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sabato 15 settembre 2007

L'arte di curare la città

Una «modesta proposta» per non perdere la nostra identità storica e culturale e per rendere più vivibili le nostre città di Pier Luigi Cervellati
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Cervellati riflette criticamente sul ruolo dell’architetto urbanista, prendendo atto dei limiti che l’ambiente pone all’idea di uno sviluppo urbano senza fine. L’avvio del terzo millennio si annuncia con il rifiuto di molte regole e comportamenti celebrati dalla razionalità pianifìcatoria della società industriale.


Non si tratta più di fondare «nuove città», bensì di risanare - curare - ciò che è stato tumultuosamente costruito, imparando l’arte, tutta artigianale, del restauro e della manutenzione urbana e paesaggistica. Molti sono i problemi che pone oggi all’urbanista l’intervento sull’assetto della città, o meglio su quegli aggregati urbani e suburbani che sono diventate, in particolare, le città occidentali.


Anche il problema del centro storico che tanto ha appassionato gli addetti ai lavori negli anni ‘60 non si pone più negli stessi termini. Il centro storico semplicemente non esiste più: ci sono le banche al posto dei caffè, gli uffici al posto degli alloggi. Lo spazio da conservare o da riqualificare, per non perdere la nostra identità storica e culturale, oltrepassa le mura (peraltro già abbattute) e comprende anche la periferia e la campagna, secondo un’idea globale del territorio, in cui il limite diventa una risorsa.


Si tratta di trasformare in centro la periferia e non viceversa, di suddividere l’urbanizzato in ambiti che consentano il formarsi di piccole e medie comunità, recuperando ciò che è stato alterato, ripristinando il carattere dei luoghi deturpati, secondo terapie precise, con prognosi che derivino da conoscenza ed esperienza.


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