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martedì 1 aprile 2008

L'incontrollato consumo di territorio

Lettera al Direttore del Giornale di Brescia - inviata dal Sindaco di Collebeato, Giovanni Marelli - pubblicata il 1° aprile 2008.





Il Giornale di Brescia del 19 marzo scorso dedica quasi un’intera pagina al tema dell’incontrollato consumo di suolo che sta rapidamente depauperando la nostra regione, ed in particolare la nostra provincia, di una risorsa già scarsa, indispensabile peraltro alla riproduzione stessa della vita. Ritengo assolutamente meritorio da parte del giornale porre all’attenzione del pubblico un argomento cruciale ma purtroppo assai trascurato: non mi pare che, ad esempio, le forze politiche in competizione per le prossime elezioni, nazionali e locali, ne abbiano fatto oggetto di approfondimento e dibattito, e tanto meno di proposta.

Proviamo a farlo noi, dal nostro piccolo osservatorio. Innanzitutto, i dati, che sono impressionanti: tra il 1999 ed il 2004 l’espansione urbanistica ha consumato circa 1.000 ettari di terreno l’anno nella sola provincia di Brescia. In cinque anni si tratta di circa 5.000 ettari, cioè 50 chilometri quadrati, un’estensione pari a dieci volte la superficie del mio comune. Ripeto, in soli 5 anni. Se consideriamo che la superficie dell’intera provincia è di circa 4.700 kmq, e che oltre la metà è costituita da montagne, laghi ecc, lo spazio fisico sul quale, di fatto, si sviluppano le attività umane divoratrici di suolo può essere stimato in 2.000 kmq circa, in parte già urbanizzati.

Ne consegue che nell’arco di alcune decine di anni, se i ritmi di crescita rimangono questi, avremo consumato pressoché tutto il territorio disponibile. Non solo la Franciacorta o la Valtenesi, ma anche la Bassa, apparentemente sconfinata, si presenterà come un’unica grande conurbazione, intervallata qua e là dagli ultimi stentati campicelli. Purtroppo non è lo scenario di un film horror, è la prevedibile probabilissima evoluzione di una realtà che abbiamo già sotto gli occhi. Il meccanismo è analogo a quello già visto su altri fronti del degrado ambientale: l’effetto serra sta cambiando il clima, ma nessuno pare in grado di diminuire sul serio le emissioni, che continuano a crescere. La foresta dell’Amazzonia si riduce anno dopo anno, ma passato lo sconcerto momentaneo si continua come prima.

Anche nel caso del consumo del suolo, al lodevole impegno degli esperti che elaborano i dati e di Legambiente che denuncia il fenomeno, potranno seguire convegni dove amministratori e urbanisti si affanneranno a sottolineare un problema di cui essi stessi sono almeno una delle cause. Parrebbe quindi non esserci soluzione, se non l’adattamento della specie a sopravvivere in un ambiente completamente artificiale, ricoperto di case, capannoni, centri commerciali ecc. I prodotti agricoli necessari alla sopravvivenza possiamo sempre comprarli in Cina o in India come già in parte avviene...

Oppure si potrebbe avviare una riflessione più seria sulle cause del fenomeno. Nonostante un andamento demografico improntato ad una sostanziale stabilità (senza gli immigrati la crescita sarebbe addirittura negativa) gli stili di vita che adottiamo, improntati alla crescita indefinita dei consumi, sono in ultima analisi i veri responsabili dello spreco dissennato di una risorsa ormai scarsa e non riproducibile come il territorio. Se non si comincia a ragionare sull’abitare e sul produrre, sulla mobilità e sul divertimento, sui consumi e sui rifiuti non si potrà uscire da un circolo vizioso il cui approdo è già segnato.

Questo non significa arresto dello sviluppo e ritorno all’età della pietra, come qualche critico, invero un po’ grossolano, potrebbe a questo punto obiettare. Significa mettere in discussione, come da più parti anche autorevoli si comincia a fare, la sacralità della crescita del prodotto interno lordo come unica misura del benessere di un Paese e dei suoi abitanti. Tuttavia, perché alla fine la riflessione non suoni disarmante e disperante, non possiamo sfuggire al nodo del «che fare», qui e ora, a partire dalle nostre piccole Amministrazioni locali, per contrastare un fenomeno i cui effetti devastanti sono ormai sotto gli occhi di tutti.

Partiamo dai prossimi piani di governo del territorio, consapevoli che le comunità locali hanno esigenze di crescita e sviluppo a cui va data risposta. Queste risposte vanno pianificate a partire dai bisogni reali dei cittadini e non dalle spinte speculative, che spesso servono anche ai Comuni per fare cassa. In questo modo, ogni consumo di suolo avverrà dopo attenta riflessione, con la piena coscienza del gesto che si compie. Ne consumeremo meno e lo consumeremo meglio, tenendo conto delle generazioni future e della qualità della nostra stessa vita attuale.

Introduciamo davvero il criterio della compensazione ecologica preventiva suggerita da Legambiente e dal Politecnico di Milano. Per ogni ettaro utilizzato, ve ne siano altri definitivamente acquisiti al patrimonio ambientale indisponibile della collettività. Non significa tracciare ipotesi sulla carta, ma avviare un processo lungo e faticoso che coinvolga i cittadini, i privati proprietari di aree e tutti i soggetti a vario titolo interessati. Il risultato finale, se vi saranno le forze disponibili e la convinzione di chi amministra, sarà quello di avere sensibilmente ridotto la velocità del processo in atto, e di avere creato contesti urbani più vivibili per tutti. Sarebbe tra l’altro un modo per tornare a fare politica davvero, con i cittadini chiamati a scegliere finalmente tra alternative di sostanza.

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