I dilettanti allo sbaraglio e l'ansia del nuovo
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La crisi della politica
Articolo di BresciaOggi del 12 marzo 2008.
La vecchia politica non tornerà più, e nessuno, francamente, la rimpiange. Era la politica dei soliti noti che per anni, anzi, decenni, traslocavano da un ministero all’altro, se governavano; e da un collegio elettorale all’altro, quando si ripresentavano al giudizio degli italiani (meno da un partito all’altro: c’era un qualche senso del pudore nella pur vituperata prima Repubblica). Ma siccome i conti noi dobbiamo farli oggi con questa campagna elettorale straboccante di «volti nuovi», intrisa di «società civile» e zeppa di candidati che per età potrebbero essere nostri figli (vede, ministro Padoa-Schioppa, che i bamboccioni sono finalmente usciti di casa), sarà lecito dire che questa corsa al nuovismo non sia la rivoluzione sognata?
Sarà il caso di domandarsi perché mai un cittadino dovrebbe votare per il Partito democratico o il Partito della libertà soltanto perché quei furboni di Walter Veltroni e Silvio Berlusconi hanno infilato una ragazza di venticinque anni in prima fila? O magari un giovanotto proveniente dall’ambiente dello spettacolo, e abituato al verdetto dello «share» che non è proprio quello del popolo sovrano? Non sarà opportuno chiedersi quali competenze di vita vissuta, quale passione ideale, quale desiderio di cambiare il mondo animino le legioni di molti nuovi arrivati, tanto propagandate dai contendenti per Palazzo Chigi? I quali contendenti forse credono che rompere con la vecchia politica, significhi esibire la non politica.
Ma tra il vecchio marpione tutto Partito e Palazzo e il vuoto che prefigura questa corsa al candidato nuovo di zecca - così nuovo che gli stessi giornalisti devono spesso spiegare di chi si tratti ai loro lettori - ci sarà pure una terza via: né vecchi marpioni né dilettanti allo sbaraglio. Nessuna nostalgia, intendiamoci, per l’epoca di quelli che almeno conoscevano la differenza fra un atto di indirizzo e un decreto-legge, tra una commissione che opera in sede redigente o legiferante, tra gli stessi articoli della Costituzione a volte addirittura recitati a memoria. Tant’è che i successori e successivi legislatori che ai tempi nostri hanno tentato di riscrivere la Carta in parti corpose e fondamentali, l’hanno fatto coi piedi. Da tempo, si sa, «pulsa» di meno l’amore per la politica, che dovrebbe essere arte civile.
È quella «cosa pubblica» di cui tutti dovremmo in qualche modo e in qualche momento della vita occuparci, nonostante il disgusto che ci assale per quanto male quest’impegno venga troppo spesso e da troppi esercitato.L’impegno nell’esclusivo servizio della Nazione. Ma la ragazza candidata perché è ragazza, che cosa potrà mai aggiungere per cambiare veramente l’Italia? Il nome famoso buttato lì, quale geniale contributo potrà mai dare ai cittadini, senza aver prima testimoniato con un minimo di gavetta politico-amministrativa (in un qualche sperduto municipio, oppure in un più importante Consiglio provinciale o addirittura in uno regionale) o con il volontariato, o con un impegno sociale, culturale, professionale, militare in Italia o all’estero che effettivamente potrebbe avere qualcosa da dire e da dare al Paese?
Intanto Romano Prodi annuncia che lascerà la politica. Pure Berlusconi ha dichiarato che si presenterà per l’ultima volta. Chissà se sarà vero per entrambi i settantenni. Il «non mollare comunque» di chi fa politica con anzianità di servizio è l’altra medaglia del giovanilismo degli impolitici. È tanto sperare di avere una classe dirigente motivata e preparata, che si alterna a guidare l’Italia con il solo senso del dovere, e che, a missione compiuta, semplicemente saluta e in punta di piedi se ne va?
La vecchia politica non tornerà più, e nessuno, francamente, la rimpiange. Era la politica dei soliti noti che per anni, anzi, decenni, traslocavano da un ministero all’altro, se governavano; e da un collegio elettorale all’altro, quando si ripresentavano al giudizio degli italiani (meno da un partito all’altro: c’era un qualche senso del pudore nella pur vituperata prima Repubblica). Ma siccome i conti noi dobbiamo farli oggi con questa campagna elettorale straboccante di «volti nuovi», intrisa di «società civile» e zeppa di candidati che per età potrebbero essere nostri figli (vede, ministro Padoa-Schioppa, che i bamboccioni sono finalmente usciti di casa), sarà lecito dire che questa corsa al nuovismo non sia la rivoluzione sognata?
Sarà il caso di domandarsi perché mai un cittadino dovrebbe votare per il Partito democratico o il Partito della libertà soltanto perché quei furboni di Walter Veltroni e Silvio Berlusconi hanno infilato una ragazza di venticinque anni in prima fila? O magari un giovanotto proveniente dall’ambiente dello spettacolo, e abituato al verdetto dello «share» che non è proprio quello del popolo sovrano? Non sarà opportuno chiedersi quali competenze di vita vissuta, quale passione ideale, quale desiderio di cambiare il mondo animino le legioni di molti nuovi arrivati, tanto propagandate dai contendenti per Palazzo Chigi? I quali contendenti forse credono che rompere con la vecchia politica, significhi esibire la non politica.
Ma tra il vecchio marpione tutto Partito e Palazzo e il vuoto che prefigura questa corsa al candidato nuovo di zecca - così nuovo che gli stessi giornalisti devono spesso spiegare di chi si tratti ai loro lettori - ci sarà pure una terza via: né vecchi marpioni né dilettanti allo sbaraglio. Nessuna nostalgia, intendiamoci, per l’epoca di quelli che almeno conoscevano la differenza fra un atto di indirizzo e un decreto-legge, tra una commissione che opera in sede redigente o legiferante, tra gli stessi articoli della Costituzione a volte addirittura recitati a memoria. Tant’è che i successori e successivi legislatori che ai tempi nostri hanno tentato di riscrivere la Carta in parti corpose e fondamentali, l’hanno fatto coi piedi. Da tempo, si sa, «pulsa» di meno l’amore per la politica, che dovrebbe essere arte civile.
È quella «cosa pubblica» di cui tutti dovremmo in qualche modo e in qualche momento della vita occuparci, nonostante il disgusto che ci assale per quanto male quest’impegno venga troppo spesso e da troppi esercitato.L’impegno nell’esclusivo servizio della Nazione. Ma la ragazza candidata perché è ragazza, che cosa potrà mai aggiungere per cambiare veramente l’Italia? Il nome famoso buttato lì, quale geniale contributo potrà mai dare ai cittadini, senza aver prima testimoniato con un minimo di gavetta politico-amministrativa (in un qualche sperduto municipio, oppure in un più importante Consiglio provinciale o addirittura in uno regionale) o con il volontariato, o con un impegno sociale, culturale, professionale, militare in Italia o all’estero che effettivamente potrebbe avere qualcosa da dire e da dare al Paese?
Intanto Romano Prodi annuncia che lascerà la politica. Pure Berlusconi ha dichiarato che si presenterà per l’ultima volta. Chissà se sarà vero per entrambi i settantenni. Il «non mollare comunque» di chi fa politica con anzianità di servizio è l’altra medaglia del giovanilismo degli impolitici. È tanto sperare di avere una classe dirigente motivata e preparata, che si alterna a guidare l’Italia con il solo senso del dovere, e che, a missione compiuta, semplicemente saluta e in punta di piedi se ne va?
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