Lo Stato si riappropria del paesaggio
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Paesaggio territorio e ambiente
di Antonello Cherchi - Articolo pubblicato su “Il Sole-24 Ore” di lunedì 26 novembre 2007
[…] Francesco Rutelli si appresta a portare in uno dei prossimi Consigli dei Ministri il testo che rivede sia la parte del Codice dei Beni Culturali dedicata al patrimonio culturale sia quella relativi ai beni paesaggistici. Ma è soprattutto quest’ultima – che al tempo dell’allora ministro dei Beni Culturali Giuliano Urbani (artefice del Codice) era stata interessata anche da un discusso condono - ad essere investita delle modifiche più profonde. Lo Stato, infatti, che già con l’ultima riforma del 2006 – targata Rocco Buttiglione, allora responsabile del dicastero – aveva affermato una maggiore presenza nella gestione del paesaggio sottoposto a tutela, compie un ulteriore passo in questa direzione, affidando un ruolo ancora più forte alle soprintendenze.
E suscitando una volta di più i malumori delle Regioni, alle quali il ministero ha sottoposto il nuovo testo. La consulta degli assessori regionali alla Cultura, coordinata dall’assessore calabrese Michelangelo Tripodi, lunedì scorso ha inviato al ministero le proprie osservazioni, chiedendo inoltre di aprire un tavolo di confronto. I rilievi regionali, però, non hanno fatto breccia. Anche perché il ministero questa volta ha una carta in più da giocare. E di sicuro atout. Può infatti contare sulla recente sentenza della Corte costituzionale – la 367, depositata il 7 novembre scorso – che ha ritenuto infondate le lamentele avanzate da una serie di Regioni verso la precedente riforma del Codice dei beni culturali nella parte relativa al paesaggio.
La questione di fondo riguardava il riparto delle competenze: le Regioni accusavano lo Stato di essersi appropriato di un ruolo che nella prima versione del Codice spettava agli enti territoriali. La Consulta però è stata esplicita: il paesaggio è l’aspetto del territorio “per i contenuti culturali” che esprime, e la sua tutela “gravando su un bene complesso e unitario, considerato dalla giurisprudenza costituzionale un valore primario e assoluto, e rientrando nella competenza esclusiva dello Stato, precede e comunque costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle Regioni in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni culturali ed ambientali”. In altre parole, lo Stato non deve stare a guardare.
Ancora prima che la Corte si esprimesse - e seguendo le indicazioni di Rutelli, che ha dichiarato guerra agli abusi anche attraverso un maggior potere da affidare ai soprintendenti – la commissione ministeriale guidata da Salvatore Settis aveva già predisposto una riforma dove, per esempio, i piani paesaggistici devono essere elaborati dal ministero e dalle Regioni. Ora, invece, sono le Regioni a doversi muovere “anche in collaborazione con lo Stato”. Il nuovo testo, che dopo l’approvazione del Consiglio dei ministri sarà sottoposto alle commissioni parlamentari competenti, è costellato di altri riferimenti al maggior peso destinato agli uffici statali.
Se ne trovano nella parte riservata all’autorizzazione paesistica – il parere del soprintendente diventa sempre vincolante, mentre ora lo è solo in taluni casi – come in quella relativa all’installazione di cartelloni pubblicitari e alla decisione dei colori delle facciate degli edifici in realtà particolari (per esempio i centri storici o le zone panoramiche). Anche in questi casi l’ultima parola spetta allo Stato, ovvero al soprintendente, che è il suo braccio operativo sul territorio. Per non parlare poi della vigilanza sul paesaggio: oggi è genericamente affidata alle Regioni e al ministero. Domani sarà soprattutto il soprintendente a spiegare il da farsi.
[…] Francesco Rutelli si appresta a portare in uno dei prossimi Consigli dei Ministri il testo che rivede sia la parte del Codice dei Beni Culturali dedicata al patrimonio culturale sia quella relativi ai beni paesaggistici. Ma è soprattutto quest’ultima – che al tempo dell’allora ministro dei Beni Culturali Giuliano Urbani (artefice del Codice) era stata interessata anche da un discusso condono - ad essere investita delle modifiche più profonde. Lo Stato, infatti, che già con l’ultima riforma del 2006 – targata Rocco Buttiglione, allora responsabile del dicastero – aveva affermato una maggiore presenza nella gestione del paesaggio sottoposto a tutela, compie un ulteriore passo in questa direzione, affidando un ruolo ancora più forte alle soprintendenze.
E suscitando una volta di più i malumori delle Regioni, alle quali il ministero ha sottoposto il nuovo testo. La consulta degli assessori regionali alla Cultura, coordinata dall’assessore calabrese Michelangelo Tripodi, lunedì scorso ha inviato al ministero le proprie osservazioni, chiedendo inoltre di aprire un tavolo di confronto. I rilievi regionali, però, non hanno fatto breccia. Anche perché il ministero questa volta ha una carta in più da giocare. E di sicuro atout. Può infatti contare sulla recente sentenza della Corte costituzionale – la 367, depositata il 7 novembre scorso – che ha ritenuto infondate le lamentele avanzate da una serie di Regioni verso la precedente riforma del Codice dei beni culturali nella parte relativa al paesaggio.
La questione di fondo riguardava il riparto delle competenze: le Regioni accusavano lo Stato di essersi appropriato di un ruolo che nella prima versione del Codice spettava agli enti territoriali. La Consulta però è stata esplicita: il paesaggio è l’aspetto del territorio “per i contenuti culturali” che esprime, e la sua tutela “gravando su un bene complesso e unitario, considerato dalla giurisprudenza costituzionale un valore primario e assoluto, e rientrando nella competenza esclusiva dello Stato, precede e comunque costituisce un limite alla tutela degli altri interessi pubblici assegnati alla competenza concorrente delle Regioni in materia di governo del territorio e di valorizzazione dei beni culturali ed ambientali”. In altre parole, lo Stato non deve stare a guardare.
Ancora prima che la Corte si esprimesse - e seguendo le indicazioni di Rutelli, che ha dichiarato guerra agli abusi anche attraverso un maggior potere da affidare ai soprintendenti – la commissione ministeriale guidata da Salvatore Settis aveva già predisposto una riforma dove, per esempio, i piani paesaggistici devono essere elaborati dal ministero e dalle Regioni. Ora, invece, sono le Regioni a doversi muovere “anche in collaborazione con lo Stato”. Il nuovo testo, che dopo l’approvazione del Consiglio dei ministri sarà sottoposto alle commissioni parlamentari competenti, è costellato di altri riferimenti al maggior peso destinato agli uffici statali.
Se ne trovano nella parte riservata all’autorizzazione paesistica – il parere del soprintendente diventa sempre vincolante, mentre ora lo è solo in taluni casi – come in quella relativa all’installazione di cartelloni pubblicitari e alla decisione dei colori delle facciate degli edifici in realtà particolari (per esempio i centri storici o le zone panoramiche). Anche in questi casi l’ultima parola spetta allo Stato, ovvero al soprintendente, che è il suo braccio operativo sul territorio. Per non parlare poi della vigilanza sul paesaggio: oggi è genericamente affidata alle Regioni e al ministero. Domani sarà soprattutto il soprintendente a spiegare il da farsi.
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