Se il piano regolatore è sbagliato...
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Urbanistica
Di seguito uno stralcio di un articolo di Antonio Spallino, pubblicato il 6 settembre scorso su “La Provincia di Como”.
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Sembra di essere ritornati agli anni Cinquanta quando l'impetuosità della ricostruzione del Paese aveva contagiato anche l'area della rendita edilizia. Allora, in un contesto privo di pianificazione territoriale o solcato da sedicenti piani urbanistici, si poteva costruire per il triplo, il quadruplo, il decuplo delle esigenze ragionevolmente prevedibili nell'arco di un decennio. Questa è la storia scritta, per esempio, da Leonardo Borgese nel volume "L'Italia rovinata dagli italiani".
Quali sono, in questi anni, le cause delle nuove inciviltà? Come affrontarle in sede locale? E qual è l'atteggiamento dei legislatori? Il tema è ovviamente di natura giuridica-normativa. Ma, forse, meno ovviamente, è ancor prima di carettere culturale ed etico. La prima riflessione porta alle modalità di approvazione dei piani regolatori urbanistici, generali e attuativi.
Ci si chiede: se tutte le edificazioni di questi anni sono "conformi" alle norme locali, i piani che le hanno permesse sono stati votati da amministratori consapevoli? In quei piani di "sviluppo" gli amministratori hanno davvero previsto e valutato gli effetti che avrebbero prodotto sull'ambiente circostante?
O, invece, quei piani sono figli di amministratori pubblici vittime dell'arrendevolezza e dell’obbligo di fare un piacere al prossimo? E' chiaro che, in ogni caso, la responsabilità degli amministratori che, quei piani, li hanno varati è enorme, anche perché i guasti prodotti sono adesso assolutamente irreparabili.
In moltissimi casi quei piani si sono rilevati talmente inconciliabili con le vere necessità di "sviluppo" del territorio da mettere a rischio perfino «la memoria del futuro» (Stille) e le stesse identità locali.
Ecco perché, non appena constatati i macroscopici "errori" derivati dalla attuazione dei piani, i Sindaci e le Giunte avrebbero dovuto avviare con immediatezza la revisione dei loro strumenti pianificatori. Perchè, in troppi casi, era del tutto evidente l’urgente necessità di riprendersi il governo sociale e culturale del territorio dopo aver visto i primi risultati di piani regolatori disastrosamente sbagliati.
Non risulta che ciò sia avvenuto. E i politici locali non possono certo giustificarsi a posteriori adducendo il fatto che la nuova legge urbanistica regionale n.12 del 2005 prevede che i Comuni dovessero sostituire i Prg con i nuovi strumenti in essa prescritti. In questo campo il dovere di agire era nelle mani di Sindaci e Giunte, in quanto massimi esponenti delle comunità locali.
Perché nessun paragrafo di legge, nessuna autorità può essere d'aiuto, se il politico non sente che la res publica, il bene comune di una esistenza umana libera e dignitosa è affidato nelle sue mani. Poter governare significa, dunque, ritrovare sempre quella misura così minacciata su cui dovrà poggiare il benessere di tutti.
Ma se negli amministratori pubblici non è sufficientemente forte la capacità di conservare la memoria delle radici da cui proveniamo, di recuperare e sviluppare un atteggiamento contemplativo che renda sensibili agli appelli provenienti dalla realtà naturale ed umana, di conciliare potere e giustizia, allora è facile smarrire il senso della posizione umana. E ignorare l’esistenza di un'etica del “lavoro pubblico”.
Non si pretende dall'Assessore comunale all'urbanistica o dal Sindaco di essere urbanisti. Quella dell'urbanistica è materia interdisciplinare, che implica cognizioni di pianificazione territoriale e di architettura, di sociologia e di modellistica ambientale.
Ciò che si deve pretendere dall'amministratore pubblico – sempre, e con molto rigore - è invece il primato dell'etica, cioè una coscienza individuale pronta a percepire e a difendere sempre e comunque il bene comune, trascendendo i condizionamenti materiali e sociali.
Questo è il duro nucleo dell'esercizio del dovere-potere amministrativo.
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