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sabato 8 settembre 2007

"La vera tutela del paesaggio? Non si può contrattare con i Comuni".

Lettera del prof. Paolo Urbani, ordinario Dir. Amministrativo Università Roma Tre a Claudio Martini, Presidente della Regione Toscana

I lettori hanno imparato a conoscere Monticchiello e la Val D’Orcia, Montegrossi e la Val di Magra, Fiesole, Capalbio e Lucca, più per interventi urbanistici in contrasto con la tutela del paesaggio che per la loro storia millenaria. Il fenomeno, sia ben chiaro, è assai più ridotto qui, nella regione più bella d’Italia, di quello che si riscontra ormai in tutto il territorio nazionale, ma il problema resta.

Intellettuali come Alberto Asor Rosa e Vittorio Emiliani, e cittadini, si sono riuniti in comitati e chiamano in correità la Regione per l’assenza di controlli sui piani urbanistici e di vigilanza sugli usi del territorio locale. Le ragioni di questa trasformazione che coinvolge in primo luogo le aree rurali, sono almeno quattro.

La principale è legata all’eliminazione - nella legge regionale 5 del 1995 - del sistema di controllo preventivo sui piani regolatori da parte regionale, in ossequio all’abolizione nazionale del sistema dei controlli sugli atti degli enti locali e ad una forzata interpretazione del principio di sussidiarietà -secondo il nuovo titolo V della Costituzione - che considera la vicinanza delle istituzioni locali ai territori come la miglior cura dell’interesse pubblico.


L’auto approvazione dei piani regolatori e la mera verifica della loro coerenza ad atti di pianificazione come il piano territoriale di coordinamento provinciale (che di regola non detta prescrizioni ma solo indirizzi) hanno lasciato spazio a previsioni urbanistiche comunali spesso in contrasto con i principi dello sviluppo sostenibile. E questo sta accadendo in tutt’Italia.


Basterebbe citare due sentenze del Tar Toscana con le quali, prima la Provincia di Lucca (6287/04) e poi la stessa Regione Toscana (98/05), hanno tentato inutilmente di ottenere l’annullamento del Regolamento urbanistico del Comune di Lucca perché in contrasto con il Ptcp della provincia e con il Pit (piano d’indirizzo territoriale) regionale.
La legge regionale 1 del 2005 (“Norme per il governo del territorio”) prova a rimettere ordine nel sistema di controllo, ma affidandosi ancora una volta all’auto determinazione degli enti locali, pur se bilanciata da un sistema di concertazione che ancora le trasformazioni del territorio alla redazione degli statuti del territorio e ai contenuti del Pit. Si tratta di modelli di pianificazione in fase di elaborazione che pongono problemi interpretativi anche ad un giurista e che richiederanno del tempo per arrivare a regime.

Il secondo motivo risiede in un sistema di partecipazione alle scelte pianificatorie comunali che non ha nulla a che fare con le inchieste pubbliche dei Paesi anglosassoni, poiché l’amministrazione è restia a un’urbanistica effettivamente partecipata che potrebbe mettere in discussione la propria visione territoriale.

Il terzo motivo è legato alla crisi fiscale dello Stato che spinge i Comuni a considerare il territorio come fonte di reddito per rimpinguare le casse comunali attraverso la riscossione dell’Ici è degli oneri di urbanizzazione che, sganciati dalla Finanziaria del 2002 da qualunque reimpiego in opere e servizi pubblici, possono essere utilizzati per finalità generali

Il quarto motivo risiede nella perdita di senso - per le popolazioni locali - del paesaggio agricolo e nel progressivo omologarsi verso un non meglio definito paesaggio turistico fatto di seconde case, lottizzazioni intensive. La pressione speculativa tanto su coste e colline interne distrugge le campagne in nome di una mal interpretata modernizzazione fatta prevalentemente di case con piscine abitate tre mesi l’anno.

Il paesaggio naturale, ma anche quello opera dell’uomo, testimonianza di civiltà da tramandare alle generazioni future, non è più in grado di autogovernarsi in molti casi diventa territorio in attesa di trasformazioni edificatorie.


Nel frattempo però, in molti piani regolatori vigenti dei Comuni toscani, vi sono previsioni urbanistiche che andranno in attuazione negli anni futuri e che presto potrebbero costituire oggetto di nuovi “scandali” edilizi, come già si sono affrettati a dire i responsabili regionali. Come dire: il peggio deve ancora venire!

Eppure quei piani regolatori sono comunque passati all’attenzione degli uffici regionali. E’ possibile che una Regione che svolge funzioni di programmazione e quindi di previsione degli sviluppi futuri non si sia resa conto, calcolatrice alla mano, che i volumi edificatori previsti in quei piani, specie di piccoli Comuni, erano ben oltre lo sviluppo sostenibile?

Che fare? Una soluzione ci sarebbe, quella del nuovo piano paesaggistico in fase di elaborazione, per di più oggetto di un protocollo d’intesa con il Ministero dei beni culturali come prescrive il Codice del paesaggio. Soluzione che, individuando nuovi beni paesaggistici di rango regionale o beni “identitari” sul territorio regionale, tra cui il paesaggio rurale, ponga limiti a queste nuove cementificazioni: le scelte del piano paesaggistico prevalgono, immediatamente, secondo la legislazione statale, sulle previsioni dei piani regolatori sottostanti.
Ma non pare che questa sia una strada promettente se la Regione Toscana intende redigere il contenuto del piano paesaggistico in collaborazione con Comuni e Province attraverso intese e accordi, lasciando poi agli enti locali la possibilità di una disciplina paesaggistica integrativa contenuta nel piano paesaggistico regionale.
Ma le scelte sovraordinate non possono sempre essere ridiscusse con i destinatari di quelle tutele. Poiché gli enti locali si muovono nell’ottica degli interessi particolari contro gli interessi generali di collettività anche più ampie di quelle regionali, come testimoniano la risonanza internazionale della Toscana e le numerose presenze di cittadini stranieri che la frequentano per la qualità del paesaggio finora tutelato.

Mi domando se il presidente Soru, cui si deve il merito di aver sostenuto ad oltranza l’approvazione, un anno fa, del piano paesaggistico della Sardegna, avrebbe ottenuto lo stesso risultato di tutela qualora si fosse messo a “contrattare” con i Comuni costieri se era giusto o meno ridurre i 57 milioni di metri cubi previsti sulle coste sarde dai vigenti strumenti urbanistici comunali!


La tutela del paesaggio non si “contratta” poiché la sussidiarietà ambientale è spesso in contrasto con la ricerca del consenso. Il problema di fondo, a ben vedere, è tutto qui.



Sono in grado le Regioni e il Ministero dei Beni culturali di svolgere un’effettiva tutela e valorizzazione del paesaggio italiano? O dobbiamo ridurci a intendere la sussidiarietà come un nuovo localismo? Il ruolo delle Regioni o del Ministero può, quindi, essere decisivo per l’attuazione dei programmi di conservazione anche in funzione di accompagnamento, e di controllo.
Nel rapporto tra Regione e amministrazione centrale, lontane dagli interessi particolari, si gioca quindi la partita della tutela del paesaggio con i Comuni, non perseguibile solo nella sua staticità (pena in qualche caso la perdita di significato della tutela) ma nel suo evolversi, sempre e comunque, tuttavia, nel rispetto della effettiva conservazione.


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