, questi vanno rispettati. Presto arriverà anche il reato di frode paesaggistica». I vincoli posti in altre epoche sono dunque validi.
E i Comuni, per difendere il territorio dalla devastazione, possono sempre ricorrere allo Stato. Un messaggio chiaro, quello lanciato dal ministro, che smentisce tutte le giustificazioni avanzate da alcuni sindaci (anche gardesani) contro l’impossibilità di arginare l’avanzata del cemento, affermando che tutto era stato deciso dalle precedenti giunte (magari decenni prima!) o accampando la necessità di reperire mezzi finanziari per le opere pubbliche, spesso superflue se non addirittura dannose per la bellezza paesaggistica.
A conferma del proverbio che «Dal detto al fatto c'è un gran tratto», alcuni sindaci sostengono di voler contrastare le colate di cemento mentre in realtà favoriscono la distruzione d’intere colline cedendo all’assalto per incassare oneri di urbanizzazione. Ben venga, dunque, caro Marco, la definizione del «reato di frode paesaggistica» che forse renderà i Comuni più attenti nel rilasciare concessioni edilizie in ambiti di grande pregio.
L’allarme lanciato al seminario svoltosi ad Assisi il 10 novembre mi ha rimandato al giudizio della commissione dell’Unesco invitata sul Garda per verificare la possibilità di tutelare il comprensorio benacense come «patrimonio dell’umanità». E cioè al negativo parere lapidario: «Qui non c’è più nulla da tutelare». Le cause della distruzione del Bel Paese (di cui il Garda era parte ammiratissima dai grandi viaggiatori di altri secoli) sono state poste sotto la lente d’ingrandimento al convegno di Assisi. E mi sembra che il mondo politico, rappresentato dal ministro per i Beni e le attività culturali Francesco Rutelli, non abbia saputo compiere il mea culpa sulle gravi responsabilità pubbliche nel lasciare mano libera alla speculazione anche se ha dichiarato che è «conclusa la stagione dell’espansione edilizia infinita» e ha perentoriamente aggiunto: «Sia ben chiaro: mai più condoni edilizi».
Rutelli ha soprattutto attaccato «l’Italia dei geometri» responsabili di una crescita senza stile. E ha scatenato la polemica. Anche se l’affermazione del ministro non è priva di verità. Penso ai molti geometri (non tutti) che grazie alle lauree facili sessantottesche sono diventati architetti trasferendo nelle costruzioni sparse su tutto il territorio la loro la scarsa preparazione (colpa quindi del Legislatore e delle Università) e l’incapacità di cogliere il valore, e l’indispensabile rispetto del contesto paesaggistico o urbano. Basta guardare alcune colline o alcuni centri storici del Garda per rendersi conto delle devastazioni prodotte da tale cultura.
Ma le responsabilità dei geometri e degli architetti sono secondarie rispetto a quelle della classe politica di questi ultimi lustri, degli amministratori di Regioni, Province e Comuni ai più diversi livelli, e della magistratura ordinaria e amministrativa. Alcuni passaggi dell’intervento del ministro Rutelli meritano attenzione, al di là dalle polemiche sollevate. Replicando alle Regioni che rivendicano autonomia in materia di gestione del territorio nei confronti dello Stato, spesso per lasciare mano libera alla speculazione, ha replicato: «La Corte Costituzionale, con la sentenza 367 del 7 novembre scorso, ha respinto tutti i ricorsi delle Regioni contro lo Stato affermando che proprio allo Stato tocca il compito della tutela del patrimonio visto come "valore primario e assoluto". Quando arrivano i vincoli, questi vanno rispettati. Presto arriverà anche il reato di frode paesaggistica». I vincoli posti in altre epoche sono dunque validi.
E i Comuni, per difendere il territorio dalla devastazione, possono sempre ricorrere allo Stato. Un messaggio chiaro, quello lanciato dal ministro, che smentisce tutte le giustificazioni avanzate da alcuni sindaci (anche gardesani) contro l’impossibilità di arginare l’avanzata del cemento, affermando che tutto era stato deciso dalle precedenti giunte (magari decenni prima!) o accampando la necessità di reperire mezzi finanziari per le opere pubbliche, spesso superflue se non addirittura dannose per la bellezza paesaggistica.
A conferma del proverbio che «Dal detto al fatto c'è un gran tratto», alcuni sindaci sostengono di voler contrastare le colate di cemento mentre in realtà favoriscono la distruzione d’intere colline cedendo all’assalto per incassare oneri di urbanizzazione. Ben venga, dunque, caro Marco, la definizione del «reato di frode paesaggistica» che forse renderà i Comuni più attenti nel rilasciare concessioni edilizie in ambiti di grande pregio.
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