Sacrifici per tutti tranne che per la casta
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La crisi della politica
Articolo pubblicato su BresciaOggi di venerdì 18 gennaio 2008 - Sacrifici per tutti tranne che per la «casta»
Ci verrebbe di prenderle a sberle a una a una le facce di tolla dei nostri parlamentari, 953 stramusoni dispensati equamente tra deputati e senatori, compresi i sette senatori a vita per i quali, in ossequio alla veneranda età, ci si potrebbe limitare all’insulto libero, magari scatologico che è sempre efficace oltre che, mai come in questo caso, pertinente.
Dopo avere strombazzato ai quattro venti che si sarebbero ridotti gli stipendi del 10 per cento «in ossequio alla richiesta di sobrietà di tutte le istituzioni» e dopo aver mantenuto solo parzialmente la promessa in virtù di uno scaltro codicillo che gli garantiva uno sconto del 4 per cento, salvo compensare totalmente il «sacrificio» incamerando lo scatto biennale del 6, adesso i 630 deputati, con la furbizia del chierichetto che di nascosto tira dall’ampollina una boccata di vino e si asciuga furtivamente le labbra sulla manica della cotta, si sono ritoccati l’indennità di 200 euro lordi, 127 netti, che porteranno a 5.613,59 euro la consistenza della loro busta paga, più le ovvie laute maggiorazioni (quasi un altro stipendio) per le varie cariche e la carriolata di privilegi e benefit.
E i senatori? Il nobile «sacrificio» graverà allora solo sulle loro spalle di rappresentanti della Camera Alta, quella che insomma dovrebbe dare il buon esempio alla Bassa? Neanche per idea. Mica sono scemi. Si erano già cautelati opponendosi al congelamento degli scatti automatici e «obbligando» quindi, per una questione di equità, i colleghi deputati a colmare il dislivello retributivo che è appunto di 200 euro. Mentre la Nazione tira la cinghia, mentre milioni di famiglie vivono nell’angoscia di non potercela fare ad arrivare in fondo al mese (e molte non ce la fanno), flagellate, come sono, da carovita, tasse e bollette, loro - i nostri parlamentari - usano una parte dei soldi che ci vengono sottratti con l’aumento delle imposte per arrotondarsi disinvoltamente gli stipendi, che sono già schifosamente i più alti del mondo.
Mentre il governo ci salassa la tredicesima e lo stipendio di dicembre grazie al conguaglio dell’Irpef legato alle nuove aliquote fiscali elaborate da De Sade-Visco, loro, quelli che con i nostri voti abbiamo mandato in Parlamento, continuano a vivere il loro incosciente Bengodi, infischiandosene delle sofferenze e delle emergenze del Paese. Il loro motto trasversale (non è un luogo comune sostenere che quando sono là sono tutti uguali, a qualsiasi partito appartengano) è «Magna, beve e fottetenne», come dicono, e molti fanno, a cominciare dagli amministratori pubblici, a Napoli che il malgoverno, con la complicità di parlamentari e ministri, ha ridotto a un’immensa cloaca che sta sputtanando il nome dell’Italia nel mondo.
Cosa gliene frega a loro del popolo bue di cui non fanno più parte e non condividono più i problemi dal preciso momento in cui dal popolo bue sono stati eletti diventando membri della Casta edonista e spesso fannullona cui basta arrivare a sprofondare per qualche mese le posaderas nel velluto rosso di una poltrona di Montecitorio o di Palazzo Madama per aver diritto a una pensione da leccarsi i baffi, e non solo quelli, mentre i poveri cristi devono lavorare minimo trent’anni per conquistarsi un vitalizio spesso da fame?
Quanto poi i nostri disonorevoli siano vicini al Paese reale, lo dimostra la consistenza di quello che hanno versato al fondo istituito a favore delle famiglie delle vittime del rogo della Thyssenkrupp: 6 mila euro in tutto, 9 euro e mezzo a testa. Eppure li puoi insultare, li puoi mettere alla gogna in libri e libelli, li puoi odiare, ma niente li può smuovere, niente li può cambiare. La loro poltrona è più importante del nostro disprezzo. Che, sia ben chiaro, non è disprezzo per le istituzioni, ma per chi, senza averne le qualità morali, le occupa.
Ci verrebbe di prenderle a sberle a una a una le facce di tolla dei nostri parlamentari, 953 stramusoni dispensati equamente tra deputati e senatori, compresi i sette senatori a vita per i quali, in ossequio alla veneranda età, ci si potrebbe limitare all’insulto libero, magari scatologico che è sempre efficace oltre che, mai come in questo caso, pertinente.
Dopo avere strombazzato ai quattro venti che si sarebbero ridotti gli stipendi del 10 per cento «in ossequio alla richiesta di sobrietà di tutte le istituzioni» e dopo aver mantenuto solo parzialmente la promessa in virtù di uno scaltro codicillo che gli garantiva uno sconto del 4 per cento, salvo compensare totalmente il «sacrificio» incamerando lo scatto biennale del 6, adesso i 630 deputati, con la furbizia del chierichetto che di nascosto tira dall’ampollina una boccata di vino e si asciuga furtivamente le labbra sulla manica della cotta, si sono ritoccati l’indennità di 200 euro lordi, 127 netti, che porteranno a 5.613,59 euro la consistenza della loro busta paga, più le ovvie laute maggiorazioni (quasi un altro stipendio) per le varie cariche e la carriolata di privilegi e benefit.
E i senatori? Il nobile «sacrificio» graverà allora solo sulle loro spalle di rappresentanti della Camera Alta, quella che insomma dovrebbe dare il buon esempio alla Bassa? Neanche per idea. Mica sono scemi. Si erano già cautelati opponendosi al congelamento degli scatti automatici e «obbligando» quindi, per una questione di equità, i colleghi deputati a colmare il dislivello retributivo che è appunto di 200 euro. Mentre la Nazione tira la cinghia, mentre milioni di famiglie vivono nell’angoscia di non potercela fare ad arrivare in fondo al mese (e molte non ce la fanno), flagellate, come sono, da carovita, tasse e bollette, loro - i nostri parlamentari - usano una parte dei soldi che ci vengono sottratti con l’aumento delle imposte per arrotondarsi disinvoltamente gli stipendi, che sono già schifosamente i più alti del mondo.
Mentre il governo ci salassa la tredicesima e lo stipendio di dicembre grazie al conguaglio dell’Irpef legato alle nuove aliquote fiscali elaborate da De Sade-Visco, loro, quelli che con i nostri voti abbiamo mandato in Parlamento, continuano a vivere il loro incosciente Bengodi, infischiandosene delle sofferenze e delle emergenze del Paese. Il loro motto trasversale (non è un luogo comune sostenere che quando sono là sono tutti uguali, a qualsiasi partito appartengano) è «Magna, beve e fottetenne», come dicono, e molti fanno, a cominciare dagli amministratori pubblici, a Napoli che il malgoverno, con la complicità di parlamentari e ministri, ha ridotto a un’immensa cloaca che sta sputtanando il nome dell’Italia nel mondo.
Cosa gliene frega a loro del popolo bue di cui non fanno più parte e non condividono più i problemi dal preciso momento in cui dal popolo bue sono stati eletti diventando membri della Casta edonista e spesso fannullona cui basta arrivare a sprofondare per qualche mese le posaderas nel velluto rosso di una poltrona di Montecitorio o di Palazzo Madama per aver diritto a una pensione da leccarsi i baffi, e non solo quelli, mentre i poveri cristi devono lavorare minimo trent’anni per conquistarsi un vitalizio spesso da fame?
Quanto poi i nostri disonorevoli siano vicini al Paese reale, lo dimostra la consistenza di quello che hanno versato al fondo istituito a favore delle famiglie delle vittime del rogo della Thyssenkrupp: 6 mila euro in tutto, 9 euro e mezzo a testa. Eppure li puoi insultare, li puoi mettere alla gogna in libri e libelli, li puoi odiare, ma niente li può smuovere, niente li può cambiare. La loro poltrona è più importante del nostro disprezzo. Che, sia ben chiaro, non è disprezzo per le istituzioni, ma per chi, senza averne le qualità morali, le occupa.
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