L'incubo sul Bel Paese
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Paesaggio territorio e ambiente
L’incubo dei capannoni incombe sul Bel Paese: ecco l’assalto dei veri “ecomostri" - Stralcio di un editoriale di Luca Bellincioni
Nel contesto di generale, repentino ed inarrestabile degrado del paesaggio rurale italiano, chiunque avrà notato come negli ultimi anni vi sia stata una proliferazione enorme di capannoni nelle campagne. Rigorosamente in cemento e quasi sempre bianchi, ad altissimo impatto ambientale, visibili sin da enormi distanze, i capannoni ormai spiccano non solo lungo le arterie principali, ma anche lungo le strade di campagna, in zone insospettabili, talvolta praticamente intatte. Tali mostruose costruzioni, contro le quali finora è stato detto troppo poco e fatto praticamente nulla, sorgono solitamente per ospitare attività artigianali, industriali e commerciali. Il problema è che stanno diffondendo senza alcun criterio e, a causa della loro scadente qualità estetico-architettonico, rischiano di compromettere quel che resta del nostro paesaggio agricolo e naturale.
Il problema ormai riguarda l’Italia intera, un’Italia involuta e culturalmente in declino, tornata a soggiacere ciecamente al miraggio di uno “sviluppo” indefinito ed indefinibile, da ottenersi ad ogni costo, a discapito di tutto e tutti; di uno “sviluppo” e di una “modernizzazione” che a livello politico nazionale paiono essere ormai soltanto un’improvvisazione, mentre a livello locale un semplice strumento per accontentare piccole o grandi lobbies edilizie e industriali e di conseguenza mantenere il potere amministrativo. Ma i capannoni che ormai falcidiamo ovunque il nostro territorio non sono figli solo di questa improvvisazione e di questo declino culturale, ma anche di precisi errori politici. [...]
Per quanto riguarda l’edificazione di strutture atte a contenere attività produttive, almeno nelle campagne non sarebbe così impensabile ed inconcepibile obbligare i costruttori e i committenti al rispetto di una certa tipologia di forme (o addirittura di materiali) il più possibile compatibile con le caratteristiche del paesaggio circostante, ad esempio provvedendo ad una copertura a capriate (con colori che si rifacciano a quelli delle strutture tradizionali) al posto del solito tetto piatto, assolutamente assurdo e spregevole dal punto di vista dell’estetica architettonica ad esempio nelle zone di montagna o di collina, o nelle campagne mosse e ondulate.
Sarebbe così impossibile cercare di adeguare queste nuove strutture (e comunque da edificarsi sempre e soltanto - per inciso - qualora esse rispondano realmente alle necessità di un’azienda e non a quelle della mera ed ignobile e squallida speculazione edilizia) all’estetica delle strutture produttive tradizionali, come ad esempio, per rimanere ai paesaggi di campagna, i casolari o le case coloniche? Sarebbe, insomma, così improponibile cercare di dare dignità estetica alle “strutture produttive” come accadeva del resto fino a non molti anni fa? In passato ciò avveniva normalmente, tant’è che in molti luoghi si possono osservare veri propri gioielli di “archeologia industriale” otto-novecentesca.
Tuttavia, da un lato c’è sicuramente la volontà di risparmiare, visto che i moderni capannoni (spesso si tratta di semi-prefabbricati) costano molto meno di una struttura adeguata a determinati canoni di forme, colori e materiali; dall’altro, però, c’è anche un eloquente declino culturale nel mondo dell’architettura contemporanea, soprattutto italiana, che non sa più dare risposte concrete alla necessità, ormai sempre più impellente e sentita da una grossa fetta della popolazione, di conservazione del paesaggio e dell’ambiente naturale e non sa più trovare – per la prima volta nella storia dell’umanità – espressioni che siano in qualche modo armoniche nei confronti della natura.
Accecati dal mito della “città infinita” e dell’”architettura spettacolo” [...] ormai gli architetti non sanno più produrre qualcosa che non sia o pavoneggiamento personale, o ecomostro o edilizia spazzatura. E’ questa ancora l’Italia dei benedettini e dei cistercensi, di Michelangelo, Giotto, Brunelleschi, Vignola, Bernini e Bramante? E’ ancora questa l’Italia culla della civiltà, del genio, della cultura e dell’arte? E cosa ne sarà del “Bel Paese”? [...]
Lo “urban sprawl”, il caos urbanistico di villettopoli, capannoni e periferie può davvero sostituire positivamente il nostro meraviglioso paesaggio agricolo (che ricordiamolo non è soltanto bello, ma produce i nostri beni di PRIMA NECESSITA’) e vieppiù il nostro ambiente naturale, cosa che – continuando così - nel giro di vent’anni potrebbe accadere? [...]
Del resto, se ogni comune pretende di costruirsi la propria area artigianale e industriale, o di dare avvio a lottizzazioni selvagge, come se il proprio territorio fosse un compartimento stagno (da sfruttare fino all’osso) e non parte di un insieme più grande cui esso è indissolubilmente legato, resterà assai poco dell’ambiente naturale e del paesaggio agricolo: altro che pianificazione territoriale…
Espressione del più basso livello mai raggiunto dall’architettura di ogni tempo, pura “edilizia-spazzatura”, ormai di capannoni se ne vedono praticamente ovunque, e non solo più nelle aree destinate ad attività produttive ma anche in piena campagna, e spesso in aree di grande pregio paesaggistico e ambientale. E ciò probabilmente non è un caso poiché tali interventi preludono a successive opere di urbanizzazioni e quasi sempre a successive concessioni edilizie di tipo residenziale. Sicché il consumo di suolo, territorio e paesaggio, che codeste installazioni producono, pare proprio concepito “ad arte” da “superiori" interessi speculativi al fine modificare i piani paesistici (laddove presenti) e di guadagnare nuove aree edificabili.[...]
Nel contesto di generale, repentino ed inarrestabile degrado del paesaggio rurale italiano, chiunque avrà notato come negli ultimi anni vi sia stata una proliferazione enorme di capannoni nelle campagne. Rigorosamente in cemento e quasi sempre bianchi, ad altissimo impatto ambientale, visibili sin da enormi distanze, i capannoni ormai spiccano non solo lungo le arterie principali, ma anche lungo le strade di campagna, in zone insospettabili, talvolta praticamente intatte. Tali mostruose costruzioni, contro le quali finora è stato detto troppo poco e fatto praticamente nulla, sorgono solitamente per ospitare attività artigianali, industriali e commerciali. Il problema è che stanno diffondendo senza alcun criterio e, a causa della loro scadente qualità estetico-architettonico, rischiano di compromettere quel che resta del nostro paesaggio agricolo e naturale.
Il problema ormai riguarda l’Italia intera, un’Italia involuta e culturalmente in declino, tornata a soggiacere ciecamente al miraggio di uno “sviluppo” indefinito ed indefinibile, da ottenersi ad ogni costo, a discapito di tutto e tutti; di uno “sviluppo” e di una “modernizzazione” che a livello politico nazionale paiono essere ormai soltanto un’improvvisazione, mentre a livello locale un semplice strumento per accontentare piccole o grandi lobbies edilizie e industriali e di conseguenza mantenere il potere amministrativo. Ma i capannoni che ormai falcidiamo ovunque il nostro territorio non sono figli solo di questa improvvisazione e di questo declino culturale, ma anche di precisi errori politici. [...]
Per quanto riguarda l’edificazione di strutture atte a contenere attività produttive, almeno nelle campagne non sarebbe così impensabile ed inconcepibile obbligare i costruttori e i committenti al rispetto di una certa tipologia di forme (o addirittura di materiali) il più possibile compatibile con le caratteristiche del paesaggio circostante, ad esempio provvedendo ad una copertura a capriate (con colori che si rifacciano a quelli delle strutture tradizionali) al posto del solito tetto piatto, assolutamente assurdo e spregevole dal punto di vista dell’estetica architettonica ad esempio nelle zone di montagna o di collina, o nelle campagne mosse e ondulate.
Sarebbe così impossibile cercare di adeguare queste nuove strutture (e comunque da edificarsi sempre e soltanto - per inciso - qualora esse rispondano realmente alle necessità di un’azienda e non a quelle della mera ed ignobile e squallida speculazione edilizia) all’estetica delle strutture produttive tradizionali, come ad esempio, per rimanere ai paesaggi di campagna, i casolari o le case coloniche? Sarebbe, insomma, così improponibile cercare di dare dignità estetica alle “strutture produttive” come accadeva del resto fino a non molti anni fa? In passato ciò avveniva normalmente, tant’è che in molti luoghi si possono osservare veri propri gioielli di “archeologia industriale” otto-novecentesca.
Tuttavia, da un lato c’è sicuramente la volontà di risparmiare, visto che i moderni capannoni (spesso si tratta di semi-prefabbricati) costano molto meno di una struttura adeguata a determinati canoni di forme, colori e materiali; dall’altro, però, c’è anche un eloquente declino culturale nel mondo dell’architettura contemporanea, soprattutto italiana, che non sa più dare risposte concrete alla necessità, ormai sempre più impellente e sentita da una grossa fetta della popolazione, di conservazione del paesaggio e dell’ambiente naturale e non sa più trovare – per la prima volta nella storia dell’umanità – espressioni che siano in qualche modo armoniche nei confronti della natura.
Accecati dal mito della “città infinita” e dell’”architettura spettacolo” [...] ormai gli architetti non sanno più produrre qualcosa che non sia o pavoneggiamento personale, o ecomostro o edilizia spazzatura. E’ questa ancora l’Italia dei benedettini e dei cistercensi, di Michelangelo, Giotto, Brunelleschi, Vignola, Bernini e Bramante? E’ ancora questa l’Italia culla della civiltà, del genio, della cultura e dell’arte? E cosa ne sarà del “Bel Paese”? [...]
Lo “urban sprawl”, il caos urbanistico di villettopoli, capannoni e periferie può davvero sostituire positivamente il nostro meraviglioso paesaggio agricolo (che ricordiamolo non è soltanto bello, ma produce i nostri beni di PRIMA NECESSITA’) e vieppiù il nostro ambiente naturale, cosa che – continuando così - nel giro di vent’anni potrebbe accadere? [...]
Del resto, se ogni comune pretende di costruirsi la propria area artigianale e industriale, o di dare avvio a lottizzazioni selvagge, come se il proprio territorio fosse un compartimento stagno (da sfruttare fino all’osso) e non parte di un insieme più grande cui esso è indissolubilmente legato, resterà assai poco dell’ambiente naturale e del paesaggio agricolo: altro che pianificazione territoriale…
Espressione del più basso livello mai raggiunto dall’architettura di ogni tempo, pura “edilizia-spazzatura”, ormai di capannoni se ne vedono praticamente ovunque, e non solo più nelle aree destinate ad attività produttive ma anche in piena campagna, e spesso in aree di grande pregio paesaggistico e ambientale. E ciò probabilmente non è un caso poiché tali interventi preludono a successive opere di urbanizzazioni e quasi sempre a successive concessioni edilizie di tipo residenziale. Sicché il consumo di suolo, territorio e paesaggio, che codeste installazioni producono, pare proprio concepito “ad arte” da “superiori" interessi speculativi al fine modificare i piani paesistici (laddove presenti) e di guadagnare nuove aree edificabili.[...]
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