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venerdì 5 ottobre 2007

Le tre gambe della democrazia

Di seguito riportiamo uno stralcio di un documento curato da Gloria Regonini.

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Il titolo di questo intervento, "Le tre gambe della democrazia", allude a una metafora che rappresenta la democrazia come un tavolino che si regge su tre gambe.
La prima gamba è il discorso sui diritti, il principio di legalità: dove non c'è stato di diritto e certezza del diritto, non c'è ricchezza nazionale e non c'è neppure il mercato, si trattasse anche del secondo paese produttore di petrolio.

La seconda gamba è la razionalità economica, con il suo discorso sul rapporto tra costi e benefici, sintetizzato nel principio di efficienza, che esprime un richiamo forte all’idea che se si spende da una parte non ci sono più risorse per spendere da un’altra. L’idea dei costi-opportunità è un principio di responsabilità sociale che è fondamentale per le democrazie: non c’è possibilità di alimentare le democrazie quando c’è irresponsabilità sul fronte della spesa.

Una terza gamba è data dal principio di prova ed errore (che potrebbe essere definito anche "principio di efficacia") , che riguarda le risposte a problemi comuni, e segnatamente il fatto che, per quanto individualista sia una cultura o una società, esistono una serie di sfide, di problemi, di disagi a cui non possiamo dare risposte da soli, con le nostre forze. È qui che si colloca una prospettiva di analisi incentrata sulle politiche pubbliche.

Le tre gambe si sostengono a vicenda: senza lo stato di diritto, non c’è efficienza economica; senza efficienza economica, le politiche e i diritti sono spesso vanificati per insufficienza di risorse; senza la concreta implementazione delle politiche, i diritti rimangono sulla carta.

In Italia, la prima gamba della democrazia è solida: la tradizione giuridica del nost ro paese fa del diritto uno dei linguaggi fondamentali per parlare del settore pubblico. Da un po’ di tempo, anche la seconda gamba si è rafforzata, in quanto un discorso in termini di efficienza economica è entrato nel vocabolario di chi parla del settore pubblico. La terza gamba è ancora molto traballante e molto debole, e consiste nel cercare soluzioni attraverso un processo di prova ed errore che tenga conto di quanto è successo in casi simili, e in mancanza di soluzioni provare a mettere delle pezze.

Il termine equivalente inglese "patch" suona un po’ meglio, ma sempre della stessa cosa si tratta: mettere delle pezze. È quello che i dirigenti pubblici fanno ogni giorno. Per costruire questa terza gamba occorre che i politici si distacchino dall'autoreferenzialità per guardare all’esterno del sistema amministrativo, cioè provino a chiedersi se ha senso quello che un’amministrazione sta facendo e se davvero rispetto al problema iniziale quello che le amministrazioni pubbliche producono ha un impatto effettivo e positivo. Lindblom chiamava questo atteggiamento " l’arte dell’andarcene fuori".


Se proviamo a immaginare il fare politica come un ciclo, vediamo che in genere la molla da cui è innescato nasce da una qualche constatazione di una sfasatura tra il mondo com'è e il mondo come vorremmo che fosse. Quindi, questa sfasatura trova parole e si articola in domande di cambiamento. Si passa poi a un processo più o meno razionale, più o meno approssimativo, più o meno politicizzato di selezione delle alternative. Il passo successivo è un momento di decisione formale, seguito da una fase di implementazione, in cui le amministrazioni pubbliche, ma non solo loro, si attivano per tradurre in atti concreti le decisioni formali.

Frutto dell’implementazione è la produzione di un output , ovvero di una determinata attività realizzata dalle amministrazioni. Ma l’osservazione dell’output non basta per capire se una politica ha raggiunto gli obiettivi che si poneva: occorre anche esaminare l’outcome, cioè i risultati in termini di efficacia, ovvero di conseguenze sui destinatari della politica derivate dall’output.

Infine, si pone il problema dell’impatto, ossia dell’effetto complessivo sul problema sociale che la politica mirava ad affrontare. L’analisi di impatto è qualcosa di più del controllo strategico: è la valutazione delle politiche, che comporta tirare in ballo tutte le ipotesi, compresa la possibilità che sia l’output che l’outcome siano soddisfacenti, ma che l’impatto sia stato nullo, per una serie di cause, anche esterne alle possibilità di controllo delle amministrazioni.

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