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venerdì 7 dicembre 2007

Da Benedetto Croce ... alle Giunte comunali

di Salvatore Settis - Stralcio di un articolo pubblicato il 27 novembre 2007, su "La Repubblica"
Al termine una nostra breve considerazione.


Sulla Repubblica del 19 novembre Mario Pirani ha attirato l´attenzione sull´assalto al paesaggio italiano, e sull´intreccio di norme e competenze che lo incoraggia. Per cercare una soluzione, auspicata sullo stesso giornale da Francesco Rutelli (15 novembre) con dure parole contro «i programmi di edificazione che possono irreversibilmente far male al Paese», è bene richiamare i "precedenti" del problema.

La tutela del paesaggio in Italia è più recente di quella del patrimonio culturale, ma si innesta sullo stesso tessuto etico, giuridico, civile e politico. Difesa dei monumenti e difesa del paesaggio si legano nel primo Novecento: un articolo di Corrado Ricci su Emporium (1905) mette insieme il tentativo di aprire una nuova porta nelle mura di Lucca (battuto da una campagna di opinione, che incluse Pascoli e D´Annunzio) e le minacciate distruzioni della cascata delle Marmore e della pineta di Ravenna, poco dopo protetta da apposita legge. Ma la prima legge sul paesaggio fu presentata nel 1920 da Benedetto Croce, ministro della Pubblica Istruzione nell´ultimo governo Giolitti. La relazione Croce invoca «un argine alle devastazioni contro le caratteristiche più note e più amate del nostro suolo», perché la necessità di «difendere e mettere in valore le maggiori bellezze d´Italia, naturali e artistiche» risponde ad «alte ragioni morali e non meno importanti ragioni di pubblica economia». Il paesaggio «altro non è che la rappresentazione materiale e visibile della patria, coi suoi caratteri fisici particolari (...), formati e pervenuti a noi attraverso la lenta successione dei secoli». […]

Il DPR 8/1972, presumibilmente oltrepassando i limiti della delega al governo, trasferì alle Regioni redazione e approvazione dei piani paesistici. […] Di fatto, le Regioni hanno sub-delegato ai Comuni le competenze paesaggistiche, cancellando ogni unitarietà nella tutela del paesaggio. La crescita del fabbisogno e la diminuzione delle entrate ha spinto i Comuni a cercare nuovi introiti dagli oneri di urbanizzazione, «dilatando i permessi di lottizzazione e di costruzione per far cassa subito» (così Gilberto Muraro), e provocando un´ondata di cemento senza precedenti. La stessa nozione di paesaggio, nonostante l´art. 9 della Costituzione, è stata sepolta sotto norme che sovrappongono piani urbanistico-territoriali e piani territoriali paesistici, per giunta introducendo anche la nozione di "beni ambientali". Ognuno vede quanto sia incerto il confine fra paesaggio, territorio e urbanistica, ambiente. […]

Davanti allo scempio del paesaggio a cui assistiamo, sempre più chiara è la debolezza di questo sistema normativo. Non giova l´intrico di norme e competenze, che non chiarisce se "territorio", "ambiente" e "paesaggio", ambiti regolati da diverse normative e sotto diverse responsabilità, siano tre cose o una sola. Esiste un "territorio" senza paesaggio e senza ambiente? Esiste un "ambiente" senza territorio e senza paesaggio? Esiste un "paesaggio" senza territorio e senza ambiente? Eppure "paesaggio" e "ambiente" sono prevalentemente sul versante delle competenze statali (ma di due diversi ministeri), mentre il governo del territorio spetta a Regioni ed enti locali. Una ricomposizione normativa, per cui le tre Italie del paesaggio, del territorio e dell´ambiente ridiventino una sola, è al tempo stesso ardua e necessaria. […]

Abbiamo finito col porre al centro del sistema di quella che fu la tutela del paesaggio (materia fragile e cruciale) non la certezza della norma e delle responsabilità istituzionali e personali, bensì la perpetua conflittualità fra regole parziali, ora carenti ora ridondanti, privilegiando de facto gli interstizi dell´interpretazione, che per sua natura è soggetta a ideologismi, contingenze politiche, interessi speculativi e pressioni di parte. Benvenuta è perciò la sentenza della Corte Costituzionale del 7 novembre (nr. 367), che ribadisce la tutela sul paesaggio come «un valore primario ed assoluto, che rientra nella competenza esclusiva dello Stato», e dunque «precede e limita il governo del territorio».

Lo scontro fra normative incoerenti fra loro e fra le interpretazioni rese possibili dall´analisi giuridica formale non conduce in nessun luogo, se non all´ingorgo che sta travolgendo il paesaggio italiano. È ora di tornare a un´alta consapevolezza della dimensione storica, etica e civile della tutela del patrimonio culturale e del paesaggio, che l´art. 9 della Costituzione ha fissato con lungimiranza; è ora di ricordarsi, secondo una sentenza della Corte (341/1996) «che il paesaggio costituisce, nel nostro sistema costituzionale, un valore etico-culturale (...) nella cui realizzazione sono impegnate tutte le pubbliche amministrazioni, e in primo luogo lo Stato e le Regioni, in un vincolo reciproco di cooperazione leale».


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Fin qui il documento di Salvatore Settis. Val la pena di sottolineare nuovamente una recente sentenza della Corte Costituzionale, che ha ribadito la tutela sul paesaggio come valore primario ed assoluto, che precede e limita il governo del territorio, e che è di competenza esclusiva dello Stato. Partendo dal contenuto di questa sentenza, ci si chiede come sia possibile liquidare il Piano Paesistico come una noiosa formalità burocratica, che - in quanto tale - non si preoccupa troppo di approfondire e condividere i contenuti etici, culturali, civili e politici del valore paesaggio.
Rimandano alla lettura del post Il Piano Paesistico dell'elite, bisogna prendere atto che in tema di tutela e salvaguardia del paesaggio, siamo passati da Benedetto Croce .... alle Giunte comunali.

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