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domenica 9 settembre 2007

Perchè, e per chi, si costruisce tanto?

Di seguito una sintesi dell’intervento presentato dal dr. Francesco Erbani al V Premio Cederna della Provincia di Roma, il 30 maggio 2007. Una lezione di urbanistica nel solco del difensore del paesaggio romano.

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Accade spesso di sentir parlare del paesaggio come pura categoria ideale, anzi come semplice effetto della percezione, come se i suoi valori fossero puramente immateriali, per cui ognuno si costruisce il proprio paesaggio, con un’operazione mentale.


E invece il paesaggio ha una sua concreta rappresentazione nella struttura del territorio. E' l’elemento che caratterizza il paesaggio italiano in genere, e che rappresenta il suo vero valore è proprio il fatto di essere un paesaggio fortemente antropizzato, cioè segnato dalla mano dell’uomo.


E a seconda delle zone d’Italia la mano dell’uomo ha definito assetti del territorio che rendono riconoscibili i luoghi, perché li fanno uno diverso dall’altro. La campagna toscana è diversa da quella siciliana non solo per la conformazione del terreno, ma anche per le tradizioni colturali, perché in Toscana prevale la coltivazione dei vigneti o dell’ulivo e gli appezzamenti di terreno sono (purtroppo forse erano) di dimensioni ridotte e quindi il paesaggio ne è condizionato e perché, invece, in Sicilia prevale la grande estensione coltivata a grano, con queste immense distese pianeggianti.


Questo patrimonio è a rischio. Basta gettare lo sguardo su qualche cifra. Nel 1951 Roma era edificata su 6 mila ettari, per arrivare a questa dimensione la città ha impiegato grosso modo duemilacinquecento anni. Gli abitanti erano un milione e seicentomila. Nel 2001, cinquant’anni dopo, si è arrivati a più di 41 mila ettari, sette volte di più del 1951. Ma la popolazione si è assestata sui 2 milioni e mezzo. […]


E’ un evidente paradosso. L’edificato di una città cresce quasi indipendentemente dalla crescita della popolazione.



L’edilizia cresce in tutta Italia. Stando ai dati citati recentemente da Vittorio Emiliani, ogni anno si perdono in Italia 380 mila ettari di suolo agricolo. Noi produciamo una quantità di cemento pro-capite che è più del doppio di quella tedesca.


In questa situazione, quali sono diventati gli elementi cospicui del paesaggio? Sono ....le gru!



Le domande che sorgono a questo punto sono: ma perché si costruisce tanto? Per chi si costruisce tanto? Ho citato Cederna: in effetti se si vanno a leggere le sue pagine, sebbene risalgano anche a cinquant’anni fa, una risposta la si trova. Cederna ebbe la fortuna (per un giornalista questa è una fortuna) di raccontare l’Italia proprio a partire da quel 1951 in cui prendeva il via quella spaventosa trasformazione che avrebbe sfigurato i suoi connotati. Ed ebbe la bravura di non limitarsi a raccontare l’Italia che vedeva modificarsi sotto i suoi occhi, ma di cercare le cause.

Rispondendo a quelle domande: perché si costruisce tanto e per chi?
Il meccanismo che agli occhi di Cederna regola questa trasformazione devastante è di diversa natura.
Culturale, intanto: l’Italia è un paese in cui la consapevolezza della qualità del proprio patrimonio non è adeguata all’entità e alle valenze di esso.
Economica, in secondo luogo: in Italia la rendita pesa moltissimo, e la rendita fondiaria e immobiliare, in particolare, assorbono tante risorse che altrimenti sarebbero destinate a un più corretto sviluppo.


Politica,
infine: una buona parte della politica non intende né progettare né regolare l’assetto di un territorio, è come inibita dalla forza che esprimono il mondo dell’edilizia e della rendita e si adegua ai suoi desideri, convinta che nel possesso di un suolo sia in qualche modo iscritta la possibilità di una sua trasformazione in senso cementizio e che questa possibilità vada al massimo contrattata, mitigata, ma non condizionata dalla tutela di interessi generali.


Negli anni Cinquanta, scrive Cederna, si costruisce dove e come si vuole purché lo esiga chi possiede un suolo. Non si costruisce perché c’è bisogno, o almeno non solo per questo, ma perché c’è qualcuno che ha la forza di imporlo.


Queste tre condizioni restano sostanzialmente inalterate nella storia italiana dagli anni Cinquanta a oggi. Le case si costruiscono, ma il problema dei senzacasa resta inalterato e anzi va aggravandosi sempre di più: nella città che dilaga con il suo cemento sui paesaggi raccontati da Goethe e da Chateaubriand sono censite ben trentamila famiglie che una casa non ce l’hanno e non se la possono permettere.


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