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martedì 6 maggio 2008

Dalla piramide ... alla punta di lancia. La popolazione è in riduzione

Articolo del Giornale di Brescia del 1 maggio 2008.



Brescia perde i bresciani. Tanto che qualcuno parla di città inospitale. A dire il vero chi emigra verso l’hinterland lo fa per due motivi: il costo delle case è inferiore, la qualità della vita spesso è migliore.Ci sono dati inconfutabili che vanno spiegati. Al 31 marzo la popolazione della città era di quasi 189mila abitanti. Di questi ben 29.500 sono stranieri.

Nel frattempo cosa è successo ai bresciani? Lo scopriamo esaminando i dati relativi al corpo elettorale. Nel 2008 gli aventi diritto al voto sono stati 145mila. Nel 2003 erano 155mila, nel ’98 160mila. Che fine hanno fatto? La risposta l’abbiamo data all’inizio di questo articolo. Ma l’analisi va oltre. Non è solo la percentuale elevata di stranieri regolari a creare qualche problema di incomprensione culturale, ma di irregolari nel solo ambito urbano ce ne sono almeno 4mila. Lo studio del Dipartimento Studi Sociali dell’Università di Brescia avverte: «Le proiezioni, su un arco temporale di 30 anni, sono relativamente semplici, almeno con riferimento alla popolazione italiana, ossia prescindendo dai flussi migratori.

Così, la popolazione (italiana) residente in provincia, che era salita da circa 980mila unità nel 1971 a 1.060mila nel 2001, è prevista invece scendere in futuro, dapprima lentamente (1.043mila unità nel 2011), poi in modo più deciso, fino a 951mila unità nel 2031. Quanto al Comune di Brescia, la popolazione (sempre italiana), era già scesa costantemente nei decenni precedenti, da 220mila del 1971 a 177mila del 2001, e continuerà a diminuire anche in futuro, fino a toccare 140mila unità nel 2031».

Considerando ora la struttura della popolazione dell’intera provincia per classi di età, se nel 1971 risultava ancora una tipica struttura «a piramide» con una base molto ampia in corrispondenza delle classi di età più giovani, nel 2001 le classi di età più numerose erano quelle centrali, tra i 30 ed i 40 anni; per il 2031 è previsto un ulteriore mutamento, con una struttura «a punta di lancia» (le classi più numerose saranno attorno ai 60-70 anni). Le conseguenze di questi mutamenti sul sistema socio-economico (previdenza, assistenza, sanità, ecc.) sono state a lungo discusse in letteratura, conseguenze peraltro comuni a molte altre aree italiane. I nuovi nati saranno nel 2031 solo del 10% inferiori a quelli del 2001. Nelle classi di età da 25 a 45 anni si avranno le maggiori contrazioni, con consistenze finali anche del 40% inferiori a quelle del 2001. Quindi l’indice di ricambio della popolazione in età lavorativa dovrebbe continuare a scendere.

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